• Social media: essere presenti è la scelta migliore?

    La comunicazione online è sempre più frammentata tra le molteplici social media ed applicazioni tanto che si parla di micromoments, di istanti sempre più brevi e coinvolgenti per conquistare pubblici esigenti ed infedeli . Quali piattaforme è meglio suggerire ai nostri clienti? È consigliabile coinvolvere i pubblici in una narrazione di marca diffusa sui social? Tanti dubbi ci assalgono in questo periodo di iperconnessione e di information overload.

    Dall’ultimo report Digital 2020, realizzato da We are social in collaborazione con Hootsuite si evince che a livello mondiale il numero di utenti attivi è sempre più elevato su social platform diverse, alcune ancora sconosciute in Italia.

    Come tempo d’utilizzo e numero di utenti predominano sempre Facebook, YouTube e WhatsApp, ma altri social stanno crescendo come TikTok e il nuovissimo Byte.

    Nel report si legge:

    Registriamo una crescita significativa nell’utilizzo di TikTok (800 milioni di utenti attivi al mese, di cui “solo” 300 milioni fuori dalla Cina). Importante anche la crescita dell’utenza raggiungibile su Pinterest (12%) anche grazie all’aggiunta di regioni e paesi precedentemente assenti dalle opzioni di targetizzazione.’

    Strategia multicanale

    Sul web si parla sempre più di omnicanalità e di strategia multicanale? Che cosa significa esattamente? Nel blog di Osservatori.net viene data una definizione precisa:

    ‘La omnicanalità non è altro che la gestione sinergica dei vari punti di contatto (o touchpoint) e canali di interazione tra azienda e consumatore per ottimizzare quest’esperienza del consumatore. I punti di contatto sono gli asset a disposizione dell’azienda per costruire una relazione lungo il processo di acquisto (advertising, pre-vendita, pagamento e post-vendita). Possono essere fisici (retail, call center) oppure online (social media, mobile app, sito di e-commerce). La gestione integrata di questi punti di contatto è alla base di una strategia omnicanale.’

    Che cosa valutare

    Da formatore e consulente mi interrogo spesso sui consigli da fornire ai miei clienti o discenti. In base alla mia esperienza non è proficuo aprire più canali social soprattutto se si è una realtà di medie e, ancor più, di piccole dimensioni. Nella situazione odierna di infobesity e di calo della soglia d’attenzione che, secondo una ricerca di Microsoft, è arrivato a 8 secondi è necessario:

    • valutare se si ha il budget adeguato per poter seguire in modo continuativo e professionale uno o più piattaforme.
    • focalizzarsi su poche piattaforme e studiare molto attentamente i propri pubblici.
    • acquisire competenze di marketing utili per scelte strategiche adatte allo specifico settore di mercato.
    • affidare le nostre pagine e profili a social media manager specializzati e sempre aggiornati con competenze sui diversi canali che intendiamo sviluppare. Sconsiglio sempre la scelta del famoso ‘cuggino’, perché spesso si rischia di non ottimizzare i propri investimenti. Non ci si improvvisa esperti soprattutto in un mercato in evoluzione e in una miriade di canali da seguire.
    • scegliere per la propria comunicazione una narrazione coinvolgente da diffondere sul sito/blog e sui canali online oltre che sull’offline.
    • creare contenuti unici per le diverse piattaforme, ma con linea editoriale coerente.

    Le personas

    Prima di definire un piano editoriale si deve partire sempre dall’individuare le nostre personas, creando più profili dettagliati. Poniamoci da subito queste domande:

    • chi sono? Quali caratteristiche hanno? A quale generazione appartengono?
    • quali sono i valori in cui credono? In quale momento di vita si trovano?
    • quali sono i social che frequentano più assiduamente e che cosa condividono nelle loro comunità online?

    L’ascolto dei pubblici è sempre più importante, perché la comunicazione non è più a una via, ma a più voci. Come afferma Joseph Sassoon nel suo libro ‘Web Storytelling (Franco Angeli, 2018, pag.18):

    Il fatto che nel Web la comunicazione sia multidirezionale, l’emergenza di tribù e community dotate di potere, la traslazione del controllo verso gli utenti e la molteplicità di formati e piattaforme mediali disponibili comportano, anche dal punto di vista delle marche, una profonda trasformazione dei modi di fare storytelling. Il mutamento più grande concerne la possibilità, assolutamente inedita, che il pubblico contribuisca ai racconti marca con contenuti creati autonomamente (user generated content).

    Consideriamo anche che i comportamenti dei Millennials sono diversi da quelli della generazione Z, quindi la nostra comunicazione e narrazione dovrà tenere conto di questi aspetti.

    I concorrenti

    Altro tema da non dimenticare è l’analisi dei concorrenti e del tipo di comunicazione che hanno adottato sulle piattaforme. Hanno preso posizione rispetto ai grandi temi del momento: sostenibilità, ambiente, cause sociali, ecc? Il brand activism ha assunto un ruolo molto rilevante per i brand internazionali, ma coinvolge anche aziende di medie dimensioni. Se desideriamo prendere una posizione dobbiamo essere coerenti non solo nella nostra comunicazione esterna, ma anche interna verso di dipendenti e con le nostre scelte di prodotto, materiali, ecc. e dobbiamo interrogarci anche su quale impatto sociale la nostra azienda possa avere sul territorio.

    Analytics

    Nel caso in cui siano già attive pagine o account, bisogna partire dai dati e valutare con attenzione le performance, facendo anche degli A/B test. Sulla base delle analytics verificare quindi se il TOV (tone of voice) è adeguato allo stile della nostra comunicazione online e offline, se le immagini sono coordinate tra sito/blog e social, se il font scelto è quello più adatto, ecc.. Se si decide poi nel piano strategico d’introdurre le Stories di Instagram, molto apprezzate dal pubblico dei social, si possono usare programmi per personalizzare le copertine come, ad esempio Canva. Ricordiamoci, comunque, che devono essere programmate e realizzate in modo professionale e devono seguire un piano editoriale preciso.

    Attenzione agli errori

    Ogni post deve essere accuratamente controllato prima di andare online, perché un errore può compromettere il lavoro di mesi e nei casi più gravi rovinare la reputazione di un brand. Un caso recentissimo è accaduto alla TIM in Twitter dove per errore è stato pubblicato un post con il vincitore sbagliato del Festival di Sanremo, sezione nuove proposte.

    Il post incriminato è stato immediatamente cancellato e sostituito con quello corretto, ma la rete non dimentica e subito qualcuno del pubblico ha diffuso lo screenshot e sottolineato l’errore.

    Fattore tempo

    Un elemento molto importante da considerare è il fattore tempo: i risultati non possono essere ottenuti in pochi mesi, ma con costanza, attenzione e ascolto del mercato che è in continua evoluzione. Consiglio sempre di valutare le performance sul lungo periodo (dai sei mesi a un anno), per poter avere una visione più ampia sulla base anche di aree test. Una campagna che poteva essere adeguata e dare risultati mesi fa, può rilevarsi non più efficace e deve essere sostituita con nuove idee grafiche e di contenuti. Prendiamo ispirazione dai più bravi del nostro settore a livello internazionale per arricchire la nostra comunicazione di nuove idee.

    I contenuti

    In merito ai contenuti la narrazione deve essere reale o verosimile e può essere declinata sulle varie piattaforme, creando delle series che coinvolgano i pubblici e che contengano una call to action forte per far migrare gli utenti da una piattaforma all’altra o invitarli a partecipare al racconto.

    Per meglio comprendere l’utilizzo in contemporanea di più piattaforme vi rimando alla series declinata su Steller e Facebook per il luxury outlet The Place di Biella di Ermenegildo Zegna. Due storie parallele dal punto di vista maschile e femminile, due personaggi che si amano e si incontrano, appuntamenti che si susseguono nel The Place Café o nell’Oasi Zegna.

    Attimi di vita, di fashion e di food che si intrecciano, coinvolgendo i lettori, chiamati a partecipare nel condividere e mettere like alla pagina Facebook e nell’immaginare il seguito della storia d’amore.

    Due storie che si incrociano- ‘Attimi’ di The Place – Biella
  • Racconti di cibo: dal prodotto all’esperienza

    Il cibo non si racconta più attorno ad una tavola imbandita, ma nelle trasmissioni televisive, nelle conversazioni in rete. È diventato uno degli argomenti più dibattuti e spettacolarizzati tanto che qualche giorno fa il maestro Muti al Gazzettino.it ha sollevato una provocazione: «Basta cuochi, c’è bisogno di cultura». Se da un lato mi sento di appoggiare l’invito del maestro a proporre al grande pubblico palinsesti più culturali, dall’altro mi preme evidenziare che il cibo è cultura e tradizione profondamente radicata nella storia di un popolo.

    In Google la parola ‘food’ è ricercata 10 miliardi di volte in 0,89 secondi e ‘cibo’ 131 milioni. Come leggiamo nell’ultimo articolo pubblicato sul supplemento ‘Cook’ del Corriere della Sera del giornalista Giuseppe Antonelli,

    quello della cucina è diventato un codice comunicativo che unisce al di là dei confini.[…] Il mondo è ormai dominato dal foodtelling. Parola sconosciuta all’inglese; creata in Spagna nel 2012 sul modello di storytelling e rilanciata da noi all’epoca dell’Expo.

    Ma com’è cambiato il mondo del food e dei consumatori negli ultimi tempi? Non si parla più solo di cibo, di tradizione, ma soprattutto di esperienza che noi consumatori desideriamo vivere e che i ristoratori e produttori vogliono farci provare.

    Il racconto del cibo mi ha sempre affascinato ed è tema di studio e sperimentazione fin dai primi corsi che ho organizzato cinque anni fa con la community, StorytellingIta. Avevamo sperimentato una formazione innovativa che prevedeva una parte teorica e pratica – esperienziale con il coinvolgimento di produttori piemontesi come testimonial. Ai nostri corsi invitavamo, ad esempio, i responsabili dell’agriturismo Vallenostra, produttori di Montebore (formaggio storico prodotto nel basso Piemonte), il proprietario della gelateria Ottimo di Torino, Gianluca Morino di Cascina Garitina e molti altri per condividere le loro esperienze di comunicazione.

    Ho studiato come i produttori nazionali e internazionali si narrano sui social media, sui siti o blog, cercando d’individuare e suggerire le modalità più coinvolgenti. Per un cliente nazionale ho anche approfondito le tecniche di allevamento e di produzione, intervistando i responsabili dei processi produttivi e, partendo da ricerche storiche effettuate nella biblioteca dell’Università Bicocca di Milano, abbiamo scritto alcune novelle sul cibo. Al tema food ho dedicato gli speech che nel 2019 ho tenuto a SMAU nelle edizioni di Bologna e Milano, portando le mie esperienze di comunicatrice e narratrice.

    Food: alla ricerca dell’esperienza

    A SMAU Milano ho intitolato il mio speech: ‘Foodtelling, raccontare l’esperienza’ e mi sono soffermata sulle parole di uno chef che conosco personalmente e seguo da anni nelle sue sperimentazioni, Roberto Rollino del Ristorante La femme a San Bartolomeo al Mare:

    Ho introdotto delle coccole per i miei clienti oltre al menu, perché il cibo è esperienza e ti deve far pensare mentre assapori un nuovo abbinamento. Il cibo è sempre più un momento d’intrattenimento e d’esperienza.

    L’attenzione al cliente e il desiderio di coinvolgerlo hanno portato ad inserire esperimenti gourmet negli amuse bouche, a utilizzare materiali insoliti per le presentazioni, anche non propriamente da cucina.

    Negli ultimi tempi è profondamente cambiato l’atteggiamento dei consumatori: se da un lato hanno maggiore attenzione per la sostenibilità e tracciabilità dei cibi dall’altro sono disposti a pagare di più per un prodotto che risolva un problema e consenta di vivere un’esperienza.

    Food: un nuovo linguaggio

    Per comprendere meglio il nuovo linguaggio del food vi consiglio il libro di Carlo Meo dal titolo: ‘Food Marketing. Il food conquista la città‘ (ed. Hoepli, 2019). Come precisa l’autore il food è sempre più divertimento e un fenomeno urbano. Ormai i consumi fuori casa pareggiano o superano quelli in casa e i tempi dedicati al pasto in Italia si sono ridotti a circa 33 minuti.

    Cambia anche la destinazione dell’ambiente cucina che non vuole essere quello tradizionale della mamma, bensì un luogo tecnologico dove il frigorifero smart ci dice quali alimenti sono terminati e devono essere acquistati.

    Sicuramente avete letto il caso #FreeDorothy, la ragazzina inglese, che messa in punizione dalla madre era stata privata di ogni device tecnologico ed aveva iniziato a dialogare sui social con gli amici attraverso il frigorifero LG. La cucina si trasforma in un lounge dove si ricevono gli amici per sperimentare e improvvisarsi chef nei week end, per conversare e far serata.

    Nei grandi centri urbani si mangia a tutte le ore tanto che i locali si stanno attrezzando e propongono soluzioni ad hoc. Recentemente ho parlato con il proprietario di un locale a Milano che aveva scelto proprio questo tipo di proposta: cibo tipico italiano a qualsiasi ora, persino gli spaghetti a colazione. Ci si chiede in effetti se sia una richiesta del mercato o una semplice moda.

    Nuove soluzioni di ristorazione ed esperienze di gusto. Sul Gambero Rosso leggiamo della nuova iniziativa gourmet del dessert Bar Milano dello chef pasticcere Federico Rottigni che propone ogni sera un dessert dining show di un’ora e mezza in cui fa vivere ai partecipanti un viaggio nei sapori, viaggio nel quale hanno ruolo fondamentale anche musica e illuminazione.

    L’esperienza è però effimera, come ci ricorda sempre Carlo Meo nel suo libro, e come tale deve essere ‘concepita e disegnata perché abbia il maggior successo nel tempo più lungo possibile. […] deve essere comunicabile e fotografabile: è un elemento che sta diventando sempre più importante nella costruzione dell’esperienza, in un monso basato su immagine e media.’ Deve essere progettata con grande attenzione per poter rimanere nel ricordo ed essere ‘sostenibile economicamente per chi l’ha ideata e per chi la vive’.

    Food: quale narrazione

    In un periodo di infobesity, di frammentazione di contenuti e offerte così numerose e variegate come comunicatori poniamoci alcune domande:

    • come far comprendere la nostra unicità, la UVP (Unique Value Proposition / proposta unica di valore)?
    • come possiamo strutturare la nostra comunicazione online?

    Sicuramente la narrazione può venirci in aiuto, ma deve rispettare regole precise e, come ripeto sempre negli speech e nei miei corsi, non può essere rappresentata solo da una bella immagine da postare su Instagram o da un post accattivante su Facebook. Deve essere un mindset narrativo che decidiamo di adottare che deve coinvolgere tutta la nostra comunicazione dal sito al blog fino alle pagine social.

    Partiamo dall’ascolto, mettendoci nei panni del nostro pubblico e cerchiamo di capire meglio:

    • che cosa desidera in un’esperienza
    • in che momento della sua storia di vita si trova
    • qual è il suo immaginario
    • in quali valori si riconosce
    • dove si trova e comunica online

    Per iniziare un percorso di narrazione possiamo anche considerare alcuni semplici suggerimenti tratti dal neuromarketing:

    • il cervello intermedio tende a ignorare formule troppo conosciute, termini abusati per cui è preferibile scegliere concetti originali.
    • un linguaggio semplice, frasi lineari e metafore aiutano i lettori/utilizzatori a fare delle facili associazioni,
    • nella narrazione è utile evocare più stimoli sensoriali per tenere alta l’attenzione.

    Food: attivare i sensi

    In merito ai sensi possiamo trarre informazioni preziose dalle neuroscienze. Nel libro ‘Lo straordinario potere dei nostri sensi’ di Lawrence D. Rosenblum (ed.Bollati Boringhieri, 2018) leggiamo: ‘le influenze della vista, dell’ascolto, del tatto e dell’olfatto sulla percezione del gusto rendono quest’ultimo il più multisensoriale dei sensi. E si è scoperto che tutti i sensi condizionano il gusto non solo direttamente, ma anche indirettamente, in maniera da influenzarsi a vicenda.’

    Su quali sensi vogliamo puntare nel nostro locale: illuminazione, impiattamento oppure profumi, musica? Il nostro prodotto può distinguersi per caratteristiche: organolettiche, packaging, sostenibilità? Un prodotto non vive da solo, ma in un contesto ben preciso di consumo e soddisfa le esigenze e i bisogni di un pubblico. Lavoriamo quindi sulla nostra value proposition e cerchiamo di comprendere come evidenziare e trasmettere i nostri valori.

    Food: quali medium scegliere e che cosa comunicare

    Se il nostro pubblico si trova e discute su Facebook possiamo creare per la nostra pagina un piano editoriale coinvolgente con brevi video interviste a nostri produttori o clienti, aneddoti storici sul cibo, foto emozionali storiche, condividere pensieri e riflessioni.

    Se invece puntiamo sull’immagine possiamo creare dei post curiosi e coinvolgenti su Instagram, scegliendo un colore o un elemento che identifichi tutta la nostra comunicazione social.

    Importante è tenere presenti gli elementi di grammatica del racconto. Ricordate quali sono? Eroe, ferita, impresa, sfide, mentore, oggetto magico, tesoro o ricompensa. Per entrare in risonanza con il nostro pubblico dobbiamo rifarci allo schema narrativo canonico anche nelle narrazioni sui social media.

    Per approfondire vi invito a seguirmi per scoprire i prossimi corsi e speech!

    Foto: by Randy Tarampi on Unsplash

  • La tessera mancante: MAPPS®

    Il viaggio è iniziato più di un anno fa, quando studiando e vagando in rete, ho trovato MAPPS®, una metodologia che mi ha subito affascinato, perché basata su mappe e approccio metaforico. La tessera mancante al mio percorso di storyteller e trainer. Alla passione per la tecnologia e la narrazione unisco una lunga esperienza in azienda come product manager e formatore in Academy, ed ero alla ricerca non tanto di un game, ma di un metodo pratico rivolto agli obiettivi aziendali e alle strategie.

    Da formatori spesso ci interroghiamo sulla nostra preparazione e cerchiamo di comprendere quale sia la scelta migliore:

    • considerarci ‘arrivati’ e utilizzare il livello raggiunto per la nostra attività
    • migliorare la nostra specializzazione
    • ampliare gli orizzonti anche con skill laterali.

    Il mio approccio è di curiosità e di apertura verso il nuovo alla ricerca di strade meno battute, mai totalmente paga dei risultati raggiunti. In poche parole volevo aggiungere una tessera al mio puzzle personale, partendo da un lato dalla comunicazione, al corporate storytelling ed esperienze immersive (VR e AR storytelling) e dall’altro dall’esperienza di marketing e vendita fino alla strategia e alla facilitazione per affrontare le tematiche organizzative.

    Questo è stato proprio il caso di MAPPS®. Nel 2018 ho contattato la società, Trivioquadrivio di Milano e chiesto un incontro individuale con il responsabile della metodologia, Enrico Marra. Al momento non erano disponibili corsi o train dei trainer e quest’idea è rimasta in gestazione. Sapete quando credete molto in un obiettivo e non riuscite a realizzarlo? Ecco questo era il mio stato d’animo: desiderio, insoddisfazione, determinazione al tempo stesso. Altri contatti da parte mia, un corso che era programmato in estate, ma non confermato e nel tempo l’interesse cresceva così come l’approfondimento.

    L’attesa è finita e dopo due intense giornate di Train dei Trainer sono diventata facilitatrice.

    Caratteristiche di MAPPS ®

    MAPPS® una mappa per raggiungere risultati. Così viene definita nella pagina Facebook della Hi!Academy che propone le open session e i corsi.

    Si tratta di una metodologia di apprendimento organizzativo e facilitazione orientata a promuovere il dialogo e lo scambio costruttivo all’interno dei team. Basata sulla metafora cartografica permette di affrontare le tematiche organizzative come un itinerario di viaggio. Gli ostacoli reali, le sfide e le opportunità diventano immagini e prendono vita in un confronto aperto con i colleghi sui punti di vista individuali volto al raggiungimento degli obiettivi comuni.
    La costruzione collettiva delle soluzioni, permette di tenere sotto controllo costante l’intero processo e offre uno strumento per una facile ed immediata condivisione al di fuori del gruppo.
    Il processo metodologico è finalizzato alla realizzazione di una roadmap da usare come strumento per orientare le proprie attività e quelle del proprio team.

    Destinatari

    A chi è rivolta questa metodologia? A manager o a figure intermedie aziendali che si trovano a dover allineare, gestire e guidare il proprio team nei processi di cambiamento organizzativo e/o al raggiungimento di obiettivi aziendali. Normalmente si prevede un modulo formativo di una giornata.

    Obiettivi

    L’obiettivo del workshop viene concordato con l’azienda, così come i gruppi da coinvolgere nel ‘viaggio’. Può essere, ad esempio, l’allineamento di un gruppo di lavoro, la costruzione di una strategia condivisa per raggiungere gli obiettivi a medio e lungo termine, aumentare la collaborazione tra vecchi e nuovi assunti in azienda. Vediamo insieme alcuni esempi d’applicazione.

    Attraverso questa metodologia i facilitatori aiutano a:

    • allineare i membri del team sui valori aziendali e obiettivi di medio termine
    • facilitare il confronto tra i gruppi e coinvolgere le persone nel cambiamento
    • costruire un piano d’azione a breve termine grazie alle metafore
    • semplificare gli obiettivi aziendali, creando una road map collettiva e condivisa
    • creare un ‘diario di bordo’ per tener traccia delle azioni definite e attuate anche a distanza di tempo
    • evidenziare sinergie e collaborazioni tra gli uffici e i team per raggiungere l’obiettivo aziendale indicato dal management.

    Nei miei workshop ho sempre definito il momento formativo un ‘viaggio’ da compiere con i discenti, viaggio che ci arricchisce e ci trasforma, portandoci ad avere maggiore consapevolezza e conoscenza. Ecco ora, grazie a MAPPS®, il viaggio è ancor meglio rappresentato e ha obiettivi molto chiari e definiti. Come arrivarci e costruire la nostra personale roadmap? Grazie al mio supporto di facilitatore.

    Volete saperne di più e volete iniziare con me questo viaggio nelle vostre aziende? Sceglieremo una mappa di terra o di mare? Tutto da progettare insieme! Contattatemi all’indirizzo mail simonettapz@gmail.com.

  • Suggestioni al GammaForum 2019

    Sono passate alcune settimane dall’ 11a edizione del GammaForum, convegno dedicato all’imprenditoria giovanile e femminile che si è tenuto presso la sede de Il Sole 24Ore a Milano, ma le suggestioni sono ancora vive e ci fanno riflettere. Per il secondo anno ho partecipato in qualità di Ambassador e ho potuto sentirmi parte di questo evento, coinvolgendo colleghe e amiche anche del Freelance Network Italia di cui sono co-founder.

    Sul palco si sono avvicendati speaker di fama nazionale ed internazionale: innovatori, responsabili di istituzioni italiane ed europee, artisti, business angels, responsabili di aziende innovative e startup femminili. Tante storie di donne piene di passione per il loro lavoro e le loro aziende, tanti punti di vista diversi che hanno arricchito la giornata di contenuti e di spunti utili a noi professioniste ed imprenditrici.

    Dagli interventi è emerso un panorama incerto ancora oggi, definito VUCA ( ossia volatility, uncertainty, complexity and ambiguity, acronimo usato da Warren Bennis e Burt Nanus per descrivere la situazione di volatilità e incertezza, complessità e ambiguità che contraddistingue gli ultimi decenni), ma con una spinta sempre più forte al cambiamento e all’innovazione.

    Una speranza è offerta dalle startup guidate da giovani e in particolare da donne, perché le imprese e startup al femminile hanno maggiori percentuali di successo, come ha spiegato Massimo Gaudina, Capo Rappresentanza a Milano Commissione Europea

    In Italia siamo in un momento di transizione negli investimenti in startup , come hanno precisato Gianluca Dettori, Executive Chairman Primomiglio Sgr e Ilaria Tiezzi, CEO Brandon Group nel panel ‘Connexions for Growth’ condotto da Giampaolo Colletti. Stanno però arrivando fondi stranieri con una particolare attenzione ai settori dove ci sono tecnologia e alta scalabilità. Si può affermare anche che c’è più attenzione all’impatto sociale delle aziende e al benessere dei dipendenti che diventano dei veri e propri ambassador.

    Un tema molto importante e spesso poco considerato. Anche su LinkedIn non si tiene conto che la presentazione dell’azienda è sicuramente più efficace, a mio parere, se accompagnata da opinioni positive dei dipendenti (ovviamente non richieste o indotte).

    È emersa anche l’esigenza di riportare l’uomo al centro, riqualificare e formare l’immenso capitale umano nell’industria 4.0. La tecnologia è un fattore abilitante e aiuta a rispondere meglio alle esigenze dei clienti. Le competenze digitali sono fondamentali tanto che dobbiamo recuperare in Italia il ritardo nelle digital skills rispetto agli altri paesi europei con una formazione continua che duri per tutta la vita lavorativa.

    Formazione, lavoro in team e la democratizzazione dell’informazione, secondo Paola Scarpa, Emea Women@Leader, Director Client Solution, Data & Insights Google servono per essere vincenti nel mondo digitale.

    È la componente della creatività umana, la capacità di ragionare fuori dagli schemi a fare la differenza.

    Altro tema centrale è quello relativo alle soft skills. Secondo Stefano Cuzzilla, Presidente nazionale Federmanager le donne sono già naturalmente portate all’empatia e al multitasking e non necessitano come i colleghi maschi di seguire dei corsi per sviluppare le soft skills.

    Accanto alle soft skills sarebbe necessario affiancare le competenze umanistiche e la filosofia, secondo i relatori Luca Altieri, Chief Marketing Officer IBM e Alessia Belli, filosofa in Mondora.

    Perché la filosofia ci siamo chiesti in sala? La risposta fornita dai relatori è stata perché ‘serve a leggere la realtà in maniera sistemica e a contribuire al sense making, costruendo connessioni con tutta la community anche di clienti e prospect. Mette al centro l’inclusività, l’empatia, lavora a livello individuale, crea un impatto positivo sulle persone e sull’ambiente. […] La tecnologia ha valore se fornisce un contributo di valore all’essere umano. Come l’AI deve servire ad ampliare le potenzialità dell’individuo, servono competenze e conoscenze nuove per guidarla.

    Una volta l’esperienza era quella che ti dava la ricetta per poter performare nel futuro. Ora il futuro è incerto, non sappiamo più cosa succederà tra 5 anni e questo apre infinite possibilità, basta immaginare e andare dove non ci sono gli altri.

    I takeaway del GammaForum

    Ho cercato di riassumere quali sono stati i principali takeaway della giornata per le giovani imprenditrici e le libere professioniste e ho Takeindividuato 9 punti da stampare e tenere vicino alle nostre scrivanie:

    • bisogna accettare l’errore come parte del percorso di crescita.
    • avere il coraggio di pensare out of the box.
    • uscire dai mondi iperconnessi, ma chiusi del digitale e aprirsi verso nuovi mondi e culture per imparare e contaminarsi. Quindi uscire dalla zona di comfort e tornare ad esplorare con la curiosità dell’infanzia.
    • bisogna tornare a immaginare per essere creativi e sviluppare nuove idee di business.
    • oggi serve uno stile di leadership diverso dal passato. Si può aumentare la produttività con il sorriso.
    • bisogna investire nel team e tenere presente la responsabilità sociale per costruire energia all’interno di organizzazione dove operi e su territorio.
    • noi donne fatichiamo il doppio. La soft skill più importante per il successo di un impresa è la disciplina e noi donne siamo caparbie. Puntiamo dritte all’obiettivo.
    • investiamo in startup, tenendo conto che si sceglie di finanziare in base all’innovatività del progetto poi al team e alle competenze.
    • puntiamo allo scambio “alla pari” tra giovani imprenditori che è il valore aggiunto per creare i presupposti per l’internazionalizzazione.

    Se desiderate approfondire i temi e gli interventi potete leggere il Wake al link oppure la Steller Story realizzata per l’evento.

    Credits: Sabrina Gazzola, photographer, Torino.

  • 2039: accendere e condividere storie

    Ho deciso di partecipare alla performance immersiva Eutopia Dystopia “Your past belongs to them now” dell’artista danese Inga Gerner Nielsen ambientata nel 2039 e proposta dall’associazione culturale Twitteratura al Polo del ‘900 di Torino. Un tweet mi ha incuriosita e, da appassionata di narrazione, non ho saputo resistere.

    Eutopia Dystopia è un progetto biennale realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del “Bando CivICa, progetti di Cultura e Innovazione Civica”. L’evento ha aperto venerdì 22 novembre alle 11:00 e, con sessioni ogni trenta minuti, è durato fino a domenica 24 novembre.

    Faccio parte del primo gruppo che vive quest’esperienza e vengo accolta con altre quattro persone da due giovani che ci spiegano il senso della performance, le dinamiche e come poter interagire.

    Siamo nel 2039 e uno shock energetico ha reso impossibile usufruire della tecnologia, l’energia elettrica è fruibile a intermittenza e non si riesce più ad accedere al patrimonio culturale e agli strumenti digitali. Siamo un gruppo di giovani che hanno deciso di creare un movimento di resistenza per ricostruire la memoria collettiva attraverso oggetti e le storie dei singoli, ricordi di vita quotidiana.

    <<Verrete accompagnati da un performer, non potrete utilizzare il cellulare o altra tecnologia perché nel 2039 non disponiamo più di nulla>>, ci avvertono.

    La performance inizia vicino alle scale attigue all’area didattica del Polo del ‘900 in lingua inglese per poi proseguire in italiano. I performer sono seduti e sdraiati sui gradini e Inga, leggendo una sorta di manifesto, ci introduce a questa realtà parallela. Si susseguono più momenti con perfomer diversi che ci accolgono e accompagnano in questo viaggio.

    Ogni performer sceglie un partecipante. Una ragazza mi invita a camminare in coppia nel corridoio verso l’entrata avvolte e nascoste tra 2 veli leggeri che rendono la vista un po’ offuscata. Durante la passeggiata mi fa notare elementi presenti nell’ambiente circostante. Ogni frase inizia con una domanda: ‘ricordi quando…‘. Si sofferma, ad esempio, sul ticchettio delle dita sulla tastiera del pc, sulle luci a led del corridoio, sui rumori delle voci o degli oggetti spostati all’improvviso e così via. Non devo interagire, ma solo ascoltare e concentrarmi sui ricordi.

    Foto dalla pagina Facebook di Twitteratura

    Torniamo al punto di partenza dove mi accoglie un’altra performer che mi accompagna sulle scale dove è stato posizionato un telo bianco in stoffa leggera e trasparente che cade libero verso il piano sottostante. Mi chiede se può bendarmi e mi guida, scendendo pochi gradini, verso il telo che è bloccato ad un’estremità da un bastone in legno. Mi invita ad accarezzare il tessuto, ad avvolgerlo sul bastone e a far affiorare i ricordi.

    Ecco il primo ricordo: Al tatto la trama mi riporta all’infanzia quando mia nonna, appassionata di cucito, confezionava per sé e per mia madre delle camicette in seta. Non era la sua professione, ma il suo hobby.

    Mi pone delle domande per capire meglio e, mentre sono ancora bendata, mi invita a sedermi vicino a lei sui gradini dove cerca di sintetizzare il ricordo che le ho narrato. Finito questo momento di condivisione, mi accompagna nella sala didattica e mi chiede se può consegnare le frasi da lei composte a due ragazze che stanno battendo i testi su macchine da scrivere d’epoca, la Lettera 44 Olivetti.

    Mi affida allora ad un’altra performer che mi accompagna vicino ad una nicchia della stanza dove sono posizionati alcuni oggetti. Mi invita a sceglierne uno e a spiegare la mia scelta in base ai ricordi che affiorano alla mia mente. Scelgo un mini ventilatore portatile. Quali ricordi mi suscita?

    Ci spostiamo verso una nicchia della stanza, vicino ad una finestra e ci sediamo su cuscini, schiena contro schiena. Mi pone alcune domande per far riaffiorare i ricordi: dove ti trovi? che cosa vedi intorno a te? quali odori senti?

    Ecco il secondo ricordo: Ho sei, sette anni d’età e mi trovo nella casa di campagna dei nonni. È estate e fa caldo. Sono nel mio letto per il sonnellino pomeridiano, ma non ho voglia di dormire. Fa caldo e le pale del ventilatore nella cameretta muovono l’aria. Ripercorro con lo sguardo la casa: il cancello di legno verde, l’entrata nel portico che divide il piano terra con la cucina a sinistra e il salotto a destra, dove si affaccia una scala che porta al piano superiore e alle camere da letto. Il portico si apre in un bel giardino con rose rampicanti e una parte terrazzata ricca di piante da frutto ed erbe aromatiche. Sento il profumo di legno bruciato nel camino e di erba bagnata in un giorno di pioggia.

    Ecco il terzo ricordo: È piena estate e corro per i prati e gioco con gli altri bambini. Fa caldo, sento il sole sulla pelle.

    Terminato il racconto la performer scrive brevi note e mi chiede il permesso di farle battere a macchina. Il foglio dei miei ricordi verrà posizionato a terra al centro della stanza dove si trovano oggetti e recipienti pieni di liquidi, simboli che Inga spiega ad un altro partecipante.

    Ora la mia storia non mi appartiene più, ma diventa un elemento di un racconto collettivo, come dice il titolo dell’evento: Your past belongs to them now.

    L’esperienza non si esaurisce nella performance, ma continua anche sull’applicazione Betwyll (su App Store e su Google Play) dove si possono trovare una selezione di testi e nel ‘Benvenuti nel 2039‘ il Manifesto del movimento di Resistenza che ci ha accompagnato lungo il percorso al Polo del ‘900.

    Per approfondire potete leggere l’intervista a Inga Gerner Nielsen sul sito dell’associazione culturale Twitteratura.

    Le fotografie sono tratte dalla pagina Facebook di Twitteratura.

  • Empatia, emozioni e creatività tra i #takeaway del XXXI Congresso AIF a Matera

    Come formatrice e storyteller cerco di approfondire il tema dell’empatia e delle sue applicazioni. Spesso affermiamo che raccontare significa riuscire a creare empatia tra narratore e pubblico, suscitare emozioni. Ma che cos’è l’empatia e come possiamo attivarla? Come reagisce il nostro cervello?

    Durante il XXXI Convegno nazionale dell’AIF (Associazione Italiana Formatori) che si è tenuto dal 7 al 9 novembre nella splendida cornice della città di Matera ho avuto modo di ascoltare molti speech dedicati a questo tema.

    Prima di focalizzarci sull’empatia e le nostre emozioni vediamo le motivazioni per cui il convegno del 2019 è stato dedicato alla neuroformazione, scienze della mente e del cervello applicate all’apprendimento. Comprendere sempre meglio come funziona il nostro cervello e i collegamenti che l’arte della formazione attiva al suo interno può aiutarci a rendere sempre più coinvolgente la nostra professione, ha spiegato nella giornata introduttiva, Antonello Calvaruso, economista e studioso di neuroformazione. E ha aggiunto: ‘Apprendimento è togliere il superfluo. Le neuroscienze possono aiutare i formatori a raggiungere quest’obiettivo. Arte della formazione attiva settori e collegamenti nel cervello.

    Maurizio Milan, presidente nazionale AIF, ha precisato anche che: ‘Neuroscienze sono menti che studiano le menti. La multidisciplinarietà può dare a noi formatori un ampio margine di indagine e riprogettazione dei nostri interventi .’

    Le neuroscienze possono aiutarci ad analizzare i fattori che determinano il successo a scuola e nel lavoro. Le competenze cognitive e non cognitive contribuiscono entrambe alla realizzazione accademica e lavorativa di un individuo, secondo la professoressa Raffaella Rumiati, docente di neuscienza cognitiva.

    Risulta essenziale che ‘non si comunichi, ma si conversi con le neuroscienze, alzando il profilo della nostra professionalità di formatori, perché essere artigiani significa essere rinascimentali’, ha suggerito a noi formatori lo psicosocioanalista, Pino Varchetta.

    Empatia ed emozioni

    Concentrandoci sul cervello e l’empatia ho trovato di grande interesse l’intervento del professor Giacomo Rizzolatti che ha ripercorso con noi il momento della scoperta dei neuroni specchio e gli studi effettuati sull’emozione del disgusto con la risonanza magnetica funzionale a Marsiglia con i colleghi Gallese e l’olandese Geiser.

    Il contenuto è indispensabile, se non si ha contenuto non ha senso comunicare, ma la maniera in cui si comunica è fondamentale.

    La prima scoperta è avvenuta nella scimmia e successivamente nell’uomo. Hanno riscontrato l’esistenza di neuroni che si attivano sia quando si fa un’azione sia quando si osserva un proprio simile che la sta compiendo.

    Nel cervello umano esiste un’area denominata insula che si attiva in presenza delle emozioni sia provate sia viste in un’altra persona.

    Empatia è quella condizione in cui tu ed io siamo nello stesso stato; i miei e i tuoi neuroni si attivano nella stessa maniera e allora io ti capisco veramente. L’empatia non corrisponde, tuttavia, alla bontà, perché anche i sadici capiscono le emozioni e sono bravissimi ad entrare nello stato delle altre persone’.

    Secondo Rizzolatti, l’empatia è uno stato molto importante ed è fondamentale in due professioni:

    • insegnamento
    • medicina

    Collegamento live con il prof.Rizzolatti

    Il tema dell’empatia è stato centrale anche nell’intervento di Cinzia Di Dio, ricercatrice di scienze psicologiche e neuroscienze. Quando ci soffermiamo ad osservare le opere d’arte si attiva l’insula, area del cervello responsabile dell’empatia. È possibile educare all’empatia attraverso la bellezza?- ha chiesto all’inizio del suo speech.

    Attraverso la percezione del bello si riescono a toccare le corde emotive delle persone, lasciando traccie emozionali positive che si riflettono nei loro comportamenti

    Pare che sia possibile educare la nostra insula attraverso la bellezza e l’arte. Da ricerche effettuate risulta che il nostro cervello è più libero di apprezzare l’arte che non il reale, anche nei bambini nella primissima infanzia.

    Mentre la mente conscia è influenzata da fattori esogeni come la moda, la conoscenza, il valore, la mente emozionale irrazionale ci fa vivere l’esperienza estetica consentendoci di sospirare in ammirazione‘.

    Cinzia Di Dio nel suo speech al Convegno di Matera

    L’arte ci apre a nuove esperienze, abbassa le nostre barriere e interfacciarci con l’arte può portare vantaggi dal punto di vista socio-emotivo. Non è ancora chiaro tuttavia se la neuroestetica possa impattare direttamente sulla formazione, perché si tratta di una scienza relativamente giovane.

    Secondo il professor Edoardo Boncinelli, genetista Presidente del Comitato scientifico l’empatia si può spiegare in modo molto semplice: ‘consiste nel mettersi nei panni dell’altro. Sta scritta nel ns cervello e nelle nostre cellule neuronispecchio.

    Tutti avete capacità di esercitare empatia. ‘, ci rassicura Boncinelli. La scoperta dei neuroni specchio e del loro ruolo nell’empatia ha segnato un grande passo avanti nella ricerca, ma restano ancora molte funzioni del cervello che sono poco conosciute, quali, ad esempio, come sono scritti i nostri ricordi. Anche con l’avanzare dell’età i ricordi non si perdono, in particolare quelli che risalgono all’infanzia, quasi come se fossero scolpiti nella nostra mente. Nasciamo con un cervello immaturo che si sviluppa ancora fino circa ai quattordici anni di età e si plasma mentre noi cresciamo.

    L’importanza della mente viene sottolineata da Giulio Giorello, filosofo della scienza, che ci mette in guardia contro uno dei principali rischi della rete, ossia l’ottundimento di senso critico e quindi cancellare lo spazio del dissenso. La mente è la cosa più importante, quella che ci permette di dire “non ci sto”, anche a costo della vita e della libertà.

    Giulio Giorello con Antonello Calvaruso

    Il filosofo economista, Matteo Motterlini ci ricorda che le scienze comportamentali ci hanno mostrato che siamo irrazionali. Siamo irrazionali in modo tuttavia prevedibile e sistematico tanto che la nostra irrazionalità, le nostre emozioni possono essere studiate razionalmente attraverso l’osservazione e l’esperimento. Nei contesti di educazione e formazione le neuroscienze ci portano a ripensare il concetto stesso di razionalità umana non solo come adesione alle regole corrette della logica. Dobbiamo conoscere meglio noi stessi come ci indicava Socrate, avere una metarappresentazione delle nostre capacità cognitive e del condizionamento delle nostre emozioni.

    Motterlini ha anche invitato noi formatori a sperimentare in aula, magari proponendo lo stesso argomento con un approccio più freddo e autoritario su un gruppo di discenti e con un atteggiamento empatico che coinvolga le emozioni su un altro gruppo per vedere le risposte ed i risultati d’apprendimento.

    Creatività

    Altro tema di grande interesse approfondito durante il convegno è la creatività. Per il professor Rizzolatti esiste una lunga fase necessaria prima della creatività detta ‘preparation‘. Si impara per imitazione che non deve essere considerata in modo negativo, perché è la base della creatività. Alcune persone hanno un’intelligenza fluida e vedono applicazioni particolari, ma devono essere comunque preparate. Non si improvvisa.

    Secondo il neurofisiologo Marcello Massimini la creatività non è necessariamente cosciente, ma è una sorta di predizione basata sul modello della realtà da parte del cervelletto (feedforward). Aggiunge che durante il sonno il nostro cervello è molto attivo. Più certe aree imparano durante il giorno più vanno offline nel sonno per un processo di consolidamento. Il sonno è il prezzo che paghiamo per avere cervello plastico. Si rinormalizzano i circuiti e si ricalibrano.

    Comprendere come funziona la nostra mente può essere un valido aiuto per rapportarci con gli altri durante le sessioni formative.

    Come formatori vendiamo l’empatia‘, afferma Antonello Calvaruso, che ci parla dei suoi studi sul passaggio da formazione basata su empatia a quella ispirata a concetto di modelling. La formazione basata sull’imitazione, ossia prendere gli altri come modello può essere indagata e applicata con successo da tutti noi.

    Molti altri temi di grande attualità sono stati trattati durante il XXXI Convegno nazionale AIF nell’approfondire il confronto tra formazione e neuroscienze. Potete rivivere i contenuti delle giornate, grazie al livetweeting organizzati su Wakelet.

    Prima giornata del convegno https://wakelet.com/wake/78f371ff-a50a-4654-a7b0-ab014152f86e

    Seconda giornata del convegno https://wakelet.com/wake/09f50ab4-e23c-4ede-9bbd-981434467a45

    Terza giornata del convegno https://wakelet.com/wake/f3292020-a0d9-417c-ab3d-7b17fb95e8c9

    Mi piace lasciarvi con un invito del professor Boncinelli a noi formatori: Prendete i semi di questi giorni e fateli germogliare!

  • Tour immersivi al Museo Archeologico di Cagliari

    Da appassionata di arte e di realtà immersiva seguo con interesse le iniziative dei musei sul mio social preferito, Twitter. Alla fine di settembre ho scoperto un appuntamento imperdibile del Museo Archeologico di Cagliari per chi vive nella città o è in vacanza in Sardegna: i mercoledì dell’archeologia virtuale. Grazie al mio commento e condivisione e alla gentile risposta da parte del museo mi sono messa in contatto per proporre un’intervista d’approfondimento.

    Ringrazio per questa chiacchierata la dottoressa Manuela Puddu, Funzionaria archeologa e Responsabile Museo archeologico nazionale di Cagliari e Area archeologica Su Nuraxi di Barumini e la dottoressa Lara Sarritzu, Responsabile servizi educativi.

    Quando è nata l’idea dei mercoledì dell’archeologia virtuale e a quale pubblico è rivolta?

    L’idea è nata quando abbiamo adottato i visori VR con una decina di siti archeologici tra i principali della Sardegna. Abbiamo proposto al pubblico i tour guidati virtuali in alcune serate di apertura straordinaria e abbiamo visto che era particolarmente gradita la formula dell’esplorazione dei panorami immersivi con una voce esterna di una guida in carne e ossa che spiega i monumenti che si “visitano” e con la quale naturalmente si ha il vantaggio di poter interagire.

    Avete già sperimentato in passato esperienze di realtà virtuale nel Museo archeologico nazionale di Cagliari e in caso affermativo con quali risultati?

    Al Museo di Cagliari sono presenti due tavoli touch in cui è possibile “giocare” con i panorami 360°, i modelli 3D dei Monumenti e quelli delle statue di Mont’e Prama. Di solito sono molto utilizzati, dagli utenti di tutte le età e provenienze.

    Sul sito ho letto che il tour virtuale tocca ‘importanti siti archeologici della Sardegna e ricostruzioni virtuali della Nora romana mi piacerebbe avere qualche informazione aggiuntiva sul video. La realizzazione è stata curata dal vostro museo? Con quali visori può essere fruito il tour e qual è la durata?

    Il Museo di Cagliari collabora da tempo con la società Teravista che ha eseguito le riprese a 360° dei siti e con il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova che ha curato le ricostruzioni 3D della città di Nora, dove da anni porta avanti attività di studio e di scavo.Il tour virtuale viene fruito con l’uso di visori Samsung Gear VR abbinati a smartphone Samsung S6.Le nostre guide conducono i visitatori in una “passeggiata virtuale” di una decina minuti che tocca alcuni dei siti disponibili, generalmente 3 o 4 per tour.

    Le postazioni sono dislocate in più aree del museo o è stata predisposta una sala ad hoc?

    Le postazioni dei visori sono “mobili”, nel senso che si potrebbero utilizzare ovunque, ma di norma è destinata ai Mercoledì dell’archeologia virtuale la sala didattica del Museo.

    L’iniziativa era fruibile nel mese di ottobre. Avete altri progetti in realtà immersive per il futuro?

    Continueremo con i mercoledì nel mese di novembre e stiamo raccogliendo i feedback che ci danno gli stessi utenti per pensare a nuove proposte. Una di queste sarà verosimilmente destinata a permettere la fruizione di questi contenuti nel fine settimana.

    Vi consiglio di seguire le innumerevoli iniziative del Museo Archeologico di Cagliari e tenervi aggiornati sui social dove è molto attivo. Buona visita!

  • Esperienze aumentate a Londra

    S e mi seguite sui social sapete che sono appassionata di esperienze immersive che coniugano narrazione e tecnologia. Cerco di sperimentare anche durante il tempo libero in occasione, ad esempio, di visite ai musei o di eventi per capire, valutare e consigliare i miei clienti.

    Quest’estate ho trascorso alcuni giorni di vacanza a Londra e ho pianificato una visita al Tate Britain Museum. Avevo letto un articolo in cui si annunciava l’accordo tra Facebook e il Tate per rendere più coinvolgente la visita con l’Instagram camera’s AR effect.

    Ho scaricato sullo smartphone l’app del Tate disponibile su Instagram e ho iniziato una ‘caccia al tesoro’ tra le sale permanenti.

    Solo otto opere sono state ‘aumentate’ grazie all’AR e vicino al quadro era posizionato un cartello che invitata il visitatore a scaricare l’app e a vivere l’esperienza.

    Devo dire che non era semplicissimo identificare le opere, in quanto il cartoncino non era ben visibile e l’esperienza in AR non era ben spiegata. Una volta individuati i quadri mi sono posizionata con lo smartphone e ho suscitato la curiosità di altri visitatori che non avevano colto l’opportunità.

    Un’iniziativa interessante, ma che avrebbe potuto essere gestita in modo più coinvolgente e soddisfacente per il fruitore. L’app non si caricava molto velocemente e a volte si perdeva il collegamento. Trattandosi di una prima esperienza frutto dell’accordo recentissimo tra Tate e Facebook , sarà sicuramente migliorata ed ampliata.

    Non ci resta che attendere nuove esperienze aumentate!

    Ecco i quadri che è possibile vedere in realtà aumentata:

    • Fishing upon the Blythe-Sand, Tide Setting In di Joseph Mallord William Turner
    • Amateurs of Tye-Wig Music (‘Musicians of the Old School’‘ di Edward Francis Burney
    • A Youth Relating Tales to Ladies di Simeon Solomon
    • The Cholmondeley Ladies di autore sconosciuto, Britain
    • Self-Portrait di Gwen John
    • Farm at Watendlath di Dora Carrington
    • Carnation, Lily, Lily, Rose di John Singer Sargent
    • Head of a Man (Ira Frederick Aldridge) di John Simpson

    Nel momento in cui si inquadra l’opera si attiva anche un’audioguida con testo scritto visibile sullo smartphone che fornisce informazioni sull’autore e sul quadro. Si unisce quindi l’esperienza immersiva una guida più classica.

    The Cholmondeley Ladies di autore sconosciuto, Britain.

    Tra i quadri più significativi come effetto immersivo:

    The Cholmondeley Ladies di autore sconosciuto, Britain. Il quadro ritrae due giovani donne che erano nate nella stessa data, si erano sposate e avevano partorito lo stesso giorno. Le ladies appaiono e ricompaiono quasi in una danza.

    Carnation, Lily, Lily, Rose di John Singer Sargent. L’esperienza in AR sottolinea il passaggio del tempo sugli oggetti e sulla scena: le lanterne si illuminano nella notte, i fiori appassiscono e scende il buio della sera. Improvvisamente il quadro diventa tutto scuro per indicare la notte e poi riappare la luce del tramonto. Molto coinvolgente.

    Head of a Man (Ira Frederick Aldridge) di John Simpson
    L’opera ritrae l’attore Ira Frederick Aldridge che, dopo aver lasciato gli Stati Uniti per Londra nel 1865, diventò il primo attore di colore a recitare le opere di Shakespeare in Inghilterra. Muovendo l’Instagram camera, lo sguardo si anima e ci segue e passa da drammatico a depresso.

    Self-Portrait di Gwen John. Un autoritratto della pittrice gallese che fece molta fatica ad affermarsi in un panorama artistico prettamente maschile. Nell’esperienza aumentata alcuni elementi della natura entrano ed escono dal quadro (un uccelino in particolare) e nell’opera appare la pittrice e in secondo piano il suo quadro.

    Ecco il link al video postato da Tate Britain sulla pagina Facebook e il video su Instagram.

    Ho approfittato della permanenza a Londra per visitare anche Kensington Gardens e Hyde Park e provare l’esperienza The Deep Listener. Creata dall’artista danese Jakob Kudsk Steensen che ha collaborato con il sound designer Matt McCorkle ci guida alla scoperta di cinque piante presenti nel parco rappresentate attraverso il suono.

    Sul sito si trova una mappa precisa e, dopo aver scaricato l’applicazione sullo smartphone, inizia l’esperienza visiva e uditiva. Le piante prendono vita e si trasformano in opere d’arte.

    Come leggiamo sul sito:

    The Deep Listener invites you to be guided on a journey to both see and hear the sights and sounds of five of London’s species: London plane trees, bats, parakeets, azure blue damselflies and reedbeds, that are part of the park ecosystem that might otherwise be ignored, intangible or simply invisible. […] Through these interactions, your own body becomes the mechanism to alter the environment around you and the technology becomes an active form of communication between the human and non-human actors in the park.
    Through The Deep Listener, Kudsk Steensen builds an experience for users to explore the sublime and vexing power of our ecosystem. The park becomes, as it has throughout history, the architectural backdrop to access the natural world that exists within the city
    .”

    Mappa delle piante aumentate con l’app The Deep Listener

    Ecco il link al video di presentazione su YouTube: https://youtu.be/_b_3NhudgO8

    Vi consiglio di provare queste due esperienze se vivete a Londra o avete l’opportunità di visitarla a breve. Sarebbe interessante anche avere uno scambio d’impressioni. Buona visita!

    Fonti:

    https://augmentedarchitecture.org/

    https://www.adweek.com/digital/facebook-creative-shop-and-the-mill-brought-ar-to-art-at-londons-tate-britain-museum/

  • Beni culturali e realtà immersiva: intervista a Roberto Carraro di Carraro Lab


    Nel mese di marzo ho partecipato ad un evento organizzato dall’Accademia di Brera all’interno della Milano Digital Week 2019 dal titolo ‘Cultura immersiva. Realtà virtuale e realtà aumentata nella trasformazione delle arti e nella cura dei beni culturali.‘ I temi discussi durante la giornata sono stati molteplici dalle neuroscienze e cultura con il prof. Gallese al museo M9 di Mestre, dall’anteprima italiana del visore in mixed reality, Magimask alla sperimentazione ‘Portatori di storie’ di StudioAzzurro, solo per citarne alcuni.

    Tra i relatori era presente anche Livio Karrer, curatore del Museo M9 di Mestre, il museo multimediale più interattivo d’Europa che ha presentato il progetto e ha illustrato le sezioni tematiche che esaltano la visitor experience, grazie alle nuove tecnologie immersive (VR, AR).

    Ho voluto approfondire il tema musei e tecnologie immersive con il moderatore dell’evento, il professor Roberto Carraro della Carraro Lab, docente di Didattica Multimediale all’Accademia di Brera, che per M9 ha curato la sezione dedicata alla trasformazione dei paesaggi urbani e agrari del ‘900 con 15 installazioni interattive immersive nei territori, ricostruzioni 3D, compositing e morphing interattivi, come, ad esempio, l’ascensore spazio temporale.

    Vi invito a leggere l’intervista nella quale abbiamo affrontato argomenti molto attuali dal 5G alla realtà immersiva per i musei storici, al rischio di obsolescenza dei device e molto altro. Enjoy!

    In occasione dell’evento ‘Cultura immersiva’ da voi organizzato all’Accademia di Brera è stato presentato M9 di Mestre, nel quale Carraro Lab ha curato un’importante sezione interattiva e immersiva. Il museo, inaugurato il 1 dicembre 2018, ha unito perfettamente cultura – tecnologia – didattica in un progetto globale. Come si può integrare la tecnologia VR e AR in poli museali storici?

    Certamente Realtà Virtuale ed Aumentata possono dare un fondamentale contributo per ampliare il target e intensificare l’esperienza di visita nei musei storici. I musei, tradizionalmente collezioni di reperti, oltre a preservare i beni culturali hanno da tempo il compito di fare ricerca e diffondere conoscenza.
    Le tecnologie immersive hanno come primo obiettivo il recupero del rapporto tra reperto e contesto originario, perduto con la musealizzazione.
    Grazie ad AR e VR i reperti di un museo possono inoltre essere analizzati, sezionati, comparati tra loro, ricondotti alle tecniche e alle fasi di lavorazione;  autori ed eventi storici possono presentificarsi nel museo.  Oggi i musei sono diventati anche luoghi identitari fondamentali per la valorizzazione di un territorio. Con la trasformazione digitale i musei possono sviluppare intense esperienze immersive e interattive, senza perdere la centralità delle loro collezioni. 

    Nel rapporto Federculture 2018 vengono riportati i dati dell’ultimo Censimento ISTAT  nel quale emerge che: ‘ è possibile constatare come appena il 30% dei quasi cinquemila musei presenti in Italia offra almeno un servizio digitale in loco (comprendendo tra questi app, QR code, wifi, ma anche le più tradizionali audioguide) e almeno uno online (sito web, account social, biglietteria online). La percentuale si riduce all’11% se consideriamo i musei che ne offrono almeno due.’ Secondo lei quanto potrà incidere l’avvento del 5G nello sviluppo della digitalizzazione dei distretti culturali e dei musei? 

    La diffusione della rete 5G renderà possibili nuove soluzioni per musei, città d’arte, siti archeologici. La grande capacità e la riduzione della latenza nella trasmissione dei dati renderà disponibili al visitatore contenuti di grande efficacia.
    È necessario peró pensare nuove tipologie di contenuti, pensati per la fruizione in mobilità e contestuali . Anche in questo caso AR e VR, ovviamente nelle loro versioni online, sono tecnologie centrali, insieme alle soluzioni IoT (Internet Of Things).

    Il rilascio di nuovi visori e piattaforme è sempre più veloce. L’anno scorso è stato lanciato Oculus Go e stiamo aspettando entro il mese corrente Oculus Quest, mentre durante l’evento a Brera è stato presentato Magimask, il nuovo visore in mixed reality. Può esserci il rischio di una rapida obsolescenza degli strumenti tecnologici per un polo museale? E come contrastare questo eventuale rischio? 

    L’obsolescenza tecnologica è un problema da considerare quando si progetta un museo. È consigliabile relativizzare i device tecnologici e concentrarsi sui contenuti, che devono essere di alta qualità,  aderire a standard condivisi, e sviluppare metafore interattive capaci di creare valore autonomamente dalla specifica tecnologia adottata.

    Durante la conferenza della scorsa settimana Google I/O è stata presentata la novità della AR nei risultati della Search. Ritiene possa avere un impatto positivo sull’utilizzo dell’AR da parte del grande pubblico? Potrà favorire l’adozione delle nuove tecnologie anche da parte dei musei più resistenti alla Digital Transformation? 

    Il consolidamento della Realtà Aumentata nel web, e quindi nei motori di ricerca, è la strada maestra per la sua affermazione, oggi limitata da piattaforme proprietarie chiuse e incompatibili.
    WebAR e webVR sono due componenti chiave del nascente Web 3.0, contraddistinto dall’immersivitá.
    In questi scenari i musei potrebbero dare vita ai futuri palazzi virtuali della memoria, siti web tridimensionali  consultabili sia nel museo che a distanza, che diventeranno centrali nella diffusione della cultura nell’era digitale.