Quale sarà il futuro del recruiting e dell’onboarding? Con la diffusione dell’intelligenza artificiale e dei mondi immersivi il metaverso è diventato luogo ideale non solo per giocare, per fare networking, per assistere a concerti o fare experience ed acquisti, ma anche per partecipare a sessioni di recruiting e di onboarding.
Da alcuni anni le aziende hanno compreso le opportunità offerte dai mondi immersivi nel settore HR e hanno iniziato a sperimentare. Alcune hanno tenuto riunioni, creato sale virtuali per recruiting e onboarding ed aule dove organizzare corsi per i nuovi assunti.
Accenture: i pionieri
Conoscere le realtà aziendali ed incontrare responsabili o colleghi nel metaverso non sono attività recenti, perché già nel 2021 Accenture aveva avviato un programma di onboarding che prevedeva l’invio ai nuovi assunti di una box contenente oggetti tra cui personal computer e visori Oculus.
In quest’articolo di Yahoo Finance potete leggere quanto afferma la CEO, Julie Sweet:
“Our new employees now get a welcome box. Sure, it has its computer. But it has these little signs that are … are like the posters they would have seen in the office,” she says. “… At the same time, we just ordered thousands of Oculus headsets. Why? Because our onboarding is now going to include virtual reality.“
Nel 2022 durante la pandemia 150.000 nuovi assunti avevano trascorso il loro primo giorno di lavoro nel metaverso Accenture creato nella piattaforma AltspaceVR.
Qui potete vedere l’intervista alla CEO a CNBC Television, intervista nella quale illustra le opportunità offerte dal metaverso.
Ad aprile 2023 Coty Inc., multinazionale del settore beauty, avevacreato Coty Campus in Spatial con le finalità di:
recruiting
onboarding
formazione di 11.000 dipendenti.
Come ha affermato il Coty Chief Digital Officer Jean-Denis Mariani sul sito: “With Coty Campus, we are proud to leverage Spatial’s Web3 and gaming technology on a groundbreaking scale to create new immersive experiences that will provide the most interactive solutions for collaboration and co-creation. Coty is thrilled to be the first Beauty company to embark on this kind of project.”
Career Center Roblox
Roblox aveva lanciato il Career Center, dove i candidati possono ancora oggi conoscere la realtà aziendale, interagire direttamente con i reclutatori, gli ingegneri e i responsabili HR, rispondere a quiz, partecipare a eventi dal vivo e prepararsi per i colloqui.
Possono usare la chat vocale, il rilevamento del volto e persino lavorare all’interno della piattaforma. Qui vedete il mio avatar all’esterno del Career Center.
Ancora oggi l’ambiente è molto frequentato, come potete notare dagli scatti e dai dati pubblicati in Roblox (2,8 milioni di visite e 54.000 like)
Ho fatto solo una piccola parte della visita, perché è un ambiente business riservato. Potete comunque leggere il mio articolo pubblicato su Medium.
Esperienza Polaris
Recentemente ho sperimentato il mondo dell’azienda PolarisEngineering che ha un digital twin in Spatial dove si possono tenere assessment e riunioni aziendali.
All’accesso troviamo esposti i valori aziendali che possiamo collezionare come in una caccia al tesoro, incontriamo robottini che spiegano le specifiche attività e ci possiamo visitare l’auditorium o le aule formazione.
Riflessioni
Qualche giorno fa ho letto il post di Jason Satterly in LinkedIn, post nel quale raccontava l’esperienza dell’onboarding dei nuovi dipendenti che incontravano il team dei dirigenti in una Metaverse Academy .
I vantaggi da lui descritti sono essenzialmente quattro: 1. coinvolgimento: i nuovi assunti hanno l’opportunità unica di incontrare i dirigenti in anticipo rispetto al primo giorno di lavoro, creando un forte legame iniziale. 2. comunicazione aperta: i nuovi dipendenti possono porre domande direttamente al gruppo dirigente, promuovendo la trasparenza e l’accessibilità. 3. motivazione e allineamento: comprendere la missione, i valori e gli obiettivi dell’azienda direttamente dai vertici aiuta i nuovi dipendenti a sentirsi più motivati e allineati con la nostra visione. 4. integrazione: l’interazione iniziale favorisce un senso di appartenenza e facilita la transizione nella cultura aziendale, facendo sentire i nuovi assunti parte del team fin dall’inizio.
Di seguito vi segnalo uno schema che contiene suggerimenti utili per l’onboarding nel metaverso, estratto da un articolo dal titolo “Navigating the Metaverse: How to Attract and Retain Top Talent?” pubblicato su LinkedIn a marzo 2023 da Rrahul Sethi.
L’autore dell’articolo sottolinea che: ‘In the metaverse, employee #onboarding and #training can be a whole new ball game. It offers a unique opportunity to create immersive, engaging experiences that can truly transform the way your employees learn and develop new skills.’
Fonte: articolo “Navigating the Metaverse: How to Attract and Retain Top Talent?”
Dal mio punto di vista il metaverso può aiutare le generazioni Z e Alpha a sentirsi a proprio agio e conoscere le realtà aziendali in modo informale.
L’entrata in azienda è un momento delicato per il nuovo dipendente e il rapporto che si può instaurare da subito con il capo diretto o con i colleghi diventa fondamentale per comprendere le dinamiche di gruppo. Non bastano, tuttavia, le riunioni online o la presenza nei mondi immersivi, ma possono certamente completare ed arricchire di esperienze i primi passi in azienda e soprattutto coinvolgere, aggiungendo un pizzico di novità e divertimento.
Lato azienda l’onboarding nel metaverso può consentire un contenimento di costi, non richiedendo spostamenti e fornire un’immagine di compagnia innovativa, tecnologica e allettante per le generazioni più giovani.
Idee per il futuro
Ecco qualche idea per sfruttare al meglio le opportunità offerte dai mondi immersivi:
superare i classici Zoom, Meet e altre piattaforme per far incontrare colleghi di altre sedi nel digital twin dell’azienda ed organizzare momenti ludici e di intrattenimento.
organizzare sessioni formative specifiche per i nuovi assunti. Grazie all’intelligenza artificiale unita al metaverso si può personalizzare sempre di più la formazione, andando a coinvolgere i partecipanti in modo innovativo.
attraverso simulazioni realistiche e analisi comportamentali comprendere e valutare le prestazioni dei nuovi dipendenti. Un ambiente più informale permette di esprimersi liberamente.
creare mentori che all’interno del metaverso accompagnino i nuovi dipendenti sia alla scoperta dell’ambiente lavorativo sia del team con cui dovranno collaborare.
Se desiderate approfondire e ricevere una consulenza in merito, contattatemi 🙂
Mi sono appassionata alle piattaforme di social VR da tempo e ho iniziato a studiarle e frequentarle, partecipando a eventi e a momenti di formazione. Volevo immergermi in questa realtà parallela per capire se potesse rispondere alle mie esigenze. Il lockdown improvviso ha fermato tutto intorno a noi, quasi cristallizzato l’attimo. Distanziamento fisico e mascherine non ci hanno permesso più di condividere gli spazi, gli abbracci, di vivere insieme le emozioni se non nello stretto nucleo familiare e sui balconi con quelle esternazioni di dolore e di voglia di vita. Nello stesso tempo internet ci ha unito e permesso di colmare questo vuoto.
Proprio durante la pandemia ho avuto tempo di vagare nei mondi virtuali, di approfondire e frequentare un gruppo appena costituito su Facebook e in Altspace dove ho conosciuto docenti, fan di Second Life, ‘esploratori’ di altre dimensioni.
Li definisco ‘esploratori’ nella più classica accezione degli archetipi Junghiani così cari a noi storyteller. Chi erano gli esploratori? Facciamo un passo indietro, ricordando il significato di archetipi. Leggiamo in Wikipedia:
‘La parola archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di «immagine», composto da arché + typos, ed è stata utilizzata per la prima volta da Filone di Alessandria e, successivamente, da Dionigi di Alicarnasso e Luciano di Samosata.’
Gli archetipi sono presenti in ogni cultura, prendendo voce nei miti, nelle favole, nelle leggende che racchiudono in sé i principali temi dell’uomo dall’origine dei tempi.
Con la curiosità e la passione dell’esploratrice ho iniziato a sperimentare con il mio Oculus Quest e ho selezionato alcune piattaforme che ho testato. Il mio approccio alla tecnologia è diretto e basato sulla sperimentazione. Non mi accontento di leggere o apprendere le funzionalità dei device o delle piattaforme, devo ‘sporcarmi le mani’ e con tenacia provare e riprovare per capire.
Vediamo insieme che cosa sono le piattaforme di Social VR e perché possono essere utili a noi formatori per aule virtuali, per incontri con clienti ed eventi decisamente innovativi.
Piattaforme di Social VR
Ricordate sicuramente Second Life, un mondo virtuale elettronico digitale lanciato il 23 giugno 2003 dalla società americana Linden Lab a seguito di un’idea del fondatore, Philip Rosedale. Ha avuto un grande successo tanto che era stata coniata una moneta virtuale. Grandi aziende organizzavano eventi e società di formazione avevano iniziato a tenere corsi in quella realtà digitale. Non è stato abbandonato e può contare ancora su diversi appassionati che continuano a ritrovarsi e vivere insieme esperienze. Tuttavia negli anni sono nati altri mondi digitali più personalizzati ed evoluti.
Leggiamo su Wikipedia:
‘A virtual world is a computer-simulated environment which may be populated by many users who can create a personal avatar, and simultaneously and independently explore the virtual world, participate in its activities and communicate with others. These avatars can be textual, two or graphical representations, or live video avatars with auditory and touch sensations. ‘
Le piattaforme di Social VR permettono di condividere un luogo virtuale con altre persone, seguire corsi come quelli in lingua inglese con l’attivissimo Educators in VR ed alcune consentono di creare anche ambienti privati e molto personalizzati dove poter invitare i propri contatti o clienti e organizzare eventi.
Quali sono i plus? Vediamoli brevemente:
presenza
interazione
coinvolgimento
attenzione.
In poche parole immersività, perché in un luogo virtuale sei totalmente coinvolto e con l’uso di visori ti puoi muovere agilmente come in vera e propria presenza. Si interagisce, si può scrivere su una lavagna o mostrare le slide durante i convegni, si partecipa ad eventi, si condividono le stesse emozioni. Non c’è l’affaticamento o il desiderio di evadere che spesso si verifica durante le classiche riunioni in Zoom o GotoMeeting, perché si è in co-presenza.
Il livello di attenzione è superiore alla norma e si possono co-creare esperienze con i partecipanti in campo educativo e di formazione. Indossando un visore come Oculus Quest dopo un po’ di ore si è affaticati, ma mai annoiati.
Esperienze in VR
Come ho anticipato ho sperimentato diverse piattaforme, ma ho frequentato soprattutto Altaspace VR. Per trasmettervi le mie impressioni partirò dalle esperienze dirette, avendo partecipato a diversi eventi internazionali e italiani. Di seguito vi segnalo quelli che mi hanno interessato maggiormente in ambito italiano.
A marzo ho preso parte ad uno dei primi incontri del gruppo Italiani su Altspace (il mio avatar è il primo a sinistra con il giubbino arancione). Un momento didattico informativo sulla piattaforma condotto dal founder Simone Bennati (aka Bennaker).
Ad aprile si è tenuto un incontro con Pyramid Cafè e Edu3D su ‘VR Low Cost‘ organizzato da Francesco Spadafina (aka Magicflute).
A maggio ho partecipato ad un evento più ‘mondano’, la Virtual Gallery organizzata da Fabrizio di Lelio (aka Fb DL su Facebook e samo976 nei mondi virtuali). Ecco il link al video pubblicato su YouTube. Potete vederlo anche in calce all’articolo.
Un’esperienza davvero interessante sia dal punto di vista immersivo sia tecnico, perché Samo976 è davvero bravissimo nella realizzazione di ambienti in Altspace. Abbiamo sperimentato anche una visita virtuale ricca di esperienze e in più ambienti dalla sala allestita con mostra fotografica all’esposizione esterna con poesie all’evento live.
Durante il mese di giugno Francesco Spadafina ha organizzato due momenti molto coinvolgenti:
l’incontro con la docente Cristiana Pivetta su ‘I mondi virtuali e l’apprendimento‘ (vedi video su YouTube in calce);
Vernissage con Carmen Auletta dal titolo ‘Le poesie dipinte‘
Incontro con Cristiana Pivetta in Altspace VR
Vernissage di Carmen Auletta
Mostra in Altspace dedicata a Carmen Auletta
Due eventi molto diversi, in quanto nel primo abbiamo potuto ascoltare le esperienze dirette di Cristiana Pivetti che da molti anni ha fatto con gli studenti esperienze in ambienti virtuali, provando varie piattaforme e creando una didattica all’avanguardia.
Nel secondo evento siamo stati accolti nel mondo di Sharing TV con il direttore Domenico Di Conza per la performance canora di Ivana D’Alessandro per poi passare con il teleport nella Gallery ad ascoltare le poesie in napoletano declamate personalmente da Carmen Auletta durante la visita alle sue opere.
Lezioni universitarie e convegni
In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad esperimenti interessanti di alcune università che, causa del lockdown, hanno dovuto rivedere l’offerta formativa ed erogare i corsi, testando anche le piattaforme di social VR.
Ad aprile l’Università degli Studi di Napoli ‘Parthenope’ ha organizzato la prima lezione universitaria in Altspace VR, tenuta dal professor Gianluca Arnesano.
Lo scorso maggio il VR@Polito ha organizzato un incontro in cui docenti e studenti si sono potuti muovere come avatar all’interno del modello 3D in Bim del caso di studio che dovevano approfondire, condividendo in gruppo lo spazio virtuale.
Tra gli eventi internazionali e nazionali vi segnalo alcuni che si sono svolti in questi giorni o a cui parteciperò.
Dal 21 al 25 giugno è stata organizzata la iLRN2020 Open VirtualConference sulla piattaforma VirBELA sul tema ‘Vision 20/20: Hindsight, Insight, and Foresight in XR and Immersive Learning‘
Il 29 maggio AltaspaceVR ha ospitato il 1° Tech Talk “virtuale” di Hewlett-Packard con Spike Huang di HP e Alex Kipman di Microsoft.
Il 7 luglio prossimo parteciperò all’evento di SingularityU Milan dal titolo ‘Lavoro e tecnologie immersive’, accedendo alla meeting room sulla piattaforma VirBELA.
Piattaforme sperimentate
Anche se utilizzo normalmente il visore mi sono concentrata su alcune piattaforme WebXR che possono essere utilizzate anche su brower e possibilmente gratuite. Per coinvolgere un pubblico più ampio è infatti necessario non prevedere solo l’uso del visore che in Italia non è ancora così diffuso. Ho quindi studiato e preparato dei tutorial per i neofiti e per avvicinare i pubblici meno digitalizzati, esplorando le varie versioni.
Mozilla Hubs
Un’applicazione open source rilasciata nel 2018. Si può fuire di un ambiente già disponibile oppure completamente creato ad hoc e personalizzato con l’editor 3D Spoke. Piattaforma gratuita e di facile fruizione. Si possono proiettare le slide direttamente dal desktop.
Piattaforma di Microsoft viene fondata nel 2013 e lanciata nel 2015. Può essere fruita con visori standalone tra cui Oculus Go e Oculus Quest, ma è accessibile da brower scaricandola da Microsoft Store oppure da Steam. Nel caso in cui si disponga di iOS è necessario installare Parallels e così accedere a Windows. Si tratta di una piattaforma gratuita molto frequentata dove potete trovare dalle chiese virtuali ai corsi di yoga, di minfulness, di lingue come russo, cinese e inglese agli spettacoli con artisti internazionali.
Fu fondata dal CEO e Co-Founder, Anand Agarawala e Jinha Lee, Chief Product Officer (CPO) che si erano conosciuti a una TED conference nel 2013. Rilasciata nel 2016 è gratuita per tempo limitato, le aziende devono contattare la compagnia per ricevere un preventivo.
Fondata nel 2012 propone un open campus e spazi virtuali che possono essere affittati. Garantisce un’elevata personalizzare dell’avatar. Dispone di suono spaziale e un’ambientazione molto realistica. La piattaforma è gratuita nell’open campus, mentre le aziende devono richiedere un listino prezzi per gestire una propria aula o area.
La scelta è molto vasta ed è quindi necessario testare le varie soluzioni, tenendo presente i seguenti elementi:
prezzi
livello di personalizzazione degli avatar
possibilità di personalizzare o creare gli spazi
possibilità di condividere il desktop o mostrare le slide durante gli eventi/corsi
facilità d’accesso da parte degli utenti
l’audio che se spaziale può consentire di lavorare in più gruppi anche all’interno dello stesso ambiente.
accessori e feature disponibili sia per personalizzare o creare gli ambienti sia per interagire con i partecipanti
Sono convinta che, anche con la riapertura degli eventi in presenza, le piattaforme di Social VR possano essere una soluzione innovativa che cattura l’attenzione dei pubblici che gradiscono provare un’esperienza immersiva e coinvolgente.
Se desiderate avere una visione completa delle piattaforme disponibili sul mercato vi consiglio di leggere il testo ‘Remote collaboration the future of work virtual conferences‘ scritto da Charlie Fink con Mark Billinghurst e Joel Kotkin. Il manuale è stato presentato in anteprima durante l’ultimo convegno The VR/AR Global Summit Online che si è tenuto in streaming dal 1 al 3 giugno scorso.
Copertina del libro di Charlie Fink
Come dice Charlie Fink nel suo libro:
The thing everyone wants is not a technology, it’s engagement.
Il viaggio è iniziato più di un anno fa, quando studiando e vagando in rete, ho trovato MAPPS®, una metodologia che mi ha subito affascinato, perché basata su mappe e approccio metaforico. La tessera mancante al mio percorso di storyteller e trainer. Alla passione per la tecnologia e la narrazione unisco una lunga esperienza in azienda come product manager e formatore in Academy, ed ero alla ricerca non tanto di un game, ma di un metodo pratico rivolto agli obiettivi aziendali e alle strategie.
Da formatori spesso ci interroghiamo sulla nostra preparazione e cerchiamo di comprendere quale sia la scelta migliore:
considerarci ‘arrivati’ e utilizzare il livello raggiunto per la nostra attività
migliorare la nostra specializzazione
ampliare gli orizzonti anche con skill laterali.
Il mio approccio è di curiosità e di apertura verso il nuovo alla ricerca di strade meno battute, mai totalmente paga dei risultati raggiunti. In poche parole volevo aggiungere una tessera al mio puzzle personale, partendo da un lato dalla comunicazione, al corporate storytelling ed esperienze immersive (VR e AR storytelling) e dall’altro dall’esperienza di marketing e vendita fino alla strategia e alla facilitazione per affrontare le tematiche organizzative.
Questo è stato proprio il caso di MAPPS®. Nel 2018 ho contattato la società, Trivioquadrivio di Milano e chiesto un incontro individuale con il responsabile della metodologia, Enrico Marra. Al momento non erano disponibili corsi o train dei trainer e quest’idea è rimasta in gestazione. Sapete quando credete molto in un obiettivo e non riuscite a realizzarlo? Ecco questo era il mio stato d’animo: desiderio, insoddisfazione, determinazione al tempo stesso. Altri contatti da parte mia, un corso che era programmato in estate, ma non confermato e nel tempo l’interesse cresceva così come l’approfondimento.
L’attesa è finita e dopo due intense giornate di Train dei Trainer sono diventata facilitatrice.
Caratteristiche di MAPPS ®
MAPPS® una mappa per raggiungere risultati. Così viene definita nella pagina Facebook della Hi!Academy che propone le open session e i corsi.
Si tratta di una metodologia diapprendimento organizzativo e facilitazione orientata a promuovere il dialogo e lo scambio costruttivo all’interno dei team. Basata sulla metafora cartografica permette di affrontare le tematiche organizzative come un itinerario di viaggio. Gli ostacoli reali, le sfide e le opportunità diventano immagini e prendono vita in un confronto aperto con i colleghi sui punti di vista individuali volto al raggiungimento degli obiettivi comuni. La costruzione collettiva delle soluzioni, permette di tenere sotto controllo costante l’intero processo e offre uno strumento per una facile ed immediata condivisione al di fuori del gruppo. Il processo metodologico è finalizzato alla realizzazione di una roadmap da usare come strumento per orientare le proprie attività e quelle del proprio team.
Destinatari
A chi è rivolta questa metodologia? A manager o a figure intermedie aziendali che si trovano a dover allineare, gestire e guidare il proprio team nei processi di cambiamento organizzativo e/o al raggiungimento di obiettivi aziendali. Normalmente si prevede un modulo formativo di una giornata.
Obiettivi
L’obiettivo del workshop viene concordato con l’azienda, così come i gruppi da coinvolgere nel ‘viaggio’. Può essere, ad esempio, l’allineamento di un gruppo di lavoro, la costruzione di una strategia condivisa per raggiungere gli obiettivi a medio e lungo termine, aumentare la collaborazione tra vecchi e nuovi assunti in azienda. Vediamo insieme alcuni esempi d’applicazione.
Attraverso questa metodologia i facilitatori aiutano a:
allineare i membri del team sui valori aziendali e obiettivi di medio termine
facilitare il confronto tra i gruppi e coinvolgere le persone nel cambiamento
costruire un piano d’azione a breve termine grazie alle metafore
semplificare gli obiettivi aziendali, creando una road map collettiva e condivisa
creare un ‘diario di bordo’ per tener traccia delle azioni definite e attuate anche a distanza di tempo
evidenziare sinergie e collaborazioni tra gli uffici e i team per raggiungere l’obiettivo aziendale indicato dal management.
Nei miei workshop ho sempre definito il momento formativo un ‘viaggio’ da compiere con i discenti, viaggio che ci arricchisce e ci trasforma, portandoci ad avere maggiore consapevolezza e conoscenza. Ecco ora, grazie a MAPPS®, il viaggio è ancor meglio rappresentato e ha obiettivi molto chiari e definiti. Come arrivarci e costruire la nostra personale roadmap? Grazie al mio supporto di facilitatore.
Volete saperne di più e volete iniziare con me questo viaggio nelle vostre aziende? Sceglieremo una mappa di terra o di mare? Tutto da progettare insieme! Contattatemi all’indirizzo mail simonettapz@gmail.com.
Come formatrice e storyteller cerco di approfondire il tema dell’empatia e delle sue applicazioni. Spesso affermiamo che raccontare significa riuscire a creare empatia tra narratore e pubblico, suscitare emozioni. Ma che cos’è l’empatia e come possiamo attivarla? Come reagisce il nostro cervello?
Durante il XXXI Convegno nazionale dell’AIF (Associazione Italiana Formatori) che si è tenuto dal 7 al 9 novembre nella splendida cornice della città di Matera ho avuto modo di ascoltare molti speech dedicati a questo tema.
Prima di focalizzarci sull’empatia e le nostre emozioni vediamo le motivazioni per cui il convegno del 2019 è stato dedicato alla neuroformazione, scienze della mente e del cervello applicate all’apprendimento. Comprendere sempre meglio come funziona il nostro cervello e i collegamenti che l’arte della formazione attiva al suo interno può aiutarci a rendere sempre più coinvolgente la nostra professione, ha spiegato nella giornata introduttiva, Antonello Calvaruso, economista e studioso di neuroformazione. E ha aggiunto: ‘Apprendimento è togliere il superfluo. Le neuroscienze possono aiutare i formatori a raggiungere quest’obiettivo. Arte della formazione attiva settori e collegamenti nel cervello. ‘
Maurizio Milan, presidente nazionale AIF, ha precisato anche che: ‘Neuroscienze sono menti che studiano le menti. La multidisciplinarietà può dare a noi formatori un ampio margine di indagine e riprogettazione dei nostri interventi .’
Le neuroscienze possono aiutarci ad analizzare i fattori che determinano il successo a scuola e nel lavoro. Le competenze cognitive e non cognitive contribuiscono entrambe alla realizzazione accademica e lavorativa di un individuo, secondo la professoressa Raffaella Rumiati, docente di neuscienza cognitiva.
Risulta essenziale che ‘non si comunichi, ma si conversi con le neuroscienze, alzando il profilo della nostra professionalità di formatori, perché essere artigiani significa essere rinascimentali’, ha suggerito a noi formatori lo psicosocioanalista, Pino Varchetta.
Empatia ed emozioni
Concentrandoci sul cervello e l’empatia ho trovato di grande interesse l’intervento del professor Giacomo Rizzolatti che ha ripercorso con noi il momento della scoperta dei neuroni specchio e gli studi effettuati sull’emozione del disgusto con la risonanza magnetica funzionale a Marsiglia con i colleghi Gallese e l’olandese Geiser.
‘Il contenuto è indispensabile, se non si ha contenuto non ha senso comunicare, ma la maniera in cui si comunica è fondamentale. ‘
La prima scoperta è avvenuta nella scimmia e successivamente nell’uomo. Hanno riscontrato l’esistenza di neuroni che si attivano sia quando si fa un’azione sia quando si osserva un proprio simile che la sta compiendo.
Nel cervello umano esiste un’area denominata insula che si attiva in presenza delle emozioni sia provate sia viste in un’altra persona.
‘Empatia è quella condizione in cui tu ed io siamo nello stesso stato; i miei e i tuoi neuroni si attivano nella stessa maniera e allora io ti capisco veramente. L’empatia non corrisponde, tuttavia, alla bontà, perché anche i sadici capiscono le emozioni e sono bravissimi ad entrare nello stato delle altre persone’.
Secondo Rizzolatti, l’empatia è uno stato molto importante ed è fondamentale in due professioni:
insegnamento
medicina
Il tema dell’empatia è stato centrale anche nell’intervento di Cinzia Di Dio, ricercatrice di scienze psicologiche e neuroscienze. Quando ci soffermiamo ad osservare le opere d’arte si attiva l’insula, area del cervello responsabile dell’empatia. È possibile educare all’empatia attraverso la bellezza?- ha chiesto all’inizio del suo speech.
‘Attraverso la percezione del bello si riescono a toccare le corde emotive delle persone, lasciando traccie emozionali positive che si riflettono nei loro comportamenti ‘
Pare che sia possibile educare la nostra insula attraverso la bellezza e l’arte. Da ricerche effettuate risulta che il nostro cervello è più libero di apprezzare l’arte che non il reale, anche nei bambini nella primissima infanzia.
‘Mentre la mente conscia è influenzata da fattori esogeni come la moda, la conoscenza, il valore, la mente emozionale irrazionale ci fa vivere l’esperienza estetica consentendoci di sospirare in ammirazione‘.
L’arte ci apre a nuove esperienze, abbassa le nostre barriere e interfacciarci con l’arte può portare vantaggi dal punto di vista socio-emotivo. Non è ancora chiaro tuttavia se la neuroestetica possa impattare direttamente sulla formazione, perché si tratta di una scienza relativamente giovane.
Secondo il professor Edoardo Boncinelli, genetista Presidente del Comitato scientifico l’empatia si può spiegare in modo molto semplice: ‘consiste nel mettersi nei panni dell’altro. Sta scritta nel ns cervello e nelle nostre cellule neuronispecchio. ‘
‘Tutti avete capacità di esercitare empatia. ‘, ci rassicura Boncinelli. La scoperta dei neuroni specchio e del loro ruolo nell’empatia ha segnato un grande passo avanti nella ricerca, ma restano ancora molte funzioni del cervello che sono poco conosciute, quali, ad esempio, come sono scritti i nostri ricordi. Anche con l’avanzare dell’età i ricordi non si perdono, in particolare quelli che risalgono all’infanzia, quasi come se fossero scolpiti nella nostra mente. Nasciamo con un cervello immaturo che si sviluppa ancora fino circa ai quattordici anni di età e si plasma mentre noi cresciamo.
L’importanza della mente viene sottolineata da Giulio Giorello, filosofo della scienza, che ci mette in guardia contro uno dei principali rischi della rete, ossia l’ottundimento di senso critico e quindi cancellare lo spazio del dissenso. La mente è la cosa più importante, quella che ci permette di dire “non ci sto”, anche a costo della vita e della libertà.
Il filosofo economista, Matteo Motterlini ci ricorda che le scienze comportamentali ci hanno mostrato che siamo irrazionali. Siamo irrazionali in modo tuttavia prevedibile e sistematico tanto che la nostra irrazionalità, le nostre emozioni possono essere studiate razionalmente attraverso l’osservazione e l’esperimento. Nei contesti di educazione e formazione le neuroscienze ci portano a ripensare il concetto stesso di razionalità umana non solo come adesione alle regole corrette della logica. Dobbiamo conoscere meglio noi stessi come ci indicava Socrate, avere una metarappresentazione delle nostre capacità cognitive e del condizionamento delle nostre emozioni.
Motterlini ha anche invitato noi formatori a sperimentare in aula, magari proponendo lo stesso argomento con un approccio più freddo e autoritario su un gruppo di discenti e con un atteggiamento empatico che coinvolga le emozioni su un altro gruppo per vedere le risposte ed i risultati d’apprendimento.
Creatività
Altro tema di grande interesse approfondito durante il convegno è la creatività. Per il professor Rizzolatti esiste una lunga fase necessaria prima della creatività detta ‘preparation‘. Si impara per imitazione che non deve essere considerata in modo negativo, perché è la base della creatività. Alcune persone hanno un’intelligenza fluida e vedono applicazioni particolari, ma devono essere comunque preparate. Non si improvvisa.
Secondo il neurofisiologo MarcelloMassimini la creatività non è necessariamente cosciente, ma è una sorta di predizione basata sul modello della realtà da parte del cervelletto (feedforward). Aggiunge che durante il sonno il nostro cervello è molto attivo. Più certe aree imparano durante il giorno più vanno offline nel sonno per un processo di consolidamento. Il sonno è il prezzo che paghiamo per avere cervello plastico. Si rinormalizzano i circuiti e si ricalibrano.
Comprendere come funziona la nostra mentepuò essere un valido aiuto per rapportarci con gli altri durante le sessioni formative.
‘Come formatori vendiamo l’empatia‘, afferma Antonello Calvaruso, che ci parla dei suoi studi sul passaggio da formazione basata su empatia a quella ispirata a concetto di modelling. La formazione basata sull’imitazione, ossia prendere gli altri come modello può essere indagata e applicata con successo da tutti noi.
Molti altri temi di grande attualità sono stati trattati durante il XXXI Convegno nazionale AIF nell’approfondire il confronto tra formazione e neuroscienze. Potete rivivere i contenuti delle giornate, grazie al livetweeting organizzati su Wakelet.
Chi si ricorda ‘Cogito ergo sum‘ di Cartesio? Oggi l’espressione più attuale è quella suggerita da Guy Kawasaki: ‘I pitch therefore I am‘. Parliamo sempre più frequentemente in pubblico in pitch più o meno brevi, prepariamo presentazioni inerenti la nostra attività o i nostri progetti, momenti importanti della nostra vita professionale che richiedono sintesi, chiarezza ed efficacia. Non tutti siamo preparati a questo nuovo compito e, a volte, non riusciamo a raggiungere i goal sperati.
Negli anni ho seguito molti pitch, relazioni e presentazioni aziendali e il 13 giugno 2018 ho tenuto un workshop alla SMW di Milano in cui ho cercato di trasmettere alcune riflessioni basate sulla mia esperienza diretta e su approfondimenti condotti su alcuni testi dedicati all’argomento.
Sono totalmente d’accordo con Rahul Jain, Social Media Enthusiast HR Professional, che non esiste un format perfetto.
There is no PERFECT pitch format. Understand your audience and adjust’
Ma se non esiste una formula, quali regole seguire per essere efficaci? Studiare e sperimentare, imparando dagli errori propri e da quelli degli altri; questa a mio parere è una buona prassi.
Qualche settimana fa ho partecipato ad un workshop Lego Seriuos Play e SCRUM organizzato da Fabrizio Faraco, Andrea Romoli e Michael Forni e mi sono messa in gioco. Abbiamo dovuto simulare un elevator pitch di solo cinque minuti. Nonostante la validità dell’idea, il nostro gruppo non ha vinto a causa di un’esposizione poco coinvolgente. Mi sono interrogata sulle motivazioni e, dopo aver riascoltato la registrazione delle due presentazioni e aver fatto un’analisi obiettiva della performance del nostro team, mi sono resa conto che spesso, messi alle strette, dimentichiamo i fondamentali.
Quali spunti utili ho tratto da quest’esperienza?
dedichiamo più tempo al progetto che alla preparazione e alle prove del pitch, dimenticando l’importanza di entrare in empatia con il nostro pubblico e gli eventuali investitori.
è necessario tanto esercizio per risultare fluenti. Questo non significa imparare a memoria il pitch, in quanto si risulterebbe poco spontanei. Tuttavia bisogna essere sicuri sull’incipit e sulla call to action, perché capiterà spesso di dover ridurre i tempi della presentazione a causa della mancanza di tempo, ritardi nell’organizzazione, speech precedenti che si sono prolungati.
se decidiamo di coinvolgere più membri del team dobbiamo necessariamente coordinarci bene e provare in gruppo in modo da non avere stacchi bruschi, ma un gioco di squadra armonico.
se desideriamo e possiamo proiettare delle slide è opportuno seguire il metodo 10/20/30 di Guy Kawasaki ossia 10 slide per 20 minuti con testo corpo 30.
Come leggiamo nel libro “The art of start 2.0” di GuyKawasaki, il pitch non ha solo finalità di ottenere finanziamenti, ma di creare consenso nei nostri confronti e verso il nostro prodotto e metterci in connessione per poi approfondire. Si parla di fiducia e le storie ispirano fiducia.
They want faith faith in you, your product, your success, and in the story you tell. Faith, not facts, moves mountains. Meaningful stories inspire faith in you and your product
Grazie alla diffusione soprattutto degli investor pitch negli hackathon, Pitch è diventata quasi una buzzword, ma le occasioni in cui ci troviamo a dover parlare in pubblico e presentare il nostro progetto sono le più svariate: dagli incontri con fornitori e clienti alle conferenze, agli eventi di networking, ecc. I guru americani consigliano di esercitarci con parenti e amici su 3 tipi di pitch di durata differente per presentare noi stessi:
The Full elevator pitch
The Handshake
The Eyeblink.
Discorsi di pochi minuti che dovrebbero essere sempre pronti e aggiornati, perché l’occasione di presentarci può nascere all’improvviso anche solo con una stretta di mano. Per avere degli elementi di riflessione e cercare di individuare delle buone pratiche partiamo dai cinque errori più frequenti.
Errori frequenti
Di seguito ho provato ad elencare gli errori che ho notato, assistendo a pitch e a presentazioni nell’ultimo anno:
slide con troppi dettagli e tecnicismi,
assenza di narrazione
poco entusiasmo
improvvisazione
debole call to action
Ho quindi cercato di individuare delle metodologie utili su testi di autori italiani e stranieri dedicati a questo tema. Nel suo libro “Pitch anything” Oren Klaff precisa che, secondo i neuroscienziati, il cervello umano è costituito da 3 cervelli che lavorano insieme, ma separatemente: corteccia, limbico e rettiliano.
Quando teniamo una presentazione la nostra neocorteccia pensa di rivolgersi alla neocorteccia dell’interlocutore, in realtà il messaggio arriva al rettiliano che è il cervello primordiale che ignora il messaggio a meno che non sia nuovo, accattivante o pericoloso.
L’autore suggerisce un metodo per catturare l’attenzione e conquistare il rettiliano. Il metodo è identificato dall’acronimo STRONG, ossia:
Set the frame – definisci una situazione e punto di partenza,
Tell the story – coinvolgi nel tuo racconto anche con immagini,
Reveal the intrigue – stimola la curiosità,
Offer the prize – offri una ricompensa che sei tu e il tuo prodotto che risolve un problema
Nail the hookpoint – aggancia l’audience
Get the deal – convinci il tuo interlocutore
In poche parole pensiamo al pitch come ad una storia breve che deve contenere elementi di tensione. Non è detto che debba essere sempre positiva.
STORIA O RACCONTO?
Spesso si pensa che un semplice aneddoto inserito nel discorso possa essere efficace, senza comprendere la differenza che esiste tra storia e racconto. Su questo tema possiamo ricorrere alla definizione fornita da Andrea Fontana nel suo libro ‘ Storytelling d’Impresa – la guida definitiva’.
Storytelling significa comunicare attraverso racconti
‘storia e racconto non sono la stessa cosa’ – afferma l’autore. Possiamo dire che la storia (in inglese history), corrisponda ad una sequenza di dati ed eventi con una base cronologica mentre il racconto (in inglese story) è un ‘sistema di rappresentazione percettivo’.
Elemento base del racconto sono le emozioni che ci mettono in connessione con i nostri pubblici. Le narrazioni seguono uno stesso schema, ossia un inizio con un stato di equilibrio, la rottura dell’equilibrio, le peripezie, la trasformazione e il ripristino dell’equilibrio finale.
Questo schema può essere applicato anche ad un pitch? Secondo Nancy Duarte il pitch per essere ‘persuasive’ deve seguire uno schema in 3 atti (inizio, parte centrale e conclusione) con molti momenti che si dividono tra ‘ la situazione così com’è e come potrebbe essere’.
Nella fase iniziale la Duarte suggerisce di presentare la situazione o il problema che si intende risolvere e far vedere gli sviluppi che potrebbe avere. Appare quindi evidente una frattura, un gap. Nella parte centrale è importante mantenere alta la tensione e in conclusione spiegare i benefici e fare una call to action coinvolgente.
Segue la struttura in 3 atti anche il modello S.Co.R.E di Andrew Abela, utile per narrare le storie complesse nell’investor pitch. Maurizio La Cava nel suo libro ‘Investor Pitch’ ci spiega l’acronimo e come applicarlo anche con esempi pratici:
Situation – Complication – Resolution a cui Abela aggiunge anche un quarto: Examples, indispensabile per meglio chiarire i concetti chiave che si desiderano esprimere.
Sempre di stories parla anche Carmine Gallo nel suo libro “Talk like TED” , ma le inserisce in una fase precisa del Message Map Template basato sulla regola del 3. Si parte da una Headline che riassume come in un tweet di 140 caratteri il concetto chiave che si vuole far arrivare agli interlocutori, poi seguono 3 messaggi o key points e a ciascuno 3 bullet points che sono storie, statistiche o esempi. Solo 3 concetti, perché la mente umana può processare solo 3 informazioni nella memoria a breve termine
Ma dove trovare l’ispirazione per i racconti? Un semplice evento può essere una storia d’ispirazione per il nostro pubblico? Per non trovarci impreparati possiamo creare una raccolta, considerando alcuni aspetti della nostra attività:
momenti importanti della tua vita o del team
mentori che ti hanno aiutato nel percorso e nel cambiamento
avversari che hai incontrato nel percorso
luoghi che hanno avuto significato
Le quattro fasi del pich
Per procedere in un’analisi approfondita ho suddiviso il processo in 4 fasi principali:
preparazione,
esposizione,
conclusione,
analisi.
Per quanto concerne la preparazione consideriamo il tempo che abbiamo a disposizione per lasciare spazio alle domande finali ed approfondimenti. Dobbiamo creare uno storyboard, ossia una sceneggiatura con testi e tempi. Lo storyboard può essere un semplice schizzo su un foglio condiviso con il team oppure può essere più professionale realizzato in digitale con il tool, Storyboard That.
Dobbiamo infine considerare i pubblici a cui ci rivolgiamo: clienti, potenziali investitori e potenziali soci o team. Il pitch deve adattarsi allo scopo che ci prefiggiamo e ai nostri interlocutori.
Nella fase di esposizione i primi 10” sono fondamentali, in particolar modo negli investor pitch degli hackathon, in quanto molte presentazioni si susseguono con un calo d’attenzione significativa. Pare infatti che il livello d’attenzione si riduca dopo i primi 5 minuti. E se saremo il decimo gruppo a presentare il nostro progetto? Non possiamo che trovare soluzioni per farci ascoltare e ricordare.
Durante gli ultimi Opening Days che si sono tenuti alla Scuola Holden la scorsa settimana ho assistito a diversi pitch e ho tratto alcuni spunti interessanti. Ecco qualche suggerimento per creare la scena e aprire il nostro discorso:
musica di fondo
lettura di un brano
oggetti evocativi
voce fuori scena
video
Per la creazione delle slide possiamo trarre ispirazione dal sito Product Hunt, molto noto nel mondo delle startup dove sono consultabili molte presentazioni di piccole o grandi aziende quali ad esempio Airbnb, mentre una base di pitch deck template è reperibile da Google doc presentation .
Se desideriamo invece creare un video di presentazione suggerisco di provare due tools interessanti:
Adobe Spark Video che consente d’inserire testo e voice oltre a immagini. Disponibile per iOS
PowToon, un’app web con cui creare un avatar e aggiungere al video immagini, sfondi, transizioni, segni o testi secondo la propria idea creativa.
Nella fase della conclusione diamo spazio a una call to action chiara e coinvolgente, utile a farci emergere e a farci ottenere un secondo incontro d’approfondimento. In questo caso, se si tratta di un investor pitch, potremo presentare il nostro Business Plan corredato di dati e report dettagliati, attività e vision imprenditoriale.
L’ultima fase è quella dell’analisi, indispensabile per comprendere gli elementi positivi e negativi della presentazione. Ricordiamoci di essere molto obiettivi e severi per riuscire a migliorare e non ripetere gli stessi errori.
Per altri suggerimenti potete consultare le slide presentate a SMW Milano e caricate su slideshare. Contattatemi per maggiori dettagli e per creare insieme il vostro pitch efficace!
Fonti
“The art of start 2.0 – autore Guy Kawasaki – ed. Penguin – cap. 6 ‘The art of pitching’
“Pitch anything- la presentazione perfetta” – autore Oren Klaff – ed. Roi Edizioni- cap.1 ‘Il metodo’
Che cosa significa ‘Lifelong learning‘ e perché è diventato un tema molto attuale? Grazie all’industria 4.0 e alla digital innovation stiamo assistendo a un’evoluzione dei profili professionali e delle competenze con un impatto rilevante sul mondo della formazione.
La definizione di lifelong learning di Wikipedia mette l’accento sul cambiamento : ‘Il lifelong learning (o apprendimento permanente) è un processo individuale intenzionale che mira all’acquisizione di ruoli e competenze e che comporta un cambiamento relativamente stabile nel tempo. Tale processo ha come scopo quello di modificare o sostituire un apprendimento non più adeguato rispetto ai nuovi bisogni sociali o lavorativi, in campo professionale o personale.‘
Come precisa la giornalista Luisa Adani in un articolo pubblicato lunedì 3 luglio sul supplemento ‘L’Economia del Corriere della Sera intitolato ‘Industria 4.0, competenze cercansi’:
‘La formazione è il passaggio chiave per affrontare il processo di innovazione in azienda e ciò non solo per sviluppare le ovvie competenze tecniche e tecnologiche, ma anche per gestirne l’indispensabile processo di trasformazione culturale e organizzativa. ‘
L’articolo contiene anche un grafico molto interessante sulla survey effettuata su 205 aziende dall’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. Risulta che il 74% ritiene fondamentale utilizzare device digitali, il 54% impiegare i Big Data per prevenire i mercati, 34% utilizzare Augmenteed/Virtual Reality. Se analizziamo la formazione digitale emerge che il 62% stanno sviluppando corsi specifici, ma il 76% tramite approcci tradizionali. Solo il 24% utilizza approcci innovativi.
Ho cercato di approfondire sul sito Osservatori.net e dal comunicato stampaho appreso che ‘i corsi di formazione si terranno principalmente tramite lezioni in aula in presenza, ma tra gli approcci formativi innovativi il metodo più diffuso è quello dei corsi online, sia webinar che sistemi più complessi di e-learning. Raro, ma da segnalare anche l’uso di realtà virtuale e aumentata per la formazione di operatori di linea.’
Se da un lato si assiste a una conferma dei corsi in aula dall’altro, grazie all’intelligenza artificiale, diventa sempre più stretto il legame tra MachineLearning e LifelongLearning. Nell’articolo ‘Re-educating Rita‘ pubblicato il 25 giugno 2016 in Economist.com si ripercorre la nascita dei primi corsi di e-learning. Conoscete la loro storia?
A luglio 2011 il professore di Stanford, Sebastian Thrun, annunciò con un breve video su Youtube un corso gratuito online “Introduction to Artificial Intelligence”, che avrebbe tenuto in co-docenza con il collega, Peter Norvig. Le iscrizioni furono numerosissime: 160.000 persone in 190 nazioni. Nello stesso periodo un altro professore di Stanford, Andrew Ng, tenne un corso gratuito online sul machine learning con 100.000 iscritti. Queste metodologie innovative sono conosciute con il termine Massive Open Online Courses (MOOCs) e hanno dato vita ai molti corsi online offerti dalle università internazionali.
‘In 2012 Mr Thrun founded an online-education startup called Udacity, and Mr Ng co-founded another, called Coursera.[…]The fact that Udacity, Coursera and edX all emerged from AI labs highlights the conviction within the AI community that education systems need an overhaul. Mr Thrun says he founded Udacity as an “antidote to the ongoing AI revolution”, which will require workers to acquire new skills throughout their careers.
Similarly, Mr Ng thinks that given the potential impact of their work on the labour market, AI researchers “have an ethical responsibility to step up and address the problems we cause; Coursera, he says, is his contribution. Moreover, AI technology has great potential in education. “Adaptive learning”—software that tailors courses for each student individually, presenting concepts in the order he will find easiest to understand and enabling him to work at his own pace—has seemed to be just around the corner for years. But new machine-learning techniques might at last help it deliver on its promise.”.’
Nell’articolo si sottolinea quanto la disruption che sta investendo tutti i settori industriali e l’intelligenza artificiale avranno lo stesso impatto della rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo.
The rise of artificial intelligence could well do the same again, making it necessary to transform educational practices and, with adaptive learning, offering a way of doing so.
Secondo Joel Mokyr della Northwestern University, dal 1945 la formazione ha incoraggiato la specializzazione, ma dal momento che la conoscenza diventa obsoleta molto velocemente ‘the most important thing will be learning to relearn, rather than learning how to do one thing very well. Deve quindi variare l’approccio e la formazione deve durare la vita intera, afferma Mr. Ng:
You need to keep learning your entire life—that’s been obvious for a long time. What you learn in college isn’t enough to keep you going for the next 40 years.
Di formazione e autoformazione si è parlato anche nella settima edizione dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ha condotto una survey su 170 direttori HR di medio-grandi aziende che operano in Italia, i cui risultati sono stati presentati lo scorso maggio a Milano. Leggiamo dal comunicato stampa:
‘Il 97% dei referenti HR sostiene che nei prossimi due anni tutte le persone dell’organizzazione dovranno adeguare le proprie competenze (il 69% per tutte le persone, il 28% solo per alcuni). […] Tra le competenze digitali, servono soprattutto la conoscenza di applicazioni Social, Mobile, Cloud, Analytics per l’ambito HR ma contano anche le digital soft skill, la cui rilevanza aumenterà nei prossimi due anni per il 57% del campione.[…]Le principali modalità formative per l’aggiornamento secondo i lavoratori saranno i corsi di formazione aziendali (67%) e il confronto con i colleghi (37%), ma cresce la rilevanza di piattaforme esterne, come gli strumenti online (Youtube, TED, forum, evidenziati dal 30%) e i corsi presso Business School o Università (19%).‘
Emerge quindi l’esigenza di affiancare a corsi in-house, il digital learning che possa essere fruito sempre e in ogni luogo e costruito su misura per il discente per accelerare il processo di trasformazione ed aggiornamento ormai indispensabile per l’industria 4.0.
Nascono quindi nuove modalità d’ingaggio delle risorse umane all’interno delle organizzazioni. Nel comunicato stampa leggiamo che in occasione del convegno sono stati assegnati gli HR Innovation Award 2017 alle organizzazioni che si sono distinte per la capacità di utilizzare le tecnologie digitali come leva di innovazione e miglioramento dei principali processi di gestione e sviluppo delle risorse umane. Tra i vincitori mi hanno colpito:’ Intesa Sanpaolo per la categoria “Formazione” con il progetto di Digital Learning Innovare la formazione e SIRAM per l’iniziativa Innovation Map, una campagna di ingaggio dei dipendenti in un percorso di sviluppo sul tema dell’innovazione attraverso un gioco, una piattaforma on-line di e-learning e un progetto social, che ha portato allo sviluppo del primo incubatore di Siram, Siram L@b, allo scopo di rendere continuativo il processo di miglioramento e alimentare la cultura di innovazione in azienda.’
Vi consiglio di approfondire sul sito di Intesa Sanpaolo nella pagina dedicata alla formazione dove si precisa che utilizzano ‘diversi canali integrati fra loro (aula, e-learning, web tv on demand e comunità virtuali) e metodologie di apprendimento innovative.[…] una formazione personalizzata per chi affronta un nuovo ruolo o vuole consolidare competenze e comportamenti richiesti dal proprio attuale ruolo. Circa 300 iniziative suddivise in 11 aree tematiche. Per chi vuole lavorare su specifiche conoscenze e competenze professionali.’
In merito a SIRAM ho consultato il sito che ‘ha lo scopo di sensibilizzare e diffondere un linguaggio comune sull’innovazione tra tutti i dipendenti presenti sul territorio italiano‘ attraverso attività di gioco e video per creare gli Innovation Changer. Vi suggerisco di leggere anche l’articolo di Gaia Fiertler su www.digital4.biz, nel quale Carlotta Dainese, Innovation Manager di Siram Group, fornisce maggiori dettagli sulprogetto. ‘”Innovation Map”, si è articolato in due fasi. La prima ha visto il lancio a novembre, direttamente con la sponsorizzazione dell’Amministratore Delegato, di una campagna di ingaggio per tutti i dipendenti per misurare la “temperatura” dell’innovazione in azienda, iniziare a creare un linguaggio comune e individuare quelli che faranno da catalizzatori (Innovation Changer) su questi temi in azienda. La seconda fase è prevista per giugno, con l’incubatore SiramL@b, che formerà una sessantina di colleghi su competenze tecniche e soft, impegnati in 12 squadre a realizzare i quattro progetti strategici selezionati tra le proposte arrivate online.’
Sempre sul tema delle piattaforme e dell’apprendimento tramite gamification ho trovato un’interessante l’esperienza di GamEffective che propone 20 “escape room” narrative , “The Perfect Workday” adatta a in-class training e on-the-job learning.
Potete vedere il video di presentazione su YouTube a https://youtu.be/kOX1k4E-hmA.
Gal Rimon, CEO di GamEffective precisa quantto segue:
“We’ve emphasized the simple administration of the game, so that learning and development professionals can deliver something that’s at a high product value, yet enjoy the benefits and quick time to launch of a platform, as opposed to custom game development”.
Recentemente ho approfondito il tema del digital learning al Corporate Digital Learning Summit, organizzato da Altaformazione il 10 maggio scorso a Milano. Per avere una panoramica dell’evento vi suggerisco il video su Live Scribing realizzato durante la giornata che trovate in fondo all’articolo. Sul sito potete seguire i video degli speeches pubblicati.
Quali sono state le evidenze emerse durante il convegno? Vediamone alcune:
Digital Learning in Italia è in ripresa – a metà anni 2000 ha subito un momento di stasi molto significativa sia in ambito accademico sia nel mondo aziendale. Oggi è in ripresa e sono usciti dal mercato players poco consolidati e con competenze minori
Social learning riconfigura gli apprendimenti in contesti formali ed informali. Utilizza i social media -ambienti non abitualmente pensati per l’apprendimento, ma garantiscono al formatore opportunità interessanti
la scuola vive in una società ormai digitale quindi deve essere attenta all’innovazione per fornire agli studenti chiavi di accesso al loro presente
con l’adozione dei media digitali si verificano cambiamenti significativi nella formazione: il docente ‘parla di meno’, il
Fare assume un ruolo di primo piano e quindi l’apprendimento è basato sulla scoperta. Aumenta la progettazione per cui è più difficile improvvisare e si modificano anche le pratiche di valutazione.
abbiamo a disposizione troppe informazioni. Non servono nuovi contenuti, ma strumenti per capire quali siano più efficaci
le nuove tecnologie possono essere utili per i contesti formativi. Ad esempio l’Oculus VR può essere utile per l’apprendimento pratico in alcuni contesti specifici (chirurghi, piloti, etc), la Video camera 360 consente di produrre contenuti 3D prodotti in casa a basso costo e utilizzabili per percorsi formativi specifici.
Tra i molti interventi interessanti condivido con voi quello di Elliott Masie di The MASIE Center in collegamento da New York. Masie suggerisce di prendere la ‘e’ di e-learning ed espanderla. Non è solo ‘electronic learning’, ma
everywhere
everyone
evolving
efficient
engaging’
ossia il ‘reach of learning’ può raggiungere l’utente ovunque egli sia, in qualsiasi momento e in tante modalità differenti, rendendolo davvero protagonista del momento formativo, Abbiamo a disposizione moltissimi siti per apprendere, ma quello che conta davvero è ‘bringing together the learning moment and the learner’.
Digital learning is exciting, but what make it really exciting for us right now is that we are going to start to design and create things that are different. Our goal is once again not to publish content, but bring and engage people in learning experiences
Come professionisti dobbiamo espandere il nostro modo di pensare l’apprendimento proprio secondo le 5 ‘e’ sopracitate. Secondo Masie è sbagliato separare il digital learning dall’apprendimento in aula, perché esiste una sinergia tra le differenti metodologie.
Si può iniziare seguendo un corso digitale per poi continuare in presenza con alcuni docenti, o ancora con un video live o meeting. A volte si desidera approfondire in un secondo momento, al bisogno o con altre modalità. Molti cambiamenti stanno avvenendo nel mondo della formazione.
Stiamo scrivendo insieme il futuro e di questo dobbiamo essere consapevoli, conclude Masie.
Il digital learning dovrebbe iniziare già dai primi anni di scolarizzazione, ma le scuole fanno molta fatica a stare al passo, come emerge dallo studio realizzato da Fujitsu: “Road to Digital Learning” (pubblicato in un post da Datamanager.it), che fornisce un quadro della digitalizzazione in ambito scolastico, sulla base di una survey condotta su oltre 600 reponsabili IT di scuole di vario ordine e grado di sette Paesi: Australia, Germania, Hong Kong, Indonesia, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti. Le difficoltà sono dovute ai budget a disposizione degli istituiti spesso non adeguati, ma soprattutto alla mancanza di formazione del corpo docente. I dati che emergono sono:
‘le scuole, i college e le università si trovano sotto una crescente pressione per soddisfare le aspettative dei genitori e degli studenti e rimanere competitive. Più di tre quarti (77%) degli istituti spera di diventare un centro digitale di eccellenza nei prossimi cinque anni. Ma in molte realtà, l’apprendimento digitale è ancora lontano dall’essere avviato: circa l’87% delle scuole primarie e secondarie non fornisce ancora dispositivi agli allievi, e dove lo fanno, in media un dispositivo è condiviso da tre bambini.’
Quanto al corpo docente:’ quasi il 94% pensa infatti che l’apprendimento personalizzato sia “importante” o “molto importante”, e l’84% ritiene di avere il dovere di preparare i propri studenti per un futuro digitale. ‘
Secondo Ash Merchant, Director of Education della Fujitsu (vedi sito):
Digital technology brings so many opportunities to education, including more personalized learning and progress feedback, self-initiated learning with anytime, anywhere access to additional resources, and enhanced collaboration between students, teachers, and parents.
La formazione dovrà necessariamente accelerare il processo di trasformazione per adeguarsi alle nuove competenze e soft skills richieste dal mercato, adottando nuove tecnologie, aggiornando i programmi di studio e includendo materie quali il coding fino dalla prima infanzia. in poche parole dovrà essere più flessibile rispetto ai cambiamenti in atto. Secondo Accenture un terzo delle competenze richieste entro il 2020 sarà fra quelle che oggi non sono ancora considerate fondamentali e al Word Economic Forum di Davos si è detto che l’intelligenza artificiale potrà raddoppiare la crescita economica, con un balzo della produttività del 40% nei 12 Paesi considerati (fonte articolo di Digital4)
Non dobbiamo, tuttavia, essere spaventati dalla nuova rivoluzione industriale che stiamo vivendo. Nell’articolo di Gaia Fiertler su Digital4, leggiamo:
«Il conflitto tra uomini e robot si può superare attraverso un piano nazionale di sostegno alla crescita del capitale umano – ha rilanciato il Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla -. Il nostro impegno è massimo perché questa è l’occasione per modernizzare il Paese e non possiamo perderla».
Da molto tempo desidero scrivere un post sulla golf experience, non tanto per parlare dello swing perfetto, ma della lezione di vita che si apprende giocando a golf, in particolar modo di una consapevolezza, un’apertura mentale che porta a realizzare i propri obiettivi.
Mi sono avvicinata a questo sport da poco meno di due anni principalmente per curiosità, anche se per molto tempo avevo preferito attività quali lo sci, la corsa, etc. che ritenevo più impegnative dal punto di vista fisico. Un preconcetto che si è subito rivelato infondato, in quanto lo sforzo fisico e mentale richiesto dal golf è superiore a quello di molti altri sport.
‘Il golf non è solo tirare colpi a una pallina, ma è anche strategia di gioco, senza un avversario umano reale’ -cit. Emanuele Castellani
Dopo aver iniziato a praticare ho cercato di approfondire e di capire le dinamiche insite nel gioco. E’ interessante notare come vengano attivati i due emisferi del cervello, come precisa Gary Wiren : emisfero sinistro per analizzare le condizioni ambientali, la scelta del bastone ed emisfero destro per attivare le sensazioni e l’emotività. Potete approfondire nel testo di Willy Pasini e di Gary Wiren stesso(*).
Le doti necessarie per praticare il golf sono sicuramente concentrazione, calma, nervi saldi, qualità importanti anche nella vita professionale. Aggiungo resilienza ed equilibrio, in quanto la sfida (soprattutto se si pratica fuori dal momento di gara) è con sé stessi, con la propria capacità di resistere e voler migliorare. Quante volte ho pensato di abbandonare, ma poi all’improvviso vedi un passo avanti inaspettato. Lo swing è un’arte e come tale bisogna mettere in gioco tutto sé stesso. Sembra impossibile ricordare i movimenti, perché in realtà bisogna sentirli con il cuore.
Devi guardare la pallina un momento e poi sentire il tuo corpo
Ti pare di non fare progressi su quel campo pratica, provi e riprovi i movimenti e quando vai sul green non sempre riesci a riprodurre i movimenti corretti, perché entrano in gioco altri fattori quali il vento, il sole, le salite, le discese, il ‘bunk’ che non sai come superare.
Emozioni altalenanti ti accompagnano, ma non puoi arrenderti. Ho rivissuto le senzazioni vedendo il film “La Leggenda di Bagger Vance” del 2000 diretto da Robert Redford, tratto dall’ omonimo romanzo di Steven Pressfield.
La trama è semplice: un giovane e eccellente giocatore di golf di Savannah in Georgia, Rannulph Junuh, torna dalla prima guerra mondiale traumatizzato e si rifugia per anni nell’alcol, senza speranza. Viene coinvolto in un torneo di golf con i due più grandi giocatori d’America (Bobby Jones e Walter Hagen) e supportato da un’eccezionale caddie, Bagger Vance, e da una donna bellissima, Adele Invergordon, riesce a vincere e a ritrovare l’amore.
Vi invito a fare un’analisi in ottica narrativa della scena cruciale del film (climax). Seguite la golf experience vissuta da Junuh con attenzione!
Il protagonista è il giovane giocatore di golf, Rannulph Junuh (Matt Damon), mentre il Mentore è il caddie, Bagger Vance (Will Smith). Tutto sembra perduto per sempre. La pallina è ‘fuori da campo’ in mezzo al bosco, in posizione difficilissima da giocare. Junuh si sente sconfitto, si guarda intorno per cercare una via di fuga, ma non la vede, gli tremano le mani, sta per raccogliere la pallina ed arrendersi.In quel momento interviene Vance e gli propone un altro legno e lo convince a superare la ‘crisi’ , cercando la forza dentro di sé.
Nella parte conclusiva del dialogo emerge chiaramente il ruolo del mentore, assimilabile a quello del coach motivazionale:
momento di climax
Junuh: “Non posso” Vance: “Sì che puoi e non sei solo. Insieme a te ci sono io. Sono sempre stato qui. Adesso gioca il tuo gioco, quello che soltanto tu eri destinato a giocare, quello che ti è stato donato quando sei venuto al mondo.
Sei pronto? Allora mettiti sulla palla, colpisci quella palla, non trattenere niente. Dagli tutto te stesso, il momento è ora. Lasciati andare ai ricordi, a ricordare il tuo swing. Bene così. Stai tranquillo. Così va bene. Il momento è ora!”
Possiamo notare come la scena riprenda gli elementi fondamentali dello schema classico di Propp. La ‘crisi’ non è solo rappresentata dal campo di gioco, dall’errore, ma è molto più profonda. In realtà è una crisi d’identità, di fiducia in sè stessi e nelle proprie capacità di superare le difficoltà oggettive, di prendere una decisione e quindi di vivere.
Quando il protagonista riesce a scegliere e a riprendere la concentrazione, l’equilibrio, supera la difficoltà ed esce trasformato dall’esperienza. Non importa tanto la vittoria sul campo da golf, quanto sul suo stato mentale..
Quante volte nella nostra vita professionale ci troviamo a dover affrontare crisi di ruolo e restiamo immobili, perché non riusciamo a scegliere un nuovo lavoro, una nuova responsabilità, un trasferimento, un cambiamento? Succede molto frequentemente a tutti noi e spesso rinunciamo rispettando quel ‘copione’ che abbiamo scritto molti anni prima o che qualcun altro ha scritto per noi.
Nel golf dobbiamo scegliere, non possiamo restare immobili. Ci mette di fronte al nostro essere più profondo, ci fa capire le nostre debolezze e ci induce a cambiare. Proprio per questo motivo
il golf può diventare davvero metafora della vita
Come afferma Emanuele Castellani (**) nel suo libro di cui trovate i riferimenti nelle fonti:
‘ciascuna delle componenti del golf trova un parallelismo nella nostra vita e, spostandoci a un livello meta, più profondo, ci è richiesto di entrare in contatto con il “centro” di noi stessi per imprimere il giusto movimento alla pallina in un equilibrio delicato tra il controllare e il lasciare andare. Questo equivale a esprimere così la nostra potenza vitale. […] Inoltre il golf ci fa fare un esercizio di presenza, ci ancora al momento presente, ci stimola a esserci fino in fondo. e questo c’entra eccome con la vita e con le scelte che ogni giorno responsabilmente siamo chiamati, nel presente, a fare!’
L’equilibrio è fondamentale per migliorare la prestazione anche in campo professionale: riuscire a dominare e superare lo stress e a raggiungere uno stato di benessere mentale. Quando ci troviamo a prendere decisioni e a studiare la giusta strategia da manager immaginiamoci sul green e
bilanciamo rischi e opportunità (se usare un ibrido o un ferro n.5),
guardiamo il campo (scenario di mercato su cui operiamo),
valutiamo il nostro potenziale (noi e i nostri collaboratori).
Proviamo a trovare questo equilibrio anche fuori dal campo da golf, nella nostra vita familiare e professionale. La golf experience ci consentirà un’interessante crescita personale a lungo termine. Chi troverò sui campi da golf?
Golf club Courmayeur Et Grandes Jorasses
Golf club La Serra
Fonti:
(*) Willy Pasini- “L’arte del golf.Psicologia del vincitore”- ed. Oscar Mondadori
(**) “Golf Experience. Il manager e la persona:i 7 passi verso una #consapevoleEvoluzione” – ed. Franco Angeli
Quale impatto ha avuto la digital disruption nel mondo della formazione? Quali sono i cambiamenti in atto? Sicuramente le nuove tecnologie hanno ampliato l’offerta formativa, favorendo l’apprendimento a distanza, grazie ai MOOC, webinar ed edugame.
Per il 2019 la crescita del mercato dell’edugame è stimata in oltre 13 miliardi, con un tasso di crescita annuo medio del 18,5 per cento, secondo un articolo apparso il 19 giugno su Il Sole 24 Ore ‘Edugames: la didattica con i videogame vale 6 miliardi di dollari’. Le applicazioni didattiche interattive tramite computer, console o dispositivi mobili sono destinate in particolar modo ai bambini, ma non solo. Sempre su Il Sole 24 Ore nell’articolo del 17 giugno ‘L’educazione è un business che vale 6 miliardi di dollari’ si legge che ‘simulazioni di ambienti lavorativi per esempio aiutano i responsabili delle risorse umane a fare una prima scrematura dei candidati a un posto di lavoro, permettendo di misurare la gestione dello stress, ma anche le abilità delle persone. Scuole e università commissionano software ad hoc da affiancare al percorso educativo classico, nel comparto medicale i software combattono disturbi come la dislessia’.
Lo scorso giugno ho partecipato alla Giornata Nazionale della Formazione organizzata da AIF (Associazione Italiana Formatori) presso la SAA di Torino e, nel ruolo di facilitatore, ho seguito un tavolo dedicato a ‘Modi: nuovi metodi e strumenti per l’apprendimento’.
E’ stato un momento d’approfondimento condiviso con alcuni colleghi provenienti da tutta Italia. Divisi in gruppi abbiamo iniziato a lavorare sulla parola chiave da noi scelta, raccogliendo le esperienze personali e condividendo le metodologie per creare un’analisi SWOT che è stata presentata in plenaria alla fine dei lavori. Di seguito alcuni concetti emersi durante la mattinata e riflessioni sui cambiamenti in atto.
•La formazione è un processo continuo che dura tutta la vita (lifelong learning). Le nuove tecnologie risultano molto utili, ma, se le metodologie restano invariate, non si riesce a concretizzare un vero cambiamento.
•Sempre più importante nell’apprendimento è l’interattività. Oggi la formazione è sempre più ‘visiva’ e ‘mobile’, per cui si rischia un overload cognitivo e scarsa concentrazione. In un contesto così differente dal passato sono indispensabili strategie diverse di organizzazione contenuti e setting formativi.
•Si parla molto di blended learning e la rete e i social network diventano ‘la nuova classe’. E’ cambiato, pertanto, anche il ruolo del formatore che è un facilitatore, deve disegnare ‘la mappa’ e aiutare ad interpretarla, dare indicazioni sui ‘luoghi’ fisici e online dove trovare i materiali e stimolare l’autoformazione. Diventa colui che unisce i puntini. Il percorso di formazione non finisce quando si termina la sessione e si salutano gli allievi, ma continua in una sorta di co-creazione, condividendo le soluzioni.
Deep learning e blended learning sono le parole chiave del gruppo di lavoro, temi che ho anche approfondito in una ricerca successiva. Di seguito qualche riflessione emersa dal confronto con i colleghi.
Il blended learning può risultare una grande opportunità sia per i discenti, sia per i formatori, in quanto l’aula si apre a nuove esperienze formative e si arricchisce. Richiede, tuttavia, un aggiornamento costante del formatore che deve conoscere molto bene i nuovi mezzi e devices per poter effettuare la scelta più opportuna. L’offerta formativa e i materiali devono essere adeguati alla fruizione in mobilità o sul web. Quali i rischi?
•mancanza di coerenza tra gli obiettivi formativi e le scelte fatte in termini di supporti
•mancanza di tempo per l’aggiornamento e lo studio approfondito soprattutto nel caso di formatori inseriti in grandi realtà aziendali.
La motivazione è alla base di ogni percorso sia di aggiornamento del formatore sia di fruizione del discente. Senza una forte motivazione non si raggiungono gli obiettivi formativi prefissati.
Considerando il blended learning ho voluto approfondire il settore del M-learning. Conosco alcune piattaforme MOOC per l’e-learning, perché ho seguito corsi online organizzati da Google o da Coursera e Iversity. Si tratta in genere di corsi da seguire sul pc, perché richiedono un livello di concentrazione elevato sia per la lingua straniera in cui sono erogati sia per i contenuti che prevedono esercizi da eseguire e livelli d’apprendimento impegnativi. Non ho ancora seguito un corso totalmente mobile e in podcast.
Leggiamo insieme la definizione di M-learning data da Wikipedia:
‘M-learning è un blend dedotto da mobile e learning, indica l’apprendimento con l’ausilio di dispositivi mobili come PDA, telefono cellulare, riproduttori audio digitali, fotocamere digitali, registratori vocali, pen scanner, ecc.’
Questa modalità è legata al concetto di lifelong learning. Si apprende sempre ed ovunque.
Un esempio di M-learning interessante è quello MOOC dell’Università degli Studi di Napoli Federico II con la piattaforma Federica Web Learning. Cosa la caratterizza? L’accesso a podcast delle lezioni su smartphone e tablet, oltre ai classici contenuti video, etc.
Altra piattaforma che mi ha incuriosito per l’innovazione nel VR (virtual reality) è Google for education. Leggiamo sul sito che l’app è utilizzata da 50 milioni di users in 190 nazioni.
Nella presentazione viene evidenziata la co-creazione di moduli formativi attuata da docenti e studenti e l’ampia disponibilità di tools gratuiti. Nella piattaforma è accessibile anche il progetto ‘Expeditions Pioneer Program’ che offre ai docenti il supporto di un team di Google per apprendere l’uso della piattaforma di virtual reality per l’apprendimento scolastico. E’ sufficiente farne richiesta, indicando l’istituto scolastico e il paese. Non si apprende solo, si vivono nuove esperienze!
Queste nuove modalità d’apprendimento non sostituiscono il rapporto docente/discente in aula, ma lo arricchiscono e rendono più immersivo. Resta il problema della formazione dei trainer, gap che Google intende colmare.