• Gusto e passione in una scatola: My Cooking Box

    La passione per le storie, la cucina gourmet e il Made in Italy mi porta a conoscere diverse realtà italiane dalle botteghe storiche alle aziende familiari riscoperte dalle nuove generazioni alle idee innovative e startup che colpiscono la mia immaginazione. Ho scoperto il progetto My Cooking Box in occasione del Gammaforum, l’evento internazionale dell’imprenditoria giovanile e femminile che si è svolto lo scorso novembre a Milano.

    Come storyteller ho partecipato al social media team per raccontare il convegno e tra le dieci finaliste del premio Gammadonna 2018 ho conosciuto Chiara Rota, founder di My Cooking Box, che ha vinto il premio QVC Next per il prodotto più innovativo. Ho voluto approfondire e conoscere meglio la sua storia, fatta di coraggio, determinazione e tanta passione per il Made in Italy. Buona lettura!

    Chiara Rota vince il Premio QVC Next Award al Gammaforum 2018

    Buongiorno Chiara, la sua passione per la cucina è nata in famiglia? Ha qualche ricordo d’infanzia? 

    La mia passione per la cucina è iniziata ancora quando ero piccola ed è arrivata un po’ da mia nonna e un po’ da mia mamma. La prima riusciva a cucinare qualsiasi piatto con un’abilità e una semplicità invidiabile, la seconda invece non era così brava, ma si impegnava sempre per prepararmi qualcosa di gustoso. Quando sono andata via di casa e mi sono ritrovata a dover cucinare da sola, ho iniziato a mettere in pratica tutto quello che avevo imparato da loro e il mio amore per la cucina ha iniziato ad aumentare sempre di più, tanto che per me è diventato un vero e proprio lavoro.

    Dalla prima ricetta si è arrivati a 12 piatti (9 primi e 3 secondi). Qual è il criterio con cui vengono scelte le ricette della tradizione italiana? Le ricette sono tradizionali o rivisitate secondo l’interpretazione dei cuochi? 

    Per la realizzazione delle nostre ricette andiamo in cerca di realtà produttrici artigianali, dove la grande maestria del saper tramandare e fare è il fattore di qualità e garanzia del prodotto. Selezioniamo piccole aziende che lavorano le eccellenze del loro territorio, proprio per creare dei cofanetti che, come le nostre My Cooking Box, racchiudono una specialità regionale di alta qualità. Nella selezione degli ingredienti e nella creazione della ricetta coinvolgiamo l’Accademia del Gusto, un centro di formazione d’eccellenza del settore enogastronomico nel panorama lombardo e affermati professionisti della ristorazione, ciascuno dei quali firma la ricetta del suo territorio di origine, talvolta personalizzandola o rivisitandola.

    Che cosa distingue My Cooking Box dai preparati già in commercio? 

    My Cooking Box è un meal kit che contiene al suo interno tutti gli ingredienti, nelle giuste dosi, per cucinare un piatto regionale italiano con la ricetta di uno chef. All’interno di ogni cofanetto ci sono solo ingredienti ricercati e naturali, tutti made in Italy e a lunga conservazione, per evitare sprechi e cucinare con comodità e semplicità quando si preferisce. A differenza di aziende che offrono servizi analoghi, però, My Cooking Box è un prodotto che viene venduto sia attraverso il canale fisico, presso vari rivenditori (shop enogastronomici, panetterie, aeroporti, store Mondadori, per citarne alcuni), sia attraverso il canale online. Tutto ciò è possibile perché all’interno delle nostre box gli ingredienti sono tutti a lunga conservazione e con una shelf-life ad ampio margine e questo ci ha permesso di vendere il nostro prodotto in più di 20 Paesi.

    Qual è il target a cui avete pensato quando avete creato il progetto? I Millennials, la generazione Z che non sanno cucinare e spesso hanno genitori troppo indaffarati per passare i segreti di cucina? 

    Il consumatore di oggi ha l’abitudine di acquistare per prodotto e, spesso e volentieri, si ritrova con la dispensa piena ma senza quell’ultimo ingrediente necessario per realizzare il piatto preferito. Quindi, perché non cambiare questo processo e indurre il consumatore ad acquistare per ricetta? My Cooking Box trova la risposta a tutto questo, con riduzione di tempo e di spreco assicurata, diventando così ideale per tutti: per una coppia che lavora e ha poco tempo per fare la spesa e per cucinare, per chi decide di trascorrere il fine settimana nella propria casa vacanza senza dover trasferire l’intera dispensa di cucina e per tutti quelli che hanno l’esigenza di improvvisare un pranzo o una cena all’ultimo minuto, ma senza rinunciare alla qualità. Le nostre box sono perfette anche (e soprattutto) per i turisti stranieri che in genere, avendo poca dimestichezza con la cucina e volendo ripetere a casa un piatto assaggiato in Italia, si trovano in difficoltà sia a reperire particolari ingredienti, sia a come realizzare la ricetta in modo impeccabile.

    Qual è la storia del logo e del packaging a forma di casetta? Avete da subito pensato alla casa nel vostro immaginario? 

    Abbiamo cercato di studiare un logo che potesse essere internazionale e comprensibile a tutti fin da subito. Abbiamo scelto di chiamare la nostra startup My Cooking Box per sottolineare che il nostro prodotto può essere: “MY COOKING” perché ognuno nella propria cucina di casa può vivere la sua personale esperienza culinaria; “BOX” perché tutto questo è racchiuso nei nostri cofanetti.

    La forma della box invece, simile a una casetta, è un rimando alla semplicità e praticità di My Cooking Box, che offre appunto la possibilità di cucinare come un vero chef direttamente a casa propria in tutta tranquillità.

    Mi è piaciuta la sua storia fatta di passione e determinazione da ingegnera gestionale a imprenditrice di food. Quando ha capito che l’idea era vincente? Quanto è stata utile la campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma Mamacrowd?  

    L’equity crowdfunding è una forma di finanziamento forse ancora poco conosciuta in Italia, ma che permette di ottenere ottimi risultati che spesso vanno ben oltre le aspettative. Ad oggi sono state due le campagne di crowdfunding alle quali abbiamo aderito: la prima ad agosto 2016 a fianco della piattaforma CrowdFundMe, in cui abbiamo raggiunto in soli venti giorni il budget prefissato di 50mila euro, e abbiamo chiuso con nostra grande sorpresa con un overfunding del +400%; la seconda campagna di crowdfunding, invece, è stata avviata quest’anno all’inizio di maggio con MamaCrowd, la prima piattaforma di equity crowdfunding in Italia, e si è conclusa in breve tempo più di 500.000 euro raccolti.

    Entrambe le campagne di equity crowdfunding sono state per noi uno strumento utilissimo, dal quale abbiamo ricevuto molteplici vantaggi: al di là del finanziamento raccolto, sono state un vero e proprio trampolino di lancio, che ci ha permesso di avere contatti con molti investitori e di conseguenza di aprire la nostra attività in nuovi canali. Ogni investitore, infatti, si sente parte del progetto e contribuisce non solo economicamente ma anche dal punto di vista di contatti e relazioni commerciali. Grazie a tutti loro siamo riusciti ad entrare a contatto con realtà magari difficili da raggiungere da soli e a stringere collaborazioni importanti. Non solo, l’aver superato di molto il nostro budget iniziale ci ha conferito grande visibilità, permettendoci di essere notati da grandi aziende già consolidate che hanno deciso infine di partecipare investendo nel nostro progetto.

    Quali sono le caratteristiche fondamentali che deve avere uno startupper per riuscire e quali suggerimenti si sente di dare a una giovane con un’idea brillante? 

    Quando si intraprende un percorso come questo è fondamentale essere il più determinati possibili e credere fortemente in quello che si sta facendo, senza avere timore a comunicare le proprie idee, soprattutto nella fase iniziale. Il rischio maggiore che si può compiere, infatti, è quello di cercare di tenere nascosto il proprio prodotto: essere gelosi della propria idea o della propria intuizione in certi casi è utile, ma esserlo troppo può diventare un problema, perché non dà la possibilità di ricevere quei consigli e opinioni che permettono di migliorare e magari vedere qualcosa che da soli non riusciremmo a notare. Confrontandosi con altre persone, invece, si possono ricevere consigli e nuovi spunti che ti permettono di crescere e migliorare. Infine, ma non ultimo per importanza, è fondamentale avere tanta pazienza e capacità di reazione anche di fronte a risposte negative, senza lasciarsi abbattere alla prima difficoltà: in questo percorso la strada è spesso in salita, ma posso assicurare che ogni traguardo raggiunto è una grande soddisfazione.

  • Raccontare un convegno: quali storytool o platform?

    Come raccontare un convegno, rendendolo indimenticabile? Spesso ho l’occasione di partecipare a meeting nazionali e internazionali e, come storyteller, sono chiamata a collaborare al social media team. Normalmente la mia attività non si esaurisce nel livetweeting,  pur importante dal punto di vista dell’engagement, ma verte soprattutto nell’accompagnare il lettore nel rivivere l’evento e tener vivi i ricordi.

    Accanto a post ed articoli sui temi trattati dai relatori amo utilizzare piattaforme e tools narrativi per esprimere attraverso immagini, video e testi il mood che si viveva e respirava nelle giornate del convegno.

    Credits foto: Sabrina Gazzola photographer

    Quali sono i media che consiglio?  Come sapete da anni studio e sono tester di alcune piattaforme e amo dialogare con i responsabili marketing e CEO per meglio comprendere ed utilizzare i tools stessi.

    Ne ho sperimentati molti e la mia scelta si orienta soprattutto su tre che sono totalmente gratuiti: Moments, Wakelet e Steller.

    L’ordine non è casuale, perché, anche se tutti consentono di raccogliere, rielaborare e condividere contenuti, sono citati in base alla complessità e completezza: dal più easy al più completo.

    Senza l’utilizzo di codici e in modo molto guidato e immediato, sono le piattaforme ideali per convegni, concerti, mostre e qualunque evento che possa essere narrato con immagini, video e testi.

     

    Vediamoli nel dettaglio per capire le specificità e l’utilizzo di ciascuna piattaforma.

    Moments

    Considerato lo strumento narrativo di Twitter, Moments è un aggregatore di tweet da desktop ed è arrivato in Italia a settembre 2016, dopo ca. un anno dal lancio da parte dei creatori.

    Viene definito come:

    curated stories about what’s happening around the world—powered by Tweets.

    Per creare un Momento accedete direttamente dal vostro profilo, cliccando su ‘Momenti’, si aprirà quindi una sezione nella quale trovate tutte le storie create e pubblicate. Mentre sul lato destro vi apparirà un box per creare una nuova storia ‘Crea un Momento’.

    Una volta online è possibile editare, condividere con Twitter, copiare il link ed embeddare nel proprio sito. Potete anche visualizzare le metriche di interazione per uno specifico Moment su twitter.com.

    Da qualche mese non è più disponibile la versione mobile su iOS e Android per la creazione dei Momenti. Per approfondimenti potete consultare l’assistenza di Twitter al link o il breve tutorial da me pubblicato al link.

    Wakelet

    Wakelet è una piattaforma  di content curation, disponibile in versione desktop e mobile (sia iOS che Android)Viene definita sul sito:

     The best way to share and collect content.

    Il Wake, ossia la raccolta, è a tutti gli effetti una pagina web in cui i testi e gli elementi multimediali che sono stati scelti e incorporati possono essere visualizzati come flusso, magazine, griglia.

    Si è posizionata sul mercato come una valida alternativa a Storify, piattaforma molto utilizzata dai twitteri che ha annunciato la chiusura nel dicembre 2017 e da maggio 2018 non ha più consentito di condividere contenuti di Twitter e IG e livetweeting.

    Inizialmente Wakelet ha attuato una politica molto interessante: oltre a far creare nuove narrazioni, ha permesso d’importare quelle già create e pubblicate da Storify, fornendo un servizio molto utile. Le storie non andavano perse per sempre nel web, ma erano catalogate e conservate nella nuova piattaforma. Sono all’interno di una community, nella quale è possibile seguire le storie di altri membri e da pochi giorni è consentito copiare le collection di altri e integrarle con propri link, testi e immagini.

    Vediamo come si può creare una narrazione step by step:

    • dare un titolo alla collezione
    • scegliere un’immagine della cover o di sfondo (se si desidera)
    • link a risorse presenti sul web (articoli, video, immagini, mappe, pdf)
    • scegliere tra diversi Layout per presentare le collezioni: media view, compacted view e grid view.
    • collegare la piattaforma al proprio account di Twitter e fare una ricerca per account o per hashtag e andare a selezionare i tweet desiderati.  È possibile anche fare un’upload dei primi 50 tweet che la piattaforma mostra in automatico. Non ve lo consiglio, in quanto potrebbero essere inseriti anche tweet non relativi al tema da voi scelto.
    • rileggere tutti i tweet raccolti e operare una scelta, eliminando i doppioni e conservando quelli più chiari per un lettore che non abbia avuto modo di partecipare.

    Potete aggiungere anche tweet singoli, cancellare e posizionare ogni item.

    Una volta creata la storia può essere salvata sotto forma di bozza e, dopo la pubblicazione sulla piattaforma, condivisa creando un QRcode, oppure embeddata sul sito o sul blog o semplicemente condivisa con i maggiori social network.

    Per rendere più ricca la narrazione inserite del testo tra un tweet o blocchi di tweet che spieghi il contesto e fornisca maggiori informazioni sul tema o sull’evento.

    Nel racconto di un convegno è molto importante non fare solo una raccolta cronologica di tweet, ma aggiungere osservazioni, sensazioni, approfondimenti. In poche parole vi consiglio di rielaborare le informazioni e non limitarvi a copiare e incollare link.

    Personalizzando la raccolta di contenuti si consente:

    • a chi ha partecipato di ricordare e rivivere i momenti più coinvolgenti o attimi che ha perso per qualche motivo
    • a chi ha letto solo il livetweeiting o non era a conoscenza dell’evento di avere una panoramica approfondita, di comprendere l’atmosfera che si respirava nella giornata
    • di citare i relatori e le aziende sponsor, dando importanza al ruolo da loro ricoperto durante il convegno.

    Steller

    Steller è un’applicazione mobile che si presenta sottoforma di sfogliabile e permette di realizzare delle storie molto creative. Creata da Mombo Labs, viene lanciata a marzo 2014 e lo stesso anno vince il premio “Apple Best of 2014 App”.

    È un vero e proprio tool narrativo di visual storytelling e consente di raccontare storie visive attraverso testi, immagini e video, creando engagement con il pubblico e la numerosa community internazionale.

    Le storie sono editabili solo da mobile, ma visibili anche da desktop in piccolo formato. Gli step da seguire sono molto semplici:

    • scegliere tra un’ampia selezione di templates dedicati a tematiche specifiche
    • procedere all’upload di foto (fino a 20 immagini per ogni upload) dalla galleria del vostro smartphone e/o di video in mp4.
    • completare il racconto con pagine di testo
    • inserire link a siti, a Vimeo e YouTube.
    • salvare la bozza
    • pubblicare sulla piattaforma e condividere in rete.

    I racconti pubblicati nella community, possono essere condivisi sui maggiori social media ed embeddati sul sito o sul blog del brand per aumentare il coinvolgimento del pubblico e dei followers. Con Steller è possibile aumentare l’amplification e l’engagement con l’audience dei social media.

    Al momento le metriche disponibili riguardano solo i like, ma a settembre 2018 il marketing ha avvisato gli utenti dell’arrivo imminente di nuovi insights che consentono di rendere più efficace la piattaforma. Tante novità sono già state introdotte, come ad esempio, la possibilità di includere music nelle storie, la creazione di Humans of Steller, una selezione di top users e community leaders a livello mondiale e il progetto di organizzare meetup a livello locale per conoscersi offline.

    Case Study

    Volete avere un’idea precisa di come raccontare un convegno sulle piattaforme? Possiamo esaminare insieme una case history molto recente, relativa all’evento GammaForum che si è svolto il 15 novembre a Milano c/o la sede de Il Sole 24 Ore.

    Si tratta della 10a edizione dell’evento internazionale sull’imprenditoria giovanile e femminile in collaborazione con la Commissione Europea e sotto l’Alto Patronato del Parlamento Europeo. Oltre ad aver collaborato con i colleghi del social media team live durante la giornata del convegno ho realizzato un Momento della mattinata e raccontato il livetweeting. Dal momento che la giornata è stata molto ricca di panel con relatori di grande importanza a livello nazionale e internazionale ho deciso di suddividere il racconto del convegno in due Wake distinti:

    • uno per la mattinata durante la quale sono stati assegnati il Premio GammaDonna e quelli QVC Next Award per il prodotto più innovativo e Giuliana Bertin Communication Award assegnato da Valentina e Marco Parenti dall’Agenzia Valentina Communication in ricordo della fondatrice.
    • uno per il pomeriggio dedicato a molti panel sull’impresa di domani: coesiva, aperta al mondo e all’innovazione

    Ecco i link a  Twitter MomentSteller e ai Wake:

     

    Photo by rawpixel on Unsplash

  • #mytraveljournal18: il viaggio su platforms e tools narrativi

    Un viaggio in Australia nel 2016 ha fatto nascere l’idea del progetto personale #mytraveljournal. L’obiettivo è quello di raccontare un’esperienza di viaggio, utilizzando contemporaneamente diverse piattaforme social e tools narrativi in ottica transmediale. Che cosa si intende per crossmedia e transmedia? Perché scegliere queste modalità di comunicazione? Recentemente avevo letto questa frase che esprime bene il concetto.

    We tell stories across multiple media because no single media satisfies our curiosity or our lifestyle.

    In concreto lo storytelling è:

    • digital quando la narrazione avviane sui canali digitali
    • crossmedia se la progettazione e la creazione del racconto avvengono su più tool digitali o su più media (online e offline), ma si tratta di un prodotto unico condiviso e adattato a media diversi
    • transmedia se l’ideazione, la progettazione e la produzione dell’universo narrativo avvengono su diversi strumenti online e offline

    Il termine ‘Digital Storytelling’ è stato usato per la prima volta da  Ken Burns, nella serie The Civil War sulla Guerra civile Americana, serie che viene indicata come uno dei primi esempi realizzati. Andata in onda per 5 sere consecutive dal 23 al 27 settembre 1990 è stata vista da 40 milioni di americani, diventando il programma con lo share più alto sulla rete PBS. E’ stata riproposta nel 2002 e restaurata nel 2015 in alta definizione.  Burns ha narrato la Guerra dal punto di vista militare, sociale e politico, utilizzando immagini, musica, aneddoti e narrazioni.  (http://www.pbs.org/kenburns/civil-war/)

    La definizione cross media è attribuita a Paul Zazzera, CEO di Time Inc. che la usò per la prima volta nel 1996 per il Big Brother (reality show presentato come format cross mediale che integra da allora TV e Web, magazine e telefonia e letteratura). Si diffuse sempre nello stesso anno per il successo mondiale del videogioco Pokémon di Nintendo (1996).

    Il concetto di transmedialità è stato utilizzato per la prima volta da Henry Jenkins nel suo articolo Transmedia Storytelling, pubblicato nel gennaio 2003 su TecnologyReview. Secondo Jenkins

    una narrazione transmediale si sviluppa su una moltitudine di piattaforme mediali, dove ciascuna apporta un contributo diverso alla trama complessiva della narrazione.

    Si tratta di creare contenuti unici su un tema specifico, in questo caso una destinazione turistica e collegarli con call to action, come un puzzle composto da tessere che, una volta riunite, forniscono una visione d’insieme più ampia.

    Durante i corsi di storytelling parlo spesso dell’opportunità di comporre una narrazione su più media, sfruttando al meglio la tecnologia a nostra disposizione e con il progetto ho voluto dimostrare concretamente gli steps necessari. Il primo passo è definire una strategia e scegliere opportunamente i media che sosterranno la narrazione. In base all’esperienza che si intende proporre si può ricorrere al testo, al visual rappresentato da fotografie o da video, al voice con voce narrante oppure, se possibile, con interviste.

    Nel 2018 il progetto racconta Budapest attraverso 2 piattaforme e un tool narrativo: Instagram, Tumblr e Steller.

    • Instagram dove ho postato solo fotografie di persone a volte a colori a volte in B/N. Obiettivo –> narrare la gente di Budapest intenta a fare gesti e attività quotidiane
    • Tumblr dove ho creato una mini guida di viaggio per far scoprire Budapest in 5 giorni. Obiettivo –> fornire un diario con molte idee e suggerimenti pratici
    • Steller su tre temi: Buda: alla scoperta della città vecchia con panorami, scorci che mi hanno colpita, Nagycsarnok: il grande mercato di Pest con i suoi colori e profumi, Street Art & Lettering: scoprire Budapest attraverso l’arte. Obiettivo –> soffermarsi su particolari e far vivere le emozioni che ho provato attraverso video, immagini e brevi testi.

    Quale il vantaggio? La possibilità di arricchire l’esperienza con emozioni, rivolgendosi a pubblici diversi. Ricordiamo infatti che alcuni di noi amano più le immagini, alcuni i longform e i gusti sono molto diversi così come la sensibilità. Nello spirito del crossmedia e transmedia si potrà entrare nell’esperienza attraverso ‘porte’ diverse e approfondire su molteplici canali.

    La narrazione del 2018 è stata progettata prima della partenza per Budapest ed è stata realizzata on the road, proprio come un diario di viaggio.

    Durante il giorno ho fatto una scelta del materiale fotografico da postare su Instagram e da riservare al tool Steller, individuando temi da approfondire e narrare e alla sera ho preparato i testi e gli itinerari di viaggio su Tumblr, arricchendoli, ove possibile, anche con mappe create su Google Maps.

     

    Ecco i link alla guida di viaggio su Tumblr:

    Di seguito i link anche alle storie su Steller che hanno superato sul tool una media di 10.100 pagine viste.

    Steller è un tool narrativo fruibile sotto forma di sfogliabile composto da parti testuali e visuali (foto o video). Viene molto utilizzato a livello internazionale da food blogger, travel blogger, designer, artisti ed aziende che desiderano proporre i prodotti ad un pubblico

    giovane e interessato all’innovazione. Le storie possono essere visualizzate attraverso l’app disponibile per iOS o per Android oppure anche da desktop, come potete vedere dallo screenshot a lato.

    Viene da sempre inserito nel progetto #mytraveljournal per la sua versatilità, la possibilità di embeddarlo nel sito e condividerlo sui social media. Da non sottovalutare anche l’attività della community che segue con molto interesse le produzioni. La community italiana che si raccoglie sotto l’hashtag #stelleritalia è molto numerosa e concentrata soprattutto sui temi travel e food.

    Ho utilizzato frequentemente questo tool e l’ho proposto anche a clienti per narrare esperienze di prodotto in modo differente oppure eventi che hanno coinvolto il brand, riuscendo a creare engagement anche nella pagina Facebook ufficiale con call to action dal tool a Facebook e viceversa.

    Non resta che sperimentare un nuovo approccio di narrazione. Seguitemi e scoprirete sempre nuovi tool e piattaforme che vi consentiranno (anche gratuitamente) di creare e divulgare contenuti innovativi e originali

     

     

  • Realtà mediata: rock your content

    Seguendo il Golden Circle di Simon Sinek partiamo dal perché. Perché ho iniziato a occuparmi di realtà mediata? Non sono una programmatrice, bensì una storyteller. Così inizia il mio speech alla Social Media Week di Milano dello scorso 14 giugno. Nella prima slide la fotografia di alcuni partecipanti a un corso di storytelling di qualche anno fa che indossavano un cardboard. Correva l’anno 2015 e mi occupavo da tempo di narrazione in particolar modo digitale e storytools. Nell’anno 2015 il New York Times aveva introdotto le storie immersive, dando vita al VR journalism. Era nata una vera passione che mi ha portato

    Credits: Roberto Morelli

    negli anni a studiare e a cercare nuove forme di comunicazione. Qual era la novità? Per la prima volta una testata giornalistica invece di portare le notizie ai lettori, li metteva al centro della storia e faceva vivere loro un’esperienza grazie al video 360. Da allora molti giornali tra cui Wall Street Journal, AlJazeera, NBC fino al Corriere 360 hanno seguito la via ormai aperta di un racconto immersivo.

    Nel 2016 un’altra novità interessava il mondo del giornalismo e il grande pubblico: veniva introdotta la realtà aumentata. Il magazine Focus proponeva ai lettori alcuni contenuti e approfondimenti fruibili solo con lo smartphone. Nello stesso anno esplodeva la passione per Pokémon Go e tutti vagavamo per le città a caccia di Pokémon e di Pokéstop che erano presenti anche in attività commerciali di grande traffico. Ora che il gioco ha perso un po’ di smalto e solo i più fanatici continuano a seguire gli aggiornamenti possiamo comunque riconoscere a Pokémon Go di aver avuto il grande merito di far conoscere la AR al grande pubblico. Dal 2016 è nato un grande interesse anche presso gli sviluppatori verso  ArKit e ArCore, le due piattaforme rispettivamente Apple e Google di realtà aumentata e verso gli utilizzi giocosi in Snapchat.

    Il Content Marketing ha dovuto prendere atto dei nuovi contenuti che si sono diffusi negli ultimi anni in un mondo ‘always on every where on‘, come ha sottolineato al Netcomm Forum di maggio il presidente NetComm, Roberto Liscia. In questa ‘tempesta tecnologica cambia lo scenario competitivo’ con soluzioni personalizzate, UX e VR anche nei punti vendita. La virtualità è uno dei temi centrali, perché aumenta l’interazione con il cliente. Ma come sta cambiando il consumatore?

    Roberto Liscia, presidente NetComm

    Fornisce alcune evidenze Maresca di Google. Il consumatore, oltre a essere omnichannel e sempre più mobile, è:

    • curioso
    • cerca l’eccellenza su Google
    • impaziente.

    Le tecnologie vanno incontro a queste esigenze con la realtà aumentata che consente di acquisire informazioni in mobilità e di procedere dalla visione al processo d’acquisto, inquadrando un oggetto, ad esempio, con Google Lenses.

    Possiamo dire di essere costantemente immersi nella realtà mediata quasi senza accorgercene? Sicuramente sì!

    Applicazione SketchAR

    Si moltiplicano le applicazioni di realtà aumentata che ci consentono di misurare lo spazio intorno a noi, usando lo smartphone, di vedere oggetti ambientati prima dell’acquisto,  come Ikea Place o Amazon AR View , di configurare grazie al VR la nostra crociera personalizzata su uno schermo olografico come con MSC Crociere, di imparare a disegnare con SketchAR oppure di visitare un appartamento che intendiamo affittare o acquistare senza recarci sul luogo, ma vedendolo in video 360.

    La realtà virtuale trova utili applicazioni in campo scientifico e tecnico. Se da un lato i dipendenti della NASA o di importanti compagnie automobilistiche quali ad esempio del gruppo Volkswagen seguono corsi di addestramento con la VR nei reparti di produzione e di logistica , dall’altro i medici studiano gli organi del corpo umano nella cosiddetta “cyberanatomia”, la simulazione di un intervento chirurgico che prepara il medico ad operazioni complesse.

    Gli studenti possono apprendere la storia, la geografia e addirittura il latino senza spostarsi dalla loro aula, ma viaggiando con i visori grazie a Google Expeditions oppure a Thinglink, piattaforma interattiva che permette a publisher, marketer, brand, blogger e formatori di creare contenuto ad alto engagement in foto e video 360 o in realtà virtuale. Nei musei italiani e stranieri si stanno diffondendo sia i visori per vivere esperienze immersive (vedi ad esempio al Mudec di Milano era possibile visitare virtualmente lo studio del pittore Mirò) sia applicazioni in AR che consentono, inquadrando l’opera  con lo smartphone, di acquisire maggiori informazioni sull’autore e sul periodo artistico.

    Tanti settori tante soluzioni tecnologiche che vengono in nostro soccorso per semplificarci la vita, allontanandoci dal mondo reale (VR) in ‘presence‘ oppure arricchendolo di informazioni e d’interattività (AR). Secondo Chris Milk, founder di  VRSE and VRSE.Works la realtà virtuale può essere definita: ‘the ultimate empathy machine‘.

    VR is difficult to explain because it’s a very experiential medium. You feel your way inside of it. It’s a machine, but inside of it, it feels like real life, it feels like truth. And you feel present in the world that you’re inside and you feel present with the people that you’re inside of it with.

     

    La ricerca di Google del 2017 sul gradimento delle esperienze VR e di questa nuova forma di comunicazione (adv) ci dice che:

    VR enables viewers to better see, hear, feel and identify with what others are experiencing.

    Passiamo quindi da ‘Story telling a ‘Story living’, ossia a  ‘experiencing stories and brand messages through VR‘.

    Stiamo assistendo da un lato alla diffusione di esperienze legate al Web VR che consente di vivere la realtà virtuale nel brower a prescindere dal tipo di visore di cui si dispone, dall’altro ad una riduzione di prezzo dei visori che si stanno orientando verso la soluzione standalone. Grande apertura al mercato e attenzione ha riscosso il lancio di Oculus Go da parte di Facebook durante incontro annuale F8 con i programmatori, così come i post in 3D lanciati ad aprile.

    Oltre ad aggiornarci sugli ultimi upgrade presentati in occasione delle riunioni con gli sviluppatori da Facebook, Google, Microsoft dobbiamo valutare quali applicazioni possiamo utilizzare per rendere innovativi e coinvolgenti i nostri contenuti.

    Nell’ultimo anno ho raccolto molti esempi in eventi ed esposizioni alla costante ricerca di suggerimenti e di nuove idee per le aziende di medie dimensioni. Per le grandi aziende esistono molte soluzioni dalla formazione elearning ad hoc alle app create per fidelizzare i pubblici più giovani e tecnologici.

    Pensiamo solo al settore beauty dove da anni Sephora, Rimmel e L’Oréal sperimentano applicazione in AR che permettono, grazie al riconoscimento facciale, d’indossare nuovi rossetti o provare nuovi fard o fondotinta. Altri esempi nel settore retail sono offerti dai fashion e luxury brand Lacoste  o da Burberry con l’app realizzata in ARKit (Apple).

     

    Di seguito alcune applicazioni che mi hanno interessato e che ho potuto vedere realizzate in diversi eventi ed esposizioni da Futurland a Talent Garden Calabiana, alla Maker Faire di Roma, dal Fuori Salone di Milano al  Technology Hub a Milano e infine al Salone del libro di Torino:

    • la business card in AR che consente di vedere tutti i link social
    • l’arte e grafica in AR
    • i santini e i manifesti di propaganda elettorale in AR
    • le favole imbustate e animate grazie all’AR nel progetto  ‘L’imbustastorie’ al Salone del libro di Torino

     

    Che cosa succederà nel prossimo futuro? Secondo Matt Coleman, the head of innovation for the Magnify World AR and VR expo:

    We really believe that AR and VR is the next computer platform that everyone will be using in the future and it should be as big as the Internet in the coming years

    Non ci resta che seguire con grande attenzione gli sviluppi e introdurre nei nostri piani di marketing le applicazioni più vicine al nostro business per essere tra i primi a cogliere queste nuove opportunità.

    L’appuntamento è il 5 ottobre prossimo per un workshop dedicato al VR e AR nel Google Day organizzato da Work Wide Women presso la sede milanese di Google. Sarà un momento teorico-pratico in cui proveremo i visori e ci metteremo in gioco in un laboratorio: utilizzeremo la fotocamera per immagini Ricoh Theta e creeremo tour VR grazie a piattaforme online.

     

     

    Fonti:

    -www.viar360.com

    -https://www.youtube.com/watch?v=JcMOyMudH88

    -https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-09-27/burberry-turns-to-apple-for-augmented-reality-fashion-app

  • Passioni sonore: audio e voice per incontrare nuovi pubblici

    Una nuova moda o una passione duratura? Audio e voice stanno riscuotendo sempre più successo; sui social media si diffondono i live di influencer che ci intrattengono con consigli e informazioni e sempre più spesso nelle nostre città incrociamo persone assorte ad ascoltare in cuffia podcast e audiolibri.

    Un popolo di ‘auditivi’ che desidera acquisire informazioni attraverso l’ascolto e che oggi, grazie al mobile e al web, può fruirne ‘always and everywhere‘. Che cosa si intende per auditivi? Fin dal 1920 psicologi e pedagoghi avevano sviluppato il modello VAK, acronimo di visivo, auditivo e cinestetico, utile per comprendere lo stile di apprendimento umano e il canale di comunicazione preferito. La PNL definisce 3 sistemi rappresentazionali quali modalità sensoriali secondo cui le persone codificano, organizzano e attribuiscono un significato alle esperienze e al mondo attorno a loro:

    • visivo – immagini
    • auditivo – suoni, parole e rumori
    • cinestetico – sensazioni, gusto, olfatto e tatto.

    Ognuno di noi ha un sistema rappresentazionale preferenziale, ossia utilizza sempre lo stesso sistema sensoriale al momento di filtrare uno stimolo che proviene dall’esterno. Di fronte ad uno spettacolo teatrale, ad esempio, i visivi ricorderanno e saranno colpiti dalla scenografia, gli auditivi dalla musica e dalla recitazione e i cinestetici dall’atmosfera dell’opera.

    Da visiva ammetto di sentirmi sempre in difficoltà con il canale auditivo, anche se, tornando indietro negli anni mi rivedo alla sera mentre da ragazzina ascoltavo racconti alla radio. Ero immersa in libri di avventura e lasciavo spazio libero alla fantasia; un giorno ero un corsaro o un militare e il giorno seguente un’eroina che viveva mille avventure. Voci piene di colore avvolgono i miei ricordi. Aggiungo che non ho mai avuto un rapporto molto felice con la mia voce tanto che qualche anno fa, spinta anche dall’esigenza di parlare in pubblico, ho intrapreso un percorso di studio proprio sull’utilizzo della voce.

    L’occasione era nata in azienda quando avevo conosciuto Ciro Imparato, grande professionista della voce che aveva inventato il metodo Four Voice Colours. Da formatrice ero rapita da quella voce profonda che passava da un colore all’altro, riuscendo ad esprimere dalla rabbia alla calma e all’autorevolezza. Mi aveva colpita a tal punto da acquistare il libro e seguir passo passo gli esercizi proposti e iscrivermi anche ad un corso privato di dizione per attenuare quei ‘piemontesismi’ che fanno parte del mio bagaglio personale. Ricordi Sabrina? Tanti esercizi di respirazione, tante risate per improvvisarsi attrice di teatro. <Spostati in fondo alla stanza e bisbiglia ad alta voce> mi dicevi e io, con la voce sempre un po’ roca sperimentavo e seguivo i consigli di un’esperta che aveva lavorato in RAI.

    Se i corsi di dizione e di gestione della voce restano prerogativa di una nicchia, le letture, i podcast, gli audiolibri trovano sempre più adepti. Quali sono i settori  in cui l’audio e il voice si sta affermando? Ho cercato d’indagare facendo anche qualche riflessione personale sulle tendenze in atto.

    Letture ad alta voce

    Nello scorso autunno mi sono avvicinata alle letture ad alta voce e ho frequentato presentazioni di libri e incontri di lettura. Da qualche anno infatti librerie e circoli culturali sono diventati luoghi di aggregazione per appassionati. Troverete sicuramente molte iniziative anche nelle vostre città.

    A Torino vi posso segnalare il Circolo dei lettori che nel corso dell’anno offre un’ampia scelta di letture ad alta voce, oltre a classici incontri con scrittori. Nel mese di aprile si è svolto anche ‘Torino che legge‘, un progetto della Città di Torino e del Forum del Libro, in collaborazione con il MIUR e il Centro UNESCO, promosso in occasione della Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, istituita dall’UNESCO il 23 aprile. Una settimana dedicata alla lettura nelle biblioteche o viaggiando sul tram storico 3104 che percorre le vie del centro cittadino dove si sono tenute letture tratte dall’Antologia Lingua Madre e su Torino, a cura della Scuola ODS-Operatori Doppiaggio e Spettacolo.

    Per l’estate 2018 la Scuola Holden  ha organizzato un trekking serale, dal titolo Accendere un fuoco, che conduce su un sentiero nel bosco fino alla Basilica di Superga. Ascoltando la lettura di Jack London, i partecipanti seguono ‘il filo che ci unisce alla natura e agli animali, e  in ascolto della parte più selvaggia dell’anima.

    Audiolibri

    Dopo un periodo di disaffezione, l’audiolibro sta vivendo una nuova giovinezza: è aumentata l’offerta di titoli e il pubblico li sta riscoprendo. La giornalista Ilaria Amato in un articolo pubblicato a gennaio sul magazine ‘Donna moderna’ fornisce alcuni dati sul consumo degli audiolibri in Italia. ‘13.400 sono i titoli disponibili sulla piattaforma Audible nel 2017. Nel 2016 erano 12.000. 41% la percentuale di chi compra audiolibri li ascolta sullo smartphone; il 31% lo fa sul pc e il 29% sul tablet (dati tratti da rapporto dell’Associazione italiana editori, Aie)‘.

    Ascoltare è il nuovo leggere.

    Sempre dall’analisi fornita dall’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori si evince che nel 2017 il mercato e-book e audiolibri ha ottenuto quota 64milioni di euro con un +3,2% sul 2016 e l’11%  legge audiolibri contro il 62% carta e il 27% ebook. 

     

    Podcast

    Nel 2017 ho seguito un Google Day organizzato da Work Wide Women dedicato al podcast e ho scoperto, grazie a Tonia Maffeo di Spreaker, un mondo in grande fermento e sviluppo. Molto utilizzati all’estero i podcast hanno avuto una diffusione significativa negli ultimi anni in Italia a carattere sia di business sia d’intrattenimento. Quali sono i pubblici e qual è l’utilizzo?

    Qualche dato del mercato USA: 112 mio hanno ascoltato almeno 1 volta nella loro vita e 67 mio lo ascoltano almeno 1 volta al mese. Interessante anche il dato relativo a dove avviene l’ascolto:

    • 52%  da casa
    • 18% in auto 
    • 12% al lavoro.

    Vi riporto una frase di Tiziano Bonini, ricercatore in media studies all’Università Iulm di Milano, che ho letto recentemente su http://www.linkideeperlatv.it/ e che mi è piaciuta molto:

    I podcast sono diventati la nuova frontiera dell’hipster a caccia di un nuovo bene di consumo che gli permetta di distinguersi dalla marmaglia del consumo generalista.

    Sempre secondo Bonini i generi di podcast più scaricati al mondo appartengono a 3 macrocategorie:

    • storytelling (es. Radiolab e 99% Invisible)
    • fiction (serie finzionali, tipo “sceneggiati”- es. in Italia Ad alta voce e in UK The Archers, che va in onda sulla Bbc dal 1951)
    • giornalismo di approfondimento o investigativo.

    Ma qual è la fascia d’età del pubblico dei podcast? Secondo Podtrac – società che rileva degli ascolti del settore i fruitori più appassionati in USA appartengono alla fascia 25 -45 e oltre. Non un pubblico giovanissimo, da quanto sembra.

    Podtrac Audience Surveys, 2016; * Edison Research, 2016 Fonte: http://analytics.podtrac.com

     

    Tra le varie piattaforme che sono ora disponibili sul mercato si sta affacciando anche Google Podcasts, una nuova applicazione sviluppata e distribuita su Play Store. Notizia di qualche giorno fa parla del lancio ormai imminente. Quali caratteristiche innovative avrà?

    Da un articolo pubblicato nel sito Webnews pare che un dipendente di Google abbia rilevato a Product Hunt:

    l’ interazione con l’intelligenza artificiale dell’Assistente Google e l’utilizzo della sincronizzazione tra più dispositivi come gli smart speaker della linea Home sfruttando l’account dell’utente. Le feature principali offerte saranno legate alla ricerca, al download, alla riproduzione e alla gestione dei podcast, partendo da un catalogo in cui verranno indicizzate oltre due milioni di fonti provenienti da tutto il mondo, accuratamente suddivise per genere e categoria.’

    Suoni per raccontare

    Non solo voci, ma anche suoni. Il pubblico italiano è più concentrato sull’ascolto. Circa un anno fa è nato il progetto “I suoni della vostra vita” promosso da Repubblica e i quotidiani locali del Gruppo Espresso e  pubblicato su profilo Soundcloud.

    L’idea è creare ‘una colonna sonora collettiva, un racconto in musica con tutti quei piccoli rumori che accompagnano i nostri percorsi quotidiani.‘  I lettori sono stati invitati a registrare ed inviare in redazione i suoni dei quartieri, del mare, delle città, suoni che rappresentino momenti di vita.

    Un progetto molto simile viene realizzato da Alessandro, un mio amico che da anni registra i suoni della sua giornata, creando un diario sonoro della propria vita.

    Audiobranding

    La scorsa settimana ho partecipato al convegno CXNow – retail and beyond organizzato da Innovability presso La Casa dell’Energia e dell’Ambiente di Milano sul tema del retail e della customer experience.  Vi evidenzio due slide di Pietro Tonussi di Axis Communication nello speech ‘La Customer Experience, oggi’  sulla riscoperta del valore dell’audio nel customer journey.

     


    Secondo l’Audio Branding Academy la diffusione di tecnologia dagli smartphone ai cosiddetti streaming media e podcast può offrire grandi opportunità per questa forma di comunicazione multisensoriale :

     Audio Branding can aid in optimizing brand communication and in designing a better sounding environment.

    Che cosa intendiamo con audio branding? Una definizione viene proprio offerta dall’Academy:

    ‘Audio Branding describes the process of brand development and brand management by use of audible elements within the framework of brand communication. […] Audio Branding aims at building solidly a brand sound that represents the identity and values of a brand in a distinctive manner. The audio logo, branded functional sounds, brand music or the brand voice are characteristic elements of Audio Branding.’

    Ricordiamo tutti il suono che accompagna il logo di Ricola, la caramella alle erbe svizzera oppure della casa cinematografica Twentieth Century Fox? Per effettuare la ricerca vi segnalo Audio Logo Database, un tool che, come leggiamo sul sito, permette di:

    ‘research and investigate the acoustic marketplace especially for audio logos. It contains audio logos from all branches including the registered sound marks of the trademark offices. ‘

    Potete ascoltare il suono di Ricola al link e quello di Twentieth Century Fox al link e trovare molte informazioni sullo studio e creazione degli audio loghi che conosciamo.

    Se siete interessati al tema dell’audio branding seguitemi, perché a breve pubblicherò un’intervista molto interessante su LinkedIn Pulse.

    Quali saranno le tendenze future? Visual o audio?

    Il video continuerà ad essere predominante anche nei prossimi anni con una fruizione sempre più mobile e man mano sostituirà la TV tradizionale, tendenza confermata anche dal lancio di qualche giorno fa della nuovissima app di Instagram,  IGTV. Secondo il report “Global Digital Video Viewers”  di eMarketer presentato da IAB:

    ‘in tutto il mondo, la visualizzazione di video è un’attività core tra gli utenti di Internet ed è stato stimato che il 65,1% di essi continuerà a farlo regolarmente nel 2018.[…] Per il 2018 si stima che 1,87 miliardi di individui in tutto il mondo useranno un telefono cellulare per guardare video digitali, con un incremento dell’11,9% rispetto al 2017.[…] Il pubblico di YouTube si sta avvicinando alla saturazione in molti mercati. Quest’anno, il numero di utenti di YouTube in tutto il mondo aumenterà del 7,5%, in testa rispetto alla crescita complessiva dei video viewers digitali (7,2%). Questa tendenza continuerà per tutto il periodo di previsione, con una crescita degli utenti di YouTube che proviene principalmente dai primi spettatori di video digitali.’

    L’approccio del pubblico, tuttavia, come abbiamo visto dalle iniziative che si stanno diffondendo e dal successo dei podcast, non è solo più visivo, ma si sta spostando anche sul senso dell’udito, arricchendo l’esperienza di nuove sensazioni ed emozioni. Spetterà al singolo decidere quale canale preferire e seguire secondo le proprie propensioni personali. E  voi siete più auditivi o visivi?

     

     

    Fonti:

    -https://www.iab.it/iab-news/global-digital-video-viewer-report/

    – http://audio-logo-database.com/

    – https://audio-branding-academy.org/

    – http://analytics.podtrac.com/podcast-demographics/

    – https://soundcloud.com/suonidellavita

    – http://media.giornaledellalibreria.it/presentazione/allegati/2017_01_26_Mercato-2017-DA%20CARICARE.pdf

    – http://www.donnamoderna.com/news/cultura-e-spettacolo/audiolibri-gratis-inglese-dove-si-comprano

    – http://www.torinochelegge.it/

    – https://www.webnews.it/2018/06/19/google-podcastsa-app-android/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+Webnews

  • L’arte del pitch: raccontarsi in pochi minuti

    Chi si ricorda ‘Cogito ergo sum‘ di Cartesio? Oggi l’espressione più attuale è quella suggerita da Guy Kawasaki: ‘I pitch therefore I am‘. Parliamo sempre più frequentemente in pubblico in pitch più o meno brevi,  prepariamo presentazioni inerenti la nostra attività o i nostri progetti, momenti importanti della nostra vita professionale che richiedono sintesi, chiarezza ed efficacia. Non tutti siamo preparati a questo nuovo compito e, a volte, non riusciamo a raggiungere i goal sperati.

    Negli anni ho seguito molti pitch, relazioni e presentazioni aziendali e il 13 giugno 2018 ho tenuto un workshop alla SMW di Milano in cui ho cercato di trasmettere alcune riflessioni basate sulla mia esperienza diretta e su approfondimenti condotti su alcuni testi dedicati all’argomento.

    Sono totalmente d’accordo con Rahul Jain, Social Media Enthusiast HR Professional, che non esiste un format perfetto.

    There is no PERFECT pitch format. Understand your audience and adjust’

    Ma se non esiste una formula, quali regole seguire per essere efficaci? Studiare e sperimentare, imparando dagli errori propri e da quelli degli altri; questa a mio parere è una buona prassi.

    Qualche settimana fa ho partecipato ad un workshop Lego Seriuos Play e SCRUM organizzato da Fabrizio Faraco, Andrea Romoli e Michael Forni e mi sono messa in gioco. Abbiamo dovuto simulare un elevator pitch di solo cinque minuti. Nonostante la validità dell’idea, il nostro gruppo non ha vinto a causa di un’esposizione poco coinvolgente. Mi sono interrogata sulle motivazioni e, dopo aver riascoltato la registrazione delle due presentazioni e aver fatto un’analisi obiettiva della performance del nostro team,  mi sono resa conto che spesso, messi alle strette, dimentichiamo i fondamentali.

    Quali spunti utili ho tratto da quest’esperienza?

    1. dedichiamo più tempo al progetto che alla preparazione e alle prove del pitch, dimenticando l’importanza di entrare in empatia con il nostro pubblico e gli eventuali investitori.
    2. è necessario tanto esercizio per risultare fluenti. Questo non significa imparare a memoria il pitch, in quanto si risulterebbe poco spontanei. Tuttavia bisogna essere sicuri sull’incipit e sulla call to action, perché capiterà spesso di dover ridurre i tempi della presentazione a causa della mancanza di tempo, ritardi nell’organizzazione, speech precedenti che si sono prolungati.
    3. se decidiamo di coinvolgere più membri del team dobbiamo necessariamente coordinarci bene e provare in gruppo in modo da non avere stacchi bruschi, ma un gioco di squadra armonico.
    4. se desideriamo e possiamo proiettare delle slide è opportuno seguire il metodo 10/20/30 di Guy Kawasaki  ossia 10 slide per 20 minuti con testo corpo 30.

    Come leggiamo nel libro “The art of start 2.0” di Guy Kawasaki,  il pitch non ha solo finalità di ottenere finanziamenti, ma di creare consenso nei nostri confronti e verso il nostro prodotto e metterci in connessione per poi approfondire. Si parla di fiducia e le storie ispirano fiducia.

    They want faith faith in you, your product, your success, and in the story you tell. Faith, not facts, moves mountains. Meaningful stories inspire faith in you and your product

    Grazie alla diffusione soprattutto degli investor pitch negli hackathon, Pitch è diventata quasi una buzzword, ma le occasioni in cui ci troviamo a dover parlare in pubblico e presentare il nostro progetto sono le più svariate: dagli incontri con fornitori e clienti alle conferenze, agli eventi di networking, ecc. I guru americani consigliano di esercitarci con parenti e amici su 3 tipi di pitch di durata differente per presentare noi stessi:

    1. The Full elevator pitch
    2. The Handshake
    3. The Eyeblink.

    Discorsi di pochi minuti che dovrebbero essere sempre pronti e aggiornati, perché l’occasione di presentarci può nascere all’improvviso anche solo con una stretta di mano. Per avere degli elementi di riflessione e cercare di individuare delle buone pratiche partiamo dai cinque errori più frequenti.

    Errori frequenti

    Di seguito ho provato ad elencare gli errori che ho notato, assistendo a pitch e a presentazioni nell’ultimo anno:

    • slide con troppi dettagli e tecnicismi,
    • assenza di narrazione
    • poco entusiasmo
    • improvvisazione
    • debole call to action

    Ho quindi cercato di individuare delle metodologie utili su testi di autori italiani e stranieri dedicati a questo tema. Nel suo libro “Pitch anything” Oren Klaff precisa che, secondo i neuroscienziati, il cervello umano è costituito da 3 cervelli che lavorano insieme, ma separatemente: corteccia, limbico e rettiliano.

    Quando teniamo una presentazione la nostra neocorteccia pensa di rivolgersi alla neocorteccia dell’interlocutore, in realtà il messaggio arriva al rettiliano che è il cervello primordiale che ignora il messaggio a meno che non sia nuovo, accattivante o pericoloso.

    L’autore suggerisce un metodo per catturare l’attenzione e conquistare il rettiliano. Il metodo è identificato dall’acronimo STRONG, ossia:

    • Set the frame  – definisci una situazione e punto di partenza,
    • Tell the story – coinvolgi nel tuo racconto anche con immagini,
    • Reveal the intrigue  – stimola la curiosità,
    • Offer the prize – offri una ricompensa che sei tu e il tuo prodotto che risolve un problema
    • Nail the hookpoint – aggancia l’audience
    • Get the deal – convinci il tuo interlocutore

    In poche parole pensiamo al pitch come ad una storia breve che deve contenere elementi di tensione. Non è detto che debba essere sempre positiva.

     

    STORIA O RACCONTO?

    Spesso si pensa che un semplice aneddoto inserito nel discorso possa essere efficace, senza comprendere la differenza che esiste tra storia e racconto. Su questo tema possiamo ricorrere alla definizione fornita da Andrea Fontana nel suo libro ‘ Storytelling d’Impresa – la guida definitiva’.

    Storytelling significa comunicare attraverso racconti

    ‘storia e racconto non sono la stessa cosa’ – afferma l’autore. Possiamo dire che la storia (in inglese history), corrisponda ad una sequenza di dati ed eventi con una base cronologica mentre il racconto (in inglese story) è un ‘sistema di rappresentazione percettivo’.

    Elemento base del racconto sono le emozioni che ci mettono in connessione con i nostri pubblici. Le narrazioni seguono uno stesso schema, ossia un inizio con un stato di equilibrio, la rottura dell’equilibrio, le peripezie, la trasformazione e il ripristino dell’equilibrio finale.

    Questo schema può essere applicato anche ad un pitch? Secondo Nancy Duarte il pitch per essere ‘persuasive’ deve seguire uno schema in 3 atti (inizio, parte centrale e conclusione) con molti momenti che si dividono tra ‘ la situazione così com’è e come potrebbe essere’.

    Nella fase iniziale la Duarte suggerisce di presentare la situazione o il problema che si intende risolvere e far vedere gli sviluppi che potrebbe avere. Appare quindi evidente una frattura, un gap. Nella parte centrale è importante mantenere alta la tensione e in conclusione spiegare i benefici e fare una call to action coinvolgente.

    Segue la struttura in 3 atti anche il modello S.Co.R.E di Andrew Abela, utile per narrare le storie complesse nell’investor pitch. Maurizio La Cava nel suo libro ‘Investor Pitch’ ci spiega l’acronimo e come applicarlo anche con esempi pratici:

    Situation – Complication – Resolution   a cui Abela aggiunge anche un quarto: Examples, indispensabile per meglio chiarire i concetti chiave che si desiderano esprimere.

    Sempre di stories parla anche Carmine Gallo nel suo libro “Talk like TED” , ma le inserisce in una fase precisa del Message Map Template basato sulla regola del 3.  Si parte da una Headline che riassume come in un tweet di 140 caratteri il concetto chiave che si vuole far arrivare agli interlocutori, poi seguono 3 messaggi o key points e a ciascuno 3 bullet points che sono storie, statistiche o esempi. Solo 3 concetti, perché la mente umana può processare solo 3 informazioni nella memoria a breve termine

    Ma dove trovare l’ispirazione per i racconti? Un semplice evento può essere una storia d’ispirazione per il nostro pubblico? Per non trovarci impreparati possiamo creare una raccolta, considerando alcuni aspetti della nostra attività:

    • momenti importanti della tua vita o del team
    • mentori che ti hanno aiutato nel percorso e nel cambiamento
    • avversari che hai incontrato nel percorso
    • luoghi che hanno avuto significato
    Le quattro fasi del pich

    Per procedere in un’analisi approfondita ho suddiviso il processo in 4 fasi principali:

    • preparazione,
    • esposizione,
    • conclusione,
    • analisi.

    Per quanto concerne la preparazione consideriamo il tempo che abbiamo a disposizione per lasciare spazio alle domande finali ed approfondimenti. Dobbiamo creare uno storyboard, ossia una sceneggiatura con testi e tempi. Lo storyboard può essere un semplice schizzo su un foglio condiviso con il team oppure può essere più professionale realizzato in digitale con il tool, Storyboard That.

    Dobbiamo infine considerare i pubblici a cui ci rivolgiamo: clienti, potenziali investitori e potenziali soci o team. Il pitch deve adattarsi allo scopo che ci prefiggiamo e ai nostri interlocutori.

    Nella fase di esposizione i primi 10” sono fondamentali, in particolar modo negli investor pitch degli hackathon, in quanto molte presentazioni si susseguono con un calo d’attenzione significativa. Pare infatti che il livello d’attenzione si riduca dopo i primi 5 minuti. E se saremo il decimo gruppo a presentare il nostro progetto? Non possiamo che trovare soluzioni per farci ascoltare e ricordare.

    Durante gli ultimi Opening Days che si sono tenuti alla Scuola Holden la scorsa settimana ho assistito a diversi pitch e ho tratto alcuni spunti interessanti. Ecco qualche suggerimento per creare la scena e aprire il nostro discorso:

    • musica di fondo
    • lettura di un brano
    • oggetti evocativi
    • voce fuori scena
    • video

    Per la creazione delle slide possiamo trarre ispirazione dal sito Product Hunt, molto noto nel mondo delle startup dove sono consultabili molte presentazioni di piccole o grandi aziende quali ad esempio Airbnb, mentre una base di pitch deck template è reperibile da Google doc presentation . 

    Se desideriamo invece creare un video di presentazione suggerisco di provare due tools interessanti:

    • Adobe Spark Video che consente d’inserire testo e voice oltre a immagini. Disponibile per iOS
    • PowToon, un’app web con cui creare un avatar e aggiungere al video immagini, sfondi, transizioni, segni o testi secondo la propria idea creativa.

    Nella fase della conclusione diamo spazio a una call to action chiara e coinvolgente, utile a farci emergere e a farci ottenere un secondo incontro d’approfondimento. In questo caso, se si tratta di un investor pitch, potremo presentare il nostro Business Plan corredato di dati e report dettagliati, attività e vision imprenditoriale.

    L’ultima fase è quella dell’analisi, indispensabile per comprendere gli elementi positivi e negativi della presentazione. Ricordiamoci di essere molto obiettivi e severi per riuscire a migliorare e non ripetere gli stessi errori.

    Per altri suggerimenti potete consultare le slide presentate a SMW Milano e caricate su slideshare.  Contattatemi per maggiori dettagli e per creare insieme il vostro pitch efficace!

     

     

     

     

    Fonti

    “The art of start 2.0 – autore Guy Kawasaki – ed. Penguin – cap. 6 ‘The art of pitching’

    “Pitch anything- la presentazione perfetta” – autore Oren Klaff  – ed. Roi Edizioni- cap.1 ‘Il metodo’

    “Persuasive Presentations” – autore Nancy Duarte – ed. Harvard Business Review Press – section 3 ‘Story’

    “Talk like TED” – autore Carmine Gallo – ed. Pan Books – section 7 ‘Stick to the 18-Minute Rule’

    “Investor Pitch” – autore Maurizio La Cava – ed.  Dario Flaccovio

    “Storytelling d’Impresa – la guida definitiva” – autore Andrea Fontana – ed. Hoepli – cap. 3 ‘Racconti, storie, narrazioni

  • Interpretare e raccontare l’arte

    Comprendiamo davvero il significato dell’arte e delle installazioni? Spesso ci soffermiamo appena e facciamo scorrere lo sguardo senza vedere realmente. La fruizione dell’arte si intreccia con la narrazione.

    In queste ore è in pieno svolgimento Artissima a Torino, la fiera d’arte contemporanea che vede coinvolte più di 200 gallerie a livello internazionale e artisti emergenti. Moltissimi visitatori percorreranno gli spazi espositivi, ma quanti davvero riusciranno a comprendere appieno il senso dell’arte?

    Un momento di approfondimento mi è stato offerto il 18 ottobre scorso quando ho avuto l’occasione di partecipare ad una open lecture dell’artista Paolo Inverni all’interno del corso di Interactive Storytelling del professor Giulio Lughi dell’Università di Torino.

    Di seguito qualche frase che ho ritrovato nei miei appunti su cui vorrei riflettere con voi.

    Il confine artista e autore non esiste più, costruisce mondi.

    La gestione dell’informazione è nelle mani dell’autore. L’autore sa ciò che lo spettatore non sa in partenza e decide quali informazioni offrire. Deve gestire l’informazione, dandola riorganizzata.

    Se l’autore genera mondi, la narratività è uno spaccato di mondi e il suo ruolo è quindi legato all’etica e alla morale. Seleziona le informazioni, decidendo i tempi e l’ordine oltre a quanto e come. Quante informazioni al mq è giusto offrire al lettore/fruitore, si chiede il relatore? Testo fitto o meno denso?

    L’artista ha portato l’esempio di un quotidiano degli anni ’50 a confronto con uno attuale per far comprendere quanto la percezione del lettore cambi a seconda dei tempi e della tecnologia. Quello che sembrava normale negli anni ’50 attualmente risulta troppo denso per una lettura efficace e senza gerarchia. Oggi si pubblicano testi meno fitti e densi. Dobbiamo tenere presenti due fattori fondamentali degli anni passati:

    • gli alti costi di stampa
    • la lettura era destinata ad un pubblico di nicchia.

    Nei quotidiani si è sentita influenza dell’hypertext, per cui si prediligono non testi interi, ma titolo, inserto e rimando a pagina interna. Neanche l’editoriale è più intero sulla prima pagina, ma leggiamo solo blocchi informativi che fanno riferimento alla pagina interna.

    Anche la convergenza tra immagini e informazioni testuali era differente, perché le tecniche di stampa erano diverse: le riproduzioni erano sempre in B/N e non sulla stessa pagina e spesso cambiava la carta (patinata per un’efficacia visiva maggiore). Oggi la convergenza è completa e un esempio perfetto è offerto dalle infografiche che sono spesso parte integrante, anzi sostituiscono in alcuni casi l’articolo. Una modalità narrativa che ha una grande efficacia ed impatto sul lettore.

    Da autore a progettista –> deve conoscere i limiti dei media e dei linguaggi per sapere come verrà applicato e realizzato. Deve controllare il risultato finale.

    Nell’arte contemporanea si possono applicare figure retoriche nello spazio e secondariamente nel tempo. Esiste un controllo totale dello spazio (luce, accessi, distanza dello spettatore, etc) utile per le installazioni.

    Il relatore si sofferma sulla Site-specific art dove l’opera d’arte non risolve il suo significato all’interno di una cornice, ma nello spazio.

    Se leggiamo su Wikipedia scopriamo che

    Site is a current location, which comprises a unique combination of physical elements: depth, length, weight, height, shape, walls, temperature.

    Ci porta anche l’esempio di una sua installazione, Fremito e ci fornisce gli elementi narrativi per comprenderla. Storytelling spaziale –> sviluppo narrativo nello spazio.

    Obiettivo dell’opera: mettere in discussione la staticità. Un lampadario, normalmente statico se non in presenza di fenomeni naturali quali un terremoto è stato dotato di un motorino interno che provoca una vibrazione delle gocce. L’artista ha studiato le vie di accesso: a 30 metri il visitatore vede un movimento quasi impercettibile e può pensare di avere la vista stanca, ma non appena si avvicina si rende conto che le gocce vibrano davvero. In sottofondo sente una musica di elicotteri che suscita una certa ambivalenza da una parte sicurezza (vegli su di me) dall’altra (pericolo e ansia).

    Sentimenti ed emozioni vengono vissuti in modo differente dagli spettatori.

    Nell’arte contemporanea il timing di fruizione non è imposto.

    A differenza del cinema ognuno può prendersi i propri tempi per la fruizione. Tornare e rivedere l’installazione e viverla in modo soggettivo.

     

     

  • Lifelong learning: formazione per l’industria 4.0

    Che cosa significa ‘Lifelong learning‘ e perché è diventato un tema molto attuale? Grazie all’industria 4.0 e alla digital innovation stiamo assistendo a un’evoluzione dei profili professionali e delle competenze con un impatto rilevante sul mondo della formazione.

    La definizione di lifelong learning di Wikipedia mette l’accento sul cambiamento : Il lifelong learning (o apprendimento permanente) è un processo individuale intenzionale che mira all’acquisizione di ruoli e competenze e che comporta un cambiamento relativamente stabile nel tempo. Tale processo ha come scopo quello di modificare o sostituire un apprendimento non più adeguato rispetto ai nuovi bisogni sociali o lavorativi, in campo professionale o personale.

    Come precisa la giornalista Luisa Adani in un articolo pubblicato lunedì 3 luglio sul supplemento ‘L’Economia del Corriere della Sera intitolato ‘Industria 4.0, competenze cercansi’:

    La formazione è il passaggio chiave per affrontare il processo di innovazione in azienda e ciò non solo per sviluppare le ovvie competenze tecniche e tecnologiche, ma anche per gestirne l’indispensabile processo di trasformazione culturale e organizzativa.

    L’articolo contiene anche un grafico molto interessante sulla survey effettuata su 205 aziende dall’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. Risulta che il 74% ritiene fondamentale utilizzare device digitali, il 54% impiegare i Big Data per prevenire i mercati, 34% utilizzare Augmenteed/Virtual Reality. Se analizziamo la formazione digitale emerge che il 62% stanno sviluppando corsi specifici, ma il 76% tramite approcci tradizionali. Solo il 24% utilizza approcci innovativi.

    Ho cercato di approfondire sul sito Osservatori.net e dal comunicato stampa ho appreso che ‘i corsi di formazione si terranno principalmente tramite lezioni in aula in presenza, ma tra gli approcci formativi innovativi il metodo più diffuso è quello dei corsi online, sia webinar che sistemi più complessi di e-learning. Raro, ma da segnalare anche l’uso di realtà virtuale e aumentata per la formazione di operatori di linea.’

    Se da un lato si assiste a una conferma dei corsi in aula dall’altro, grazie all’intelligenza artificiale, diventa sempre più stretto il legame tra  MachineLearning e LifelongLearning. Nell’articolo Re-educating Rita‘ pubblicato il 25 giugno 2016 in Economist.com si ripercorre la nascita dei primi corsi di e-learning. Conoscete la loro storia?

    A luglio 2011 il professore di Stanford, Sebastian Thrun, annunciò con un breve video su Youtube un corso gratuito online “Introduction to Artificial Intelligence”, che avrebbe tenuto in co-docenza con il collega, Peter Norvig. Le iscrizioni furono numerosissime: 160.000 persone in 190 nazioni. Nello stesso periodo un altro professore di Stanford, Andrew Ng, tenne un corso gratuito online sul machine learning con 100.000 iscritti. Queste metodologie innovative sono conosciute con il termine Massive Open Online Courses (MOOCs) e hanno dato vita ai molti corsi online offerti dalle università internazionali.  

    education

    ‘In 2012 Mr Thrun founded an online-education startup called Udacity, and Mr Ng co-founded another, called Coursera.[…]The fact that Udacity, Coursera and edX all emerged from AI labs highlights the conviction within the AI community that education systems need an overhaul. Mr Thrun says he founded Udacity as an “antidote to the ongoing AI revolution”, which will require workers to acquire new skills throughout their careers.

    Similarly, Mr Ng thinks that given the potential impact of their work on the labour market, AI researchers “have an ethical responsibility to step up and address the problems we cause; Coursera, he says, is his contribution. Moreover, AI technology has great potential in education. “Adaptive learning”—software that tailors courses for each student individually, presenting concepts in the order he will find easiest to understand and enabling him to work at his own pace—has seemed to be just around the corner for years. But new machine-learning techniques might at last help it deliver on its promise.”.’

     

    Nell’articolo si sottolinea quanto la disruption che sta investendo tutti i settori industriali e l’intelligenza artificiale avranno lo stesso impatto della rivoluzione industriale del diciannovesimo secolo.

    The rise of artificial intelligence could well do the same again, making it necessary to transform educational practices and, with adaptive learning, offering a way of doing so.

    Secondo Joel Mokyr della Northwestern University, dal 1945 la formazione ha incoraggiato la specializzazione, ma dal momento che la conoscenza diventa obsoleta molto velocemente ‘the most important thing will be learning to relearn, rather than learning how to do one thing very well.   Deve quindi variare l’approccio e la formazione deve durare la vita intera, afferma Mr. Ng:

     You need to keep learning your entire life—that’s been obvious for a long time. What you learn in college isn’t enough to keep you going for the next 40 years.

    Di formazione e autoformazione si è parlato anche nella settima edizione dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ha condotto una survey su 170 direttori HR di medio-grandi aziende che operano in Italia, i cui risultati sono stati presentati lo scorso maggio a Milano. Leggiamo dal comunicato stampa:

    Il 97% dei referenti HR sostiene che nei prossimi due anni tutte le persone dell’organizzazione dovranno adeguare le proprie competenze (il 69% per tutte le persone, il 28% solo per alcuni). […] Tra le competenze digitali, servono soprattutto la conoscenza di applicazioni Social, Mobile, Cloud, Analytics per l’ambito HR ma contano anche le digital soft skill, la cui rilevanza aumenterà nei prossimi due anni per il 57% del campione.[…]Le principali modalità formative per l’aggiornamento secondo i lavoratori saranno i corsi di formazione aziendali (67%) e il confronto con i colleghi (37%), ma cresce la rilevanza di piattaforme esterne, come gli strumenti online (Youtube, TED, forum, evidenziati dal 30%) e i corsi presso Business School o Università (19%).

    Emerge quindi l’esigenza di affiancare a corsi in-house, il digital learning che possa essere fruito sempre e in ogni luogo e costruito su misura per il discente per accelerare il processo di trasformazione ed aggiornamento ormai indispensabile per l’industria 4.0.

    Nascono quindi nuove modalità d’ingaggio delle risorse umane all’interno delle organizzazioni. Nel comunicato stampa leggiamo che in occasione del convegno sono stati assegnati gli HR Innovation Award 2017 alle organizzazioni che si sono distinte per la capacità di utilizzare le tecnologie digitali come leva di innovazione e miglioramento dei principali processi di gestione e sviluppo delle risorse umane. Tra i vincitori mi hanno colpito:’ Intesa Sanpaolo per la categoria “Formazione” con il progetto di Digital Learning Innovare la formazione  e SIRAM per l’iniziativa Innovation Map, una campagna di ingaggio dei dipendenti in un percorso di sviluppo sul tema dell’innovazione attraverso un gioco, una piattaforma on-line di e-learning e un progetto social, che ha portato allo sviluppo del primo incubatore di Siram, Siram L@b, allo scopo di rendere continuativo il processo di miglioramento e alimentare la cultura di innovazione in azienda.’

    Vi consiglio di approfondire sul sito di Intesa Sanpaolo nella pagina dedicata alla formazione dove si precisa che utilizzano  ‘diversi canali integrati fra loro (aula, e-learning, web tv on demand e comunità virtuali) e metodologie di apprendimento innovative.[…] una formazione personalizzata per chi affronta un nuovo ruolo o vuole consolidare competenze e comportamenti richiesti dal proprio attuale ruolo. Circa 300 iniziative suddivise in 11 aree tematiche. Per chi vuole lavorare su specifiche conoscenze e competenze professionali.’

    In merito a SIRAM ho consultato il sito che ‘ha lo scopo di sensibilizzare e diffondere un linguaggio comune sull’innovazione tra tutti i dipendenti presenti sul territorio italiano‘ attraverso attività di gioco e video per creare gli Innovation Changer. Vi suggerisco di leggere anche l’articolo di Gaia Fiertler su www.digital4.biz, nel quale Carlotta Dainese, Innovation Manager di Siram Group, fornisce maggiori dettagli sul progetto.  ‘”Innovation Map”, si è articolato in due fasi. La prima ha visto il lancio a novembre, direttamente con la sponsorizzazione dell’Amministratore Delegato, di una campagna di ingaggio per tutti i dipendenti per misurare la “temperatura” dell’innovazione in azienda, iniziare a creare un linguaggio comune e individuare quelli che faranno da catalizzatori (Innovation Changer) su questi temi in azienda. La seconda fase è prevista per giugno, con l’incubatore SiramL@b, che formerà una sessantina di colleghi su competenze tecniche e soft, impegnati in 12 squadre a realizzare i quattro progetti strategici selezionati tra le proposte arrivate online.’ 

    Sempre sul tema delle piattaforme e dell’apprendimento tramite gamification ho trovato un’interessante l’esperienza di GamEffective che propone 20 “escape room” narrative , “The Perfect Workday” adatta a in-class training e on-the-job learning.

    Potete vedere il video di presentazione su YouTube a https://youtu.be/kOX1k4E-hmA.

    Gal Rimon, CEO di GamEffective precisa quantto segue:

    “We’ve emphasized the simple administration of the game, so that learning and development professionals can deliver something that’s at a high product value, yet enjoy the benefits and quick time to launch of a platform, as opposed to custom game development”.

     

    Recentemente ho approfondito il tema del digital learning al Corporate Digital Learning Summit, organizzato da Altaformazione il 10 maggio scorso a Milano. Per avere una panoramica dell’evento vi suggerisco il video su Live Scribing realizzato durante la giornata che trovate in fondo all’articolo. Sul sito potete seguire i video degli speeches pubblicati.

    Quali sono state le evidenze emerse durante il convegno? Vediamone alcune:

    • Digital Learning in Italia è in ripresa – a metà anni 2000 ha subito un momento di stasi molto significativa sia in ambito accademico sia nel mondo aziendale. Oggi è in ripresa e sono usciti dal mercato players poco consolidati e con competenze minori
    • Social learning riconfigura gli apprendimenti in contesti formali ed informali. Utilizza i social media -ambienti non abitualmente pensati per l’apprendimento, ma garantiscono al formatore opportunità interessanti
    • la scuola vive in una società ormai digitale quindi deve essere attenta all’innovazione per fornire agli studenti chiavi di accesso al loro presente
    • con l’adozione dei media digitali si verificano cambiamenti significativi nella formazione: il docente ‘parla di meno’, il
      Fare assume un ruolo di primo piano e quindi l’apprendimento è basato sulla scoperta. Aumenta la progettazione per cui è più difficile improvvisare e si modificano anche le pratiche di valutazione.
    • abbiamo a disposizione troppe informazioni. Non servono nuovi contenuti, ma strumenti per capire quali siano più efficaci
    • le nuove tecnologie possono essere utili per i contesti formativi. Ad esempio l’Oculus VR può essere utile per l’apprendimento pratico in alcuni contesti specifici (chirurghi, piloti, etc), la Video camera 360 consente di  produrre contenuti 3D prodotti in casa a basso costo e utilizzabili per percorsi formativi specifici.

    Tra i molti interventi interessanti condivido con voi quello di Elliott Masie di The MASIE Center in collegamento da New York. Masie suggerisce di prendere la ‘e’ di e-learning ed espanderla. Non è solo ‘electronic learning’, ma

    1. everywhere
    2. everyone
    3. evolving
    4. efficient
    5. engaging’

    ossia il ‘reach of learning’ può raggiungere l’utente ovunque egli sia, in qualsiasi momento e in tante modalità differenti, rendendolo davvero protagonista del momento formativo, Abbiamo a disposizione moltissimi siti per apprendere, ma quello che conta davvero è ‘bringing together the learning moment and the learner’.

    Digital learning is exciting, but what make it really exciting for us right now is that we are going to start to design and create things that are different. Our goal is once again not to publish content, but bring and engage people in learning experiences

    Come professionisti dobbiamo espandere il nostro modo di pensare l’apprendimento proprio secondo le 5 ‘e’ sopracitate. Secondo Masie è sbagliato separare il digital learning dall’apprendimento in aula, perché esiste una sinergia tra le differenti metodologie.

    Si può iniziare seguendo un corso digitale per poi continuare in presenza con alcuni docenti, o ancora con un video live o meeting. A volte si desidera approfondire in un secondo momento, al bisogno o con altre modalità. Molti cambiamenti stanno avvenendo nel mondo della formazione.

    Stiamo scrivendo insieme il futuro e di questo dobbiamo essere consapevoli, conclude Masie.

     

    Il digital learning dovrebbe iniziare già dai primi anni di scolarizzazione, ma le scuole fanno molta fatica a stare al passo, come emerge dallo studio realizzato da Fujitsu: “Road to Digital Learning” (pubblicato in un post da Datamanager.it), che fornisce un quadro della digitalizzazione in ambito scolastico, sulla base di una survey condotta su oltre 600 reponsabili IT di scuole di vario ordine e grado di sette Paesi: Australia, Germania, Hong Kong, Indonesia, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti. Le difficoltà sono dovute ai budget a disposizione degli istituiti spesso non adeguati, ma soprattutto alla mancanza di formazione del corpo docente. I dati che emergono sono:

    le scuole, i college e le università si trovano sotto una crescente pressione per soddisfare le aspettative dei genitori e degli studenti e rimanere competitive. Più di tre quarti (77%) degli istituti spera di diventare un centro digitale di eccellenza nei prossimi cinque anni. Ma in molte realtà, l’apprendimento digitale è ancora lontano dall’essere avviato: circa l’87% delle scuole primarie e secondarie non fornisce ancora dispositivi agli allievi, e dove lo fanno, in media un dispositivo è condiviso da tre bambini.’

    Quanto al corpo docente:’ quasi il 94% pensa infatti che l’apprendimento personalizzato sia “importante” o “molto importante”, e l’84% ritiene di avere il dovere di preparare i propri studenti per un futuro digitale. ‘

    Secondo Ash Merchant, Director of Education della Fujitsu (vedi sito):

    Digital technology brings so many opportunities to education, including more personalized learning and progress feedback, self-initiated learning with anytime, anywhere access to additional resources, and enhanced collaboration between students, teachers, and parents.

    La formazione dovrà necessariamente accelerare il processo di trasformazione per adeguarsi alle nuove competenze e soft skills richieste dal mercato, adottando nuove tecnologie, aggiornando i programmi di studio e includendo materie quali il coding fino dalla prima infanzia. in poche parole dovrà essere più flessibile rispetto ai cambiamenti in atto. Secondo Accenture un terzo delle competenze richieste entro il 2020 sarà fra quelle che oggi non sono ancora considerate fondamentali e al Word Economic Forum di Davos si è detto che l’intelligenza artificiale potrà raddoppiare la crescita economica, con un balzo della produttività del 40% nei 12 Paesi considerati (fonte articolo di Digital4)

    Non dobbiamo, tuttavia, essere spaventati dalla nuova rivoluzione industriale che stiamo vivendo. Nell’articolo di Gaia Fiertler su Digital4, leggiamo:

    «Il conflitto tra uomini e robot si può superare attraverso un piano nazionale di sostegno alla crescita del capitale umano – ha rilanciato il Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla -. Il nostro impegno è massimo perché questa è l’occasione per modernizzare il Paese e non possiamo perderla».

     

    Fonti:

    http://www.economist.com/news/special-report/21700760-artificial-intelligence-will-have-implications-policymakers-education-welfare-and

    http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/education/oecd-skills-outlook-2017/summary/italian_d12d7039-it#.WSHSc-uGPIU#page1

    https://www.digital4.biz/hr/hr-transformation/manager-40-l-identikit-di-aldai-federmanager_436721510404.htm

    https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/executive-briefing/la-direzione-hr-protagonista-nella-trasformazione-digitale-il-47-prevede-nuove-assunzioni-per-effetto-della-digitalizzazione

    https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/executive-briefing/industria-4.0-la-grande-occasione-per-l-italia#utm_source=facebook&utm_medium=social&utm_campaign=com_OI40

    http://www.group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/lavoraconnoi/ita_formazione.jsp#/lavoraconnoi/ita_formazione.jsp

    https://www.innovationmap.it/

  • Raccontare un’esperienza di viaggio: #mytraveljournal

    Un viaggio è sempre più un’esperienza immersiva, esperienza che inizia nel momento stesso in cui consultiamo le guide turistiche e decidiamo le  destinazioni. Chi di noi non ha iniziato a sognare ad occhi aperti ed a immaginarsi in un parco o su una spiaggia?  Come coinvolgere i lettori e condividere le nostre emozioni?

    Durante i corsi di comunicazione narrativa rivolti a strutture turistiche o aziende legate al turismo spiego e invito a sperimentare vari storytools e platforms, oltre a far indossare cardboard e visori per vivere il VR storytelling. I tools o i social media devono, tuttavia, essere integrati in un piano strategico dettagliato per amplificare e supportare efficacemente la comunicazione aziendale.

    Nel settembre 2016 ho deciso di mettere in pratica i suggerimenti che fornisco ai corsisti con un progetto personale, denominato #mytraveljournal. 

    foto di viaggio- #mytraveljournal

    Il progetto ha lo scopo di narrare sei giorni di viaggio alla scoperta di una città di grande fascino, Sydney, attraverso immagini, testo e video live.

    Ho quindi analizzato i social media, platforms e tools a mia disposizione e ho deciso quali fossero i più idonei per il mio esperimento, i tempi e le modalità d’utilizzo.

    Ho alternato momenti live con approfondimenti testuali e visual, cercando di abbinare medium a contenuto, in un’ottica transmedia, invitando il lettore a comporre idealmente un puzzle.  Su ogni medium ho postato un contenuto esclusivo, collegato alla storia principale declinata su Snapchat. Bisogna, infatti, ricordare che ogni social e platform ha il proprio tone of voice e che, per amplificare la comunicazione è utile creare connessioni, ricorrendo a call to action.

    Come procedere? Ho concluso ogni singola storia, invitando il follower a restare collegato e a seguirmi per non perdersi nessuna pubblicazione. Ricordate la caratteristica delle Snapchat Stories di durare 24h? In realtà non si tratta di un minus della platform, ma,  al contrario di un plus, contando sul F.O.M.O. degli utenti (la paura di perdersi qualcosa online). Da quest’estate, inoltre, le storie possono essere salvate in ‘Ricordi‘ e sul rullino dello smartphone o dell’ iPAD per poi essere condivise su altri social o caricate su Youtube.

    Ho presentato il progetto su Instagram, spiegando l’obiettivo  finale e ho utilizzato una call to action ben definita: l’invito a seguirmi sugli altri social e platform per ottenere una mini guida. Ho ricondiviso le informazioni sul mio profilo Facebook.

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    • Snapchat: una live story dove ho raccontato i momenti della giornata con snap e video, una sorta di diario virtuale. Fa da filo conduttore a tutta la storia.
    • Instagram: foto esclusive riguardanti scene di vita, personaggi che hanno attirato la mia attenzione, immagini narrative tipo quella sottoindicata (foto A).
    • Steller: storie d’approfondimento con immagini esclusive tipo ‘Skyscrapers’, Art Gallery of New South Wales, Sydney Aquarium (da leggere su mio account  Simo_Pozzi). Ho scelto luoghi specifici legati alla cultura o alla natura.
    • Tumblr: una mini guida personale della città.

    Ecco il link alla miniguida su Tumblr che, suddivisa in sei giornate, è stata redatta durante il viaggio con indicazioni pratiche quali, ad esempio il biglietto da acquistare per i mezzi pubblici, i ristoranti dove fermarsi per uno spuntino, i prodotti più curiosi come fauci di squalo e di coccodrillo, portachiavi e apribottiglie realizzati con le palle di conguro in vendita al The Rocks Markets e molto altro.

    mytraverljournal - guida su Tumblr

    Per l’attività su Instagram ho scelto con cura le fotografie da postare, così come i commenti, realizzando una guida visual di scatti rubati dalla vita quotidiana.

    foto_Instagram

    Ad esempio nella foto A troviamo un’immagine di grande tenerezza: il padre sporge la girandola alla figlia, scena in cui possiamo

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    ritrovarci e ricordare momenti della nostra infanzia o del nostro presente come genitori. Cosa si staranno dicendo il padre e la bimba con la girandola? Stanno aspettando la madre che deve raggiungerli? Cosa succederà nella scena successiva?

    L’obiettivo non è scattare una foto artistica, bensì un‘immagine narrativa che possa trasferire l’emozione del momento.

    Anche le strutture alberghiere possono scegliere di non fotografare la hall o la sala colazione in modo anonimo, ma di dare loro vita in modo originale (scene di vita, particolari di oggetti, etc).

    Durante i corsi cito un caso studio molto interessante di storytelling turistico creato da un hotel irlandese, Adare Manor Hotel. La storia è molto semplice e non particolarmente innovativa, ma la comunicazione, basata su immagini narrative ambientate nella struttura alberghiera, è di grande effetto.

    post di hotel

    Una giovanissima ospite aveva dimenticato in hotel il pupazzetto del cuore. Il responsabile dell’albergo ha iniziato a postare nella pagina Facebook il ‘bunny’s journey‘ con il duplice obiettivo di trovare la proprietaria e di raccontare le esperienze del coniglietto durante il soggiorno fino al ritorno della bimba.

    The hotel documented the bunny’s fabulous stay, from his plush sleepover in one of the hotel’s rooms, to a tour by the concierge, to a decadent afternoon tea and even massage treatments in a private room.’

    La narrazione  è diventata virale e ha attirato l’attenzione dei social media e della stampa per l’originalità e l’efficacia della comunicazione.

  • Realizzare i propri obiettivi: golf experience

    Da molto tempo desidero scrivere un post sulla golf experience, non tanto per parlare dello swing perfetto, ma della lezione di vita che si apprende giocando a golf, in particolar modo di una consapevolezza,  un’apertura mentale che porta a realizzare i propri obiettivi.

    Mi sono avvicinata a questo sport da poco meno di due anni principalmente per curiosità, anche se per molto tempo avevo preferito attività quali lo sci, la corsa, etc. che ritenevo più impegnative dal punto di vista fisico. Un preconcetto che si è subito rivelato infondato, in quanto lo sforzo fisico e mentale richiesto dal golf è superiore a quello di molti altri sport.

    ‘Il golf non è solo tirare colpi a una pallina, ma è anche strategia di gioco, senza un avversario umano reale’ -cit. Emanuele Castellani

    Dopo aver iniziato a praticare ho cercato di approfondire e di capire le dinamiche insite nel gioco.  E’ interessante notare come vengano attivati i due emisferi del cervello, come precisa Gary Wiren : emisfero sinistro per analizzare le condizioni ambientali, la scelta del bastone ed emisfero destro per attivare le sensazioni e l’emotività. Potete approfondire nel testo di Willy Pasini e di Gary Wiren stesso(*).

     

    Golf - cervello del golfista

     

    Le doti necessarie per praticare il golf sono sicuramente concentrazione, calma, nervi saldi, qualità importanti anche nella vita professionale. Aggiungo resilienza ed equilibrio, in quanto la sfida (soprattutto se si pratica fuori dal momento di gara) è con sé stessi, con la propria capacità di resistere e voler migliorare.  Quante volte ho pensato di abbandonare, ma poi all’improvviso vedi un passo avanti inaspettato. Lo swing è un’arte e come tale bisogna mettere in gioco tutto sé stesso.  Sembra impossibile ricordare i movimenti, perché in realtà bisogna sentirli con il cuore.

    Devi guardare la pallina un momento e poi sentire il tuo corpo

    Ti pare di non fare progressi su quel campo pratica, provi e riprovi i movimenti e quando vai sul green non sempre riesci a riprodurre i movimenti corretti, perché entrano in gioco altri fattori quali il vento, il sole, le salite, le discese, il ‘bunk’ che non sai come superare.

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    Emozioni altalenanti ti accompagnano, ma non puoi arrenderti. Ho rivissuto le senzazioni vedendo il film  “La Leggenda di Bagger Vance”  del 2000 diretto da Robert Redford, tratto dall’ omonimo romanzo di Steven Pressfield.

    La trama è semplice: un giovane e eccellente giocatore di golf di Savannah in Georgia, Rannulph Junuh, torna dalla prima guerra mondiale traumatizzato e si rifugia per anni nell’alcol, senza speranza. Viene coinvolto in un torneo di golf con i due più grandi giocatori d’America (Bobby Jones e Walter Hagen) e supportato da un’eccezionale caddie, Bagger Vance, e da una donna bellissima, Adele Invergordon, riesce a vincere e a ritrovare l’amore.

    Vi invito a fare un’analisi in ottica narrativa della scena cruciale del film (climax). Seguite la golf experience vissuta da Junuh con attenzione!

    Il protagonista è il giovane giocatore di golf, Rannulph Junuh (Matt Damon), mentre il Mentore è il caddie, Bagger Vance (Will Smith). Tutto sembra perduto per sempre. La pallina è ‘fuori da campo’ in mezzo al bosco, in posizione difficilissima da giocare. Junuh si sente sconfitto, si guarda intorno per cercare una via di fuga, ma non la vede, gli tremano le mani, sta per raccogliere la pallina ed arrendersi. In quel momento interviene Vance e gli propone un altro legno e lo convince a superare la ‘crisi’ , cercando la forza dentro di sé.

    Nella parte conclusiva del dialogo emerge chiaramente il ruolo del mentore, assimilabile a quello del coach motivazionale:

    momento di climax

    momento di climax

    Junuh: “Non posso”
    Vance: “Sì che puoi e non sei solo. Insieme a te ci sono io. Sono sempre stato qui. Adesso gioca il tuo gioco, quello che soltanto tu eri destinato a giocare, quello che ti è stato donato quando sei venuto al mondo.

    Sei pronto? Allora mettiti sulla palla, colpisci quella palla, non trattenere niente. Dagli tutto te stesso, il momento è ora. Lasciati andare ai ricordi, a ricordare il tuo swing. Bene così. Stai tranquillo.   Così va bene. Il momento è ora!”

     

    Possiamo notare come la scena riprenda gli elementi fondamentali dello schema classico di Propp. La ‘crisi’ non è solo rappresentata dal campo di gioco, dall’errore, ma è molto più profonda. In realtà è una crisi d’identità, di fiducia in sè stessi e nelle proprie capacità di superare le difficoltà oggettive, di prendere una decisione e quindi di vivere. 

    schema narrativo classico

    Quando il protagonista riesce a scegliere e a riprendere la concentrazione, l’equilibrio, supera la difficoltà ed esce trasformato dall’esperienza. Non importa tanto la vittoria sul campo da golf, quanto sul suo stato mentale..

    Quante volte nella nostra vita professionale ci troviamo a dover affrontare crisi di ruolo e restiamo immobili, perché non riusciamo a scegliere un nuovo lavoro, una nuova responsabilità, un trasferimento, un cambiamento? Succede molto frequentemente a tutti noi e spesso rinunciamo rispettando quel ‘copione’ che abbiamo scritto molti anni prima o che qualcun altro ha scritto per noi.

    Nel golf dobbiamo scegliere, non possiamo restare immobili. Ci mette di fronte al nostro essere più profondo, ci fa capire le nostre debolezze e ci induce a cambiare. Proprio per questo motivo

    il golf può diventare davvero metafora della vita

    Come afferma Emanuele Castellani (**) nel suo libro di cui trovate i riferimenti nelle fonti:

    ciascuna delle componenti del golf trova un parallelismo nella nostra vita e, spostandoci a un livello meta, più profondo, ci è richiesto di entrare in contatto con il “centro” di noi stessi per imprimere il giusto movimento alla pallina in un equilibrio delicato tra il controllare e il lasciare andare. Questo equivale a esprimere così la nostra potenza vitale. […] Inoltre il golf ci fa fare un esercizio di presenza, ci ancora al momento presente, ci stimola a esserci fino in fondo. e questo c’entra eccome con la vita e con le scelte che ogni giorno responsabilmente siamo chiamati, nel presente, a fare!’

    L’equilibrio è fondamentale per migliorare la prestazione anche in campo professionale: riuscire a dominare e superare lo stress e a raggiungere uno stato di benessere mentale. Quando ci troviamo a prendere decisioni e a studiare la giusta strategia da manager immaginiamoci sul green e

    • bilanciamo rischi e opportunità (se usare un ibrido o un ferro n.5),
    • guardiamo il campo (scenario di mercato su cui operiamo),
    • valutiamo il nostro potenziale (noi e i nostri collaboratori).

    Proviamo a trovare questo equilibrio anche fuori dal campo da golf, nella nostra vita familiare e professionale. La golf experience ci consentirà un’interessante crescita personale a lungo termine.  Chi troverò sui campi da golf?

     

     

     

     

    Fonti:

    (*) Willy Pasini-  “L’arte del golf.Psicologia del vincitore”- ed. Oscar Mondadori

    (**) “Golf Experience. Il manager e la persona:i 7 passi verso una #consapevoleEvoluzione” – ed. Franco Angeli