• Digital reputation da curare e difendere?

    Come comportarsi sul web e sui social media per mantenere una buona digital reputation? Bisogna innanzitutto capire se e come appariamo online, facendo una brevissima ricerca sul principale motore di ricerca, Google come utente anonimo (sloggandoci da Google stesso). Se digitiamo il nostro nome o la ragione sociale in quale pagina compariamo? Quali dettagli della nostra vita privata e professionale sono indicati?

    Seguendo le indicazioni fornite da Google a questo indirizzo , verifichiamo le informazioni pubbliche del profilo Google Plus, ricordandoci sempre che possiamo scegliere cosa e con chi condividere.

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    Google infatti precisa che ‘Nel tuo profilo troverai alcune schede sotto la foto di copertina. Puoi decidere se rendere visibili o meno queste schede alle persone che visitano il tuo profilo, modificando le impostazioni. I visitatori possono vedere soltanto i contenuti che condividi pubblicamente o direttamente con loro.’  Prestiamo quindi particolare attenzione alle informazioni che diffondiamo in rete per tutelare la nostra privacy e salvaguardare la nostra reputation.

    Dalla ricerca sui manager del progetto Le@d 3.0 Academy commentata in un articolo su Repubblica.it si evince che l’e-reputation (reputazione digitale) rientra tra i 6 macro gruppi di competenze strategiche di leadership manageriale a livello europeo con ‘le competenze digitali di base, quelle di e-communication (comunicazione digitale), di e-teamworking (lavoro di squadra digitale), di e-entrepreneurship (managerialità digitale), di e-innovation (innovazione digitale) e di e-lifelong-learning (apprendimento permanente digitale’.

    Sul diritto all’oblio e la difesa della reputazione online si era espressa l’Unione Europea che aveva diffuso alcune regole per il trattamento delle informazioni personali su internet. Risale al 13 maggio 2014 la sentenza della Corte di Giustizia europea  sul “diritto all’oblìo”, che impose proprio a Google delle regole a tutela della privacy. Se, come abbiamo detto, cercate su Google il vostro nome e trovate dei contenuti che considerate dannosi o lesivi per la vostra privacy, potete chiedere la rimozione del link attraverso un modulo online. La richiesta verrà presa in carico, esaminata e se ritenuta valida approvata e il contenuto incriminato coi vostri dati personali scomparirà dalle pagine di Google e quindi non potrà essere rintracciato liberamente dagli utenti.

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    Per approfondire i temi di protezione dei dati in rete, diritto all’identità e privacy consultate la Dichiarazione dei diritti in Internet, elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet. Il testo, la cui prima stesura risale a ottobre 2014, è il frutto del lavoro di una  commissione voluta dal presidente della Camera Laura Boldrini e presieduta dal giurista Stefano Rodotà.

    E’ la reputazione una veste effimera e convenzionale, guadagnata spesso senza merito e perduta senza colpa. W.Shakesperare

    Le attività che le persone svolgono in rete vanno dall’informazione all’intrattenimento, all’organizzazione della vita quotidiana. È abbastanza inevitabile, nello svolgimento di queste attività, “lasciare delle tracce». Come viene vissuto dalle persone questo aspetto della loro esperienza digitale? Spesso non si rendono conto dei rischi che si possono correre legati alla reputazione digitale e alla sicurezza (furto d’identità, di denaro, etc).

    La reputazione è a rischio anche sui social media, soprattutto da quando comunichiamo in mobilità, alla fermata dell’autobus, al ristorante mentre ceniamo con amici e in mille altre occasioni in cui il nostro livello di attenzione cala sensibilmente. Di seguito qualche consiglio che potrebbe sembrare scontato, ma spesso è disatteso:

    • prima di postare, taggare, mettere like pensiamo che siamo in piazza, ma non la piazza della nostra città, in una piazza molto più vasta. Vi potrà far sorridere quest’immagine, ma spesso ce ne scordiamo.
    • ‘targettizziamo’ il nostro pubblico, ossia creiamo dei gruppi ristretti a cui poter far vedere i contenuti di Facebook più personali;
    • evitiamo le pubblicazioni imbarazzanti e fortemente personali;
    • non esprimiamo opinioni molto polemiche o aggressive pubblicamente (facciamolo all’interno di un gruppo ristretto di amici selezionati);
    • non postiamo foto compromettenti nostre o di altri che vengano taggati.
    • presentiamoci quando chiediamo una nuova amicizia o contatto.

    Prestate particolare attenzione all’utilizzo di app di streaming live che consentono di essere online in diretta, quali Periscope, Meerkat, Facebook Live oppure Snapchat.  Restano online il tempo necessario per essere visti da persone che potrebbero essere importanti per il nostro futuro.

    Durante i corsi di formazione cito sempre il caso di una ragazza americana della Florida che, in stato di ebrezza, si è ripresa con Periscope alla guida della propria auto.

    Sui pericoli delle platforms si è concentrata anche la giornalista e social media trainer Sue Llewellyn durante il MoJoCon (Mobile Journalism Conference) di Dublino. Ha creato una vera e propria lista sotto l’acronimo:  s.p.e.c.t.r.e.

    • Sicurezza: “Safety should be rule number one in whatever you’re doing.” – durante le riprese bisogna essere sempre concentrati,
    • Privacy: “Privacy is a massive issue, we all have a right to a private life and be private if we so wish.”. Attenzione a non diventare i nuovi paparazzi
    • Etica: “Thinking about the situations when it is appropriate to livestream is one of the challenges facing the media industry today.” Considerate bene cosa e quando riprendere.
    • Copyright: è necessario rispettare i diritti di copyright per cui verificate prima di trasmettere live.
    • Trolling: “Trolling on social media has long been an issue for online journalists” e questo problema è sorto anche sulle piattforme
    • Rischi reputazionali: “At the very best you could bore your followers or your friends. At worst… you could lose trust.” Prestate attenzione a ciò che succede durante le riprese, potrebbe compromettere la vostra reputazione
    • Traumi emozionali. Prestate attenzione ai contenuti che trasmettete live perché possono suscitare emozioni troppo forti negli spettatori.

    I social media e le platforms offrono grandi opportunità, ma devono essere utilizzati con grande consapevolezza.

     

     

  • Twitter for job: come raccontarsi in una manciata di caratteri

     

    Twitter for job è stato un tema molto discusso sul web, anche se i risultati di recruitment sono stati inferiori alle aspettative. Il 19 maggio ha, tuttavia, segnato un momento importante d’incontro tra candidati ed aziende con l’ausilio anche di esperti del lavoro. vissuto in modo totalmente innovativo. Il tutto attraverso 140 caratteri.

    Di seguito un post originariamente pubblicato su Pulse per la  #JobFair, l’appuntamento online del 19 maggio promosso a livello europeo da Twitter. L’annuncio di Giulio Ravizza, Senior Marketing Manager di Twitter Italia, aveva invaso il web fin dall’inizio di maggio.

    Un’opportunità sicuramente interessante da cogliere al volo sia per i candidati sia per le aziende che, leggiamo sul blog, ‘registrandosi riceveranno un pacchetto esclusivo di informazioni aggiuntive e avranno la possibilità di partecipare a sessioni di formazione dedicate all’uso di Twitter per le attività di job scouting.‘ La piattaforma è, in effetti, ancora poco conosciuta in Italia dal punto di vista del recruiting e è utilizzata soprattutto da ‘addetti ai lavori’, come ho potuto personalmente constatare durante i miei corsi.

    Se siete dei candidati interessati a trovare o cambiare lavoro, considerate che restano pochi giorni per rifarsi il look! Il restyling potrà essere utile non solo per la fatidica data della Jobfair, ma diventerà un vantaggio duraturo.

    Chiediamoci allora come essere efficaci in 140 caratteri e non trascuriamo il nostro profilo, in quanto i recruiter, dopo aver visto il nostro tweet andranno ad approfondire. E allora? Già nel post su Webhouse avevo parlato del Twesume, il curriculum postato con l’hashtag #twesume e dell’esigenza di focalizzarsi sulle proprie soft skills. Guardate questo ad esempio molto efficace. Ha inserito poche parole chiave d’impatto che riassumono le competenze e caratteristiche personali, aggiungendo anche un’immagine.

    Per essere contattati ed emergere tra i resume, a mio parere, bisogna prima di rispondere seguire questi step:

    – valutare con attenzione gli hashtag del settore di pertinenza e località di lavoro. Non rispondete tanto per farlo, perché dovrà esserci coerenza tra il vostro tweet e il vostro profilo. E’ un’ottima occasione anche per visionare e candidarsi per offerte di lavoro all’estero, quindi preparatevi un breve tweet in lingua da usare al bisogno.

    – consultare il sito dell’azienda, di cui considerare anche completezza ed aggiornamento. Cercate online anche gli ultimi comunicati stampa e informazioni utili in caso di contatto successivo. E’ sempre opportuno conoscere bene il proprio interlocutore!

    – calibrate bene le parole, dando preferenza a termini non troppo generici. Analizzate le vostre competenze e le skills che vi rendono unici, le vostre specificità. Alle parole ‘esperto’ o ‘guru’ preferite ‘esperienza in’ e se potete precisate per quanti anni.

    Veniamo ora al vostro profilo e analizziamolo attentamente. Se è troppo personale e a tratti un pò imbarazzante, perché fino ad oggi lo avete utilizzato per scherzare con gli amici, postare gattini o belle fanciulle, seguire solo attori e commentare le partite di calcio o gli spettacoli televisivi, createne oggi uno professionale che vi rappresenti al meglio. Cercate di animarlo, seguendo influencers del settore d’interesse e creando liste. Potete linkare al vostro sito personale o blog (se ne avete uno aggiornato e curato) o al profilo Linkedin o a un profilo professionale creato sulla piattaforma About.me. Per maggiori info. Andiamo a considerare ogni elemento, procedendo step by step:

    1. biografia

    Se la vostra bio non è professionale potete modificarla, andando in impostazioni. Scegliete con cura i termini da inserire, perché avete a disposizione solo 160 caratteri. Scrivete in inglese se avete molti contatti o followers stranieri, altrimenti prediligete la lingua italiana. Usate tutti i caratteri a disposizione. Perché dovrei seguirvi o, ancor meglio, selezionarvi, se non dite nulla di voi? Scegliete se inserire:

    hashtag per collegare la vostra bio alle menzioni riguardanti il vostro settore, ma non esagerate. Le bio tutte hashtag diventano illeggibili.

    – tag (@): se lavorate in un’azienda o siete connessi ad altri account, collegate il vostro profilo.

    – link potete aggiungere il link al vostro sito web, ma fate attenzione al numero di caratteri che richiede.

    Siete un consulente in marketing e comunicazione? Ditelo, ma aggiungete anche qualche altra specificità e dividete con un trattino verticale o con un punto, perché aumenta la leggibilità del testo.

    Ad esempio:  Consulente #marketing e #comunicazione | settori #assicurazioni e #banche | #esperienza decennale| 

    Vediamo, ora, qualche esempio di Bio simpaticissime e originali non adatte, tuttavia, ai profili professional:

    •  ‘Mi piace giocare con i sedili delle finestre attaccate ai libri di giorgio che ieri ha buttato un opossum nel suo ginocchio preferito’;
    • ‘A forza di inseguire il Bianconiglio nel forno ci sono finita io’;
    • ‘Soffro di #contagiopositivo, mi divido tra un cupcake ed un PED con hashtag e nutella a colazione.’

    Ecco di seguito un esempio essenziale, ma che esprime le competenze e riferimenti al sito e tag. Motiva la sua presenza sulla piattaforma.

    2. pic profile

    Scegliete una foto del profilo professionale con un’espressione sorridente e positiva. La postura deve essere adeguata così come la location. Ricordate il linguaggio non verbale, per cui evitate le posizioni di chiusura (braccia conserte, ad esempio). L’ambiente deve essere neutro o professionale.

    3. immagine di sfondo.

    Potete personalizzare l’immagine di sfondo con foto originali che vi raccontino. Per profili professionali potete utilizzare, ad esempio, word cloud che possono essere colorati e divertenti, oppure ispirarvi a Twitrcovers o ancora creare una foto con canva.com.

    In un post del 2010 ‘Tre secondi per colpire su Twitter’ Francesco Gavello aveva paragonato la mini-bio di Twitter ad un elevator pitch. Mi trovo pienamente d’accordo con lui, perché devi essere essenziale ed efficace al tempo stesso, raccontando in pochi secondi chi sei, cosa fai e il tuo progetto professionale.

    Non rimane che rifarsi il look per essere pronti a nuove opportunità professionali. Good luck 🙂

     

     

  • Riflessioni sulla formazione

    Quale impatto ha avuto la digital disruption nel mondo della formazione? Quali sono i cambiamenti in atto? Sicuramente le nuove tecnologie hanno ampliato l’offerta formativa, favorendo l’apprendimento a distanza, grazie ai MOOC, webinar ed edugame.

    Per il 2019 la crescita del mercato dell’edugame è stimata in oltre 13 miliardi, con un tasso di crescita annuo medio del 18,5 per cento, secondo un articolo apparso il 19 giugno su Il Sole 24 Ore ‘Edugames: la didattica con i videogame vale 6 miliardi di dollari’. Le applicazioni didattiche interattive tramite computer, console o dispositivi mobili sono destinate in particolar modo ai bambini, ma non solo. Sempre su Il Sole 24 Ore nell’articolo del 17 giugno ‘L’educazione è un business che vale 6 miliardi di dollari’ si legge che ‘simulazioni di ambienti lavorativi per esempio aiutano i responsabili delle risorse umane a fare una prima scrematura dei candidati a un posto di lavoro, permettendo di misurare la gestione dello stress, ma anche le abilità delle persone. Scuole e università commissionano software ad hoc da affiancare al percorso educativo classico, nel comparto medicale i software combattono disturbi come la dislessia’.

    Lo scorso giugno ho partecipato alla Giornata Nazionale della Formazione organizzata da AIF (Associazione Italiana Formatori) presso la SAA di Torino e, nel ruolo di facilitatore, ho seguito un tavolo dedicato a ‘Modi: nuovi metodi e strumenti per l’apprendimento’.

    E’ stato un momento d’approfondimento condiviso con alcuni colleghi provenienti da tutta Italia. Divisi in gruppi abbiamo iniziato a lavorare sulla parola chiave da noi scelta, raccogliendo le esperienze personali e condividendo le metodologie per creare un’analisi SWOT che è stata presentata in plenaria alla fine dei lavori. Di seguito alcuni concetti emersi durante la mattinata e riflessioni sui cambiamenti in atto.
    •La formazione è un processo continuo che dura tutta la vita (lifelong learning). Le nuove tecnologie risultano molto utili, ma, se le metodologie restano invariate, non si riesce a concretizzare un vero cambiamento.
    •Sempre più importante nell’apprendimento è l’interattività. Oggi la formazione è sempre più ‘visiva’ e ‘mobile’, per cui si rischia un overload cognitivo e scarsa concentrazione. In un contesto così differente dal passato sono indispensabili strategie diverse di organizzazione contenuti e setting formativi.
    •Si parla molto di blended learning e la rete e i social network diventano ‘la nuova classe’. E’ cambiato, pertanto, anche il ruolo del formatore che è un facilitatore, deve disegnare ‘la mappa’ e aiutare ad interpretarla, dare indicazioni sui ‘luoghi’ fisici e online dove trovare i materiali e stimolare l’autoformazione. Diventa colui che unisce i puntini. Il percorso di formazione non finisce quando si termina la sessione e si salutano gli allievi, ma continua in una sorta di co-creazione, condividendo le soluzioni.

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    Deep learning e blended learning sono le parole chiave del gruppo di lavoro, temi che ho anche approfondito in una ricerca successiva. Di seguito qualche riflessione emersa dal confronto con i colleghi.

    Il blended learning può risultare una grande opportunità sia per i discenti, sia per i formatori, in quanto l’aula si apre a nuove esperienze formative e si arricchisce. Richiede, tuttavia, un aggiornamento costante del formatore che deve conoscere molto bene i nuovi mezzi e devices per poter effettuare la scelta più opportuna. L’offerta formativa e i materiali devono essere adeguati alla fruizione in mobilità o sul web. Quali i rischi?
    •mancanza di coerenza tra gli obiettivi formativi e le scelte fatte in termini di supporti
    •mancanza di tempo per l’aggiornamento e lo studio approfondito soprattutto nel caso di formatori inseriti in grandi realtà aziendali.

    La motivazione è alla base di ogni percorso sia di aggiornamento del formatore sia di fruizione del discente. Senza una forte motivazione non si raggiungono gli obiettivi formativi prefissati.

    Considerando il blended learning ho voluto approfondire il settore del M-learning. Conosco alcune piattaforme MOOC per l’e-learning, perché ho seguito corsi online organizzati da Google o da Coursera e Iversity. Si tratta in genere di corsi da seguire sul pc, perché richiedono un livello di concentrazione elevato sia per la lingua straniera in cui sono erogati sia per i contenuti che prevedono esercizi da eseguire e livelli d’apprendimento impegnativi. Non ho ancora seguito un corso totalmente mobile e in podcast.

    Leggiamo insieme la definizione di M-learning data da Wikipedia:

    M-learning è un blend dedotto da mobile e learning, indica l’apprendimento con l’ausilio di dispositivi mobili come PDA, telefono cellulare, riproduttori audio digitali, fotocamere digitali, registratori vocali, pen scanner, ecc.’

    Questa modalità è legata al concetto di lifelong learning. Si apprende sempre ed ovunque.

    Un esempio di M-learning interessante è quello MOOC dell’Università degli Studi di Napoli Federico II con la piattaforma Federica Web Learning. Cosa la caratterizza? L’accesso a podcast delle lezioni su smartphone e tablet, oltre ai classici contenuti video, etc.

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    Altra piattaforma che mi ha incuriosito per l’innovazione nel VR (virtual reality) è Google for education. Leggiamo sul sito che l’app è utilizzata da 50 milioni di users in 190 nazioni.

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    Nella presentazione viene evidenziata la co-creazione di moduli formativi attuata da docenti e studenti e l’ampia disponibilità di tools gratuiti. Nella piattaforma è accessibile anche il progetto ‘Expeditions Pioneer Program’ che offre ai docenti il supporto di un team di Google per apprendere l’uso della piattaforma di virtual reality per l’apprendimento scolastico. E’ sufficiente farne richiesta, indicando l’istituto scolastico e il paese. Non si apprende solo, si vivono nuove esperienze!

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    Queste nuove modalità d’apprendimento non sostituiscono il rapporto docente/discente in aula, ma lo arricchiscono e rendono più immersivo. Resta il problema della formazione dei trainer, gap che Google intende colmare.