Le storie in XR e social VR tornano in Italia ed incontrano Stefano Lazzari noto nel metaverso con l’avatar Stex Auer. Ci siamo conosciuti in alcuni eventi in AltspaceVR, perché fa parte del gruppo Pyramid Cafè e di Meta Oculus Community Italy® | Italia. Affascinata dalla sua competenza su VR e mondi immersivi, ho scoperto di avere molte conoscenze in comune con lui. In fondo i mondi XR e social VR sono delle piazze virtuali dove il networking esce dalla rete e diventa reale.
Chi è Stex Auer
Stefano Lazzari aka Stex Auer è un Innovation evangelist, Media Content Manager e Social Media Strategist. Nel 2018 ha fondato Digitalguys.it, un network tra professionisti del digitale. A mio parere, risponde perfettamente all’archetipo dell’esploratore, perché fin dagli anni del boom di Second Life ha continuato a far ricerca e a tracciare nuove vie.
La storia di Stex
Scopriamo insieme i primi passi di Stex nell’XR e le sue passioni per i mondi immersivi. L’ho intervistato per voi.
Ciao Stefano, presentati ai nostri lettori con 3 parole chiave
Ah, partiamo difficile, Simo! ma è una sfida a pensare, e dunque l’accolgo ben volentieri e… fammici pensare… a few more minutes of waiting…ecco.
Traiblazer
Sono un trapper, un tracciatore di piste, ho vissuto da pioniere quando i modem pigolavano a 54 k, quando le pagine web erano grigie, i testi del minitel erano verde fosforo, quando la rete, tutto quello che stiamo vivendo era nei romanzi cyberpunk, e si faceva phreaking nelle cabine della SIP, ci si incontrava con Gomma e Caronia a COX18, si leggeva Decoder e Neural e si ascoltavano le Posse e i Talking Heads.
Chi è pioniere, pioniere resta, annusa il vento per sapere da che parte arriverà la pioggia, e legge le orme sul terreno per capire il futuro… con il GPS in tasca ovviamente. Spento. Tanto non serve.
Space cowboy
Dei miei trent’anni ho perso l’elasticità, ma perdio sulla tastiera vado veloce, molto veloce, e giù nel ciberspazio poco conta quanto l’entropia universale ha influito sul tuo corpo fisico. Il bello di essere un vecchio geek è che non c’è missione disperata che ti spaventi, non c’è ingaggio economico, o carriera che ti alletti o debba raggiungere o difendere. Un grande sogno e i soldi per realizzarlo. Io ci sto, vengo anche solo per divertirmi. Anzi, spesso solo per quello.
Zoomer
Sì, sono un Boomer, ma zip. Moses Znaimer è il nostro campione. everythingzoomer.com la nostra bandiera.
Una buona definizione di noi Zoomers italiani potrebbe essere quella di “Generazione de I Quindici” di cui io mi onoro di avere la prima edizione del 1964 e sulle cui solide fondamenta basa tutta la mia insaziabile sete di futuro. “il meglio deve ancora venire” ci diceva. Ed è il minimo che mi aspetto.
Ti definisci nel tuo profilo LinkedIn ‘Innovation evangelist’ che cosa significa per te l’innovazione?
Altra bella domanda. Mi sarebbe piaciuto lasciarmi trasportare dalla poesia e darti la risposta che più mi piace.
L’innovazione è “La lotta fra tradizione e invenzione, tra ordine e avventura“.
Queste belle, bellissime parole che mi commuovono alle lacrime non sono mie, sono di Guillaume Apollinaire, il poeta con cui ho condiviso la mia educazione sentimentale e la crescita del mio immaginario e delle visioni che solo la sensibilità al futuro ti sa dare.
Credo che la nostra sia stata la generazione che ha avuto la fortuna di vedere arrivare l’onda delle nuove tecnologie, e di averne costruito gli scenari che noi oggi viviamo… o subiamo, perché non siamo stati in grado di governarli. Questo sarà compito della generazione che ci segue e che avrà questa grande sfida da risolvere: fare andare il futuro dove è meglio, possibilmente con equità, inclusività e resilienza.
Per questo motivo e non per altro, per dare il testimone di questa corsa, dò la mia seconda definizione preferita:
“L’innovazione è la capacità di realizzare l’improbabile“
Queste sono le parole di Piero Bassetti, fondatore e guida della Fondazione Giannino Bassetti, che sintetizza molto bene il mio pensiero nella sua trasformazione da poetico a pratico, probabilmente più utile come strumento per manipolare il futuro. Diamoci una mossa!
Il tuo avatar ‘Stex Auer’ che definisci ‘gemello digitale’ è lo stesso fin dal 2006 quando sei entrato nel Metaverso? Perché hai scelto questo nickname?
Intanto sapere cos’è un gemello digitale, aiuta. Ci dice Wikipedia:
“Un gemello digitale è la rappresentazione virtuale di un’entità fisica, vivente o non vivente, di una persona o di un sistema anche complesso.”
Di me stesso ho spesso detto: “io sono tutti i miei dispositivi”, mettendo sullo stesso piano ogni forma nella quale si rappresenta la mia personalità, che sia un profilo social, un avatar, la mia persona.
Dunque sì, io sono me stesso in tutte le mie manifestazioni digitali o fisiche, Stex è Stefano, e lo è da sempre, e lo sarà: se ho tante espressioni corporee, ho un’ identità unica.
Anche il mio Nickname è in effetti il frutto di una fusione: Stex è un mio soprannome storico. Me lo diede la fidanzata di Alberto Marchisio negli anni ’90 una sera a casa sua, ragionando di musica (Alberto stava scrivendo per Castelvecchi “Trance & Drones” un libro sulla musica elettronica), mentre Auer era un “cognome di generazione” in Second Life, lo si poteva scegliere da abbinare al nome da una lunga lista. Cercavo Willer, Stex Willer, ma non c’era. Ho scelto Auer, suonava altrettanto bene. Da allora Stex e Stefano sono la stessa cosa. Stefano non mi chiama più nessuno, neppure mia moglie.
Ricordi le tue prime esperienze in XR e il tuo primo visore?
Certo che si! Sarebbe come non ricordarsi della prima bicicletta, del primo bacio. Mi ricordo, inquadrai la cover del libro di Steve Jobs, editato poco dopo la sua scomparsa, dove campeggiava il suo ritratto che si mise a parlare. Come un quadro a Hoghwarts. Fantastico. Il mio primo visore è stato un Oculus Rift, tutt’ora perfettamente funzionante a fianco del fratellino Quest. Che dire? Avevo gli occhiali appannati, metterlo fu un casino, e togliendomelo mi caddero a terra. Non un grande inizio. Ma poi è stato amore.
Eri appassionato di Second Life e all’epoca conoscevi già Magicflute Oh? Ci puoi raccontare qualche aneddoto curioso e/o divertente dei mondi virtuali che frequentavi?
Sì, ci siamo conosciuti in Second Life, negli anni del Boom della piattaforma. Cose mai viste. E ancora oggi rimane quella che più si avvicina al concetto di Metaverso… ma è un altro discorso. Dunque dicevo… certo non era l’unico mondo possibile, anche allora ci furono diversi esperimenti.
Uno riuscito era v-Side, un mondo oggi scomparso.
Sono entrato in vSide nel 2006, allora si chiamava ancora “The Lounge”. Bello graficamente, con molte possibilità di lavorare sul movimento e l’espressività dell’avatar: danzare, muoversi, esprimere emozioni con il corpo. Gli ambienti statici, ma pieni di luci e ombre, anche se le texture erano evidentemente fasulle e un po’ piatte, sembra di muoversi in ambienti profondi.
Un ambiente blindato, senza altra possibilità che giocare, ballare, fare shopping. In giro, nugoli di ragazzini dai nomi improbabilissimi e dal linguaggio fatto di “yo!” “lol” e poche altre parole acronimizzate, del tutto incomprensibili. Giocano a fare piramidi umane, balletti sincronizzati o cascano a terra dal ridere.
Me ne sono andato perchè non capivo letteralmente nulla di quello che si dicevano, Uno slang che mi ha condannato all’esclusione. Le poche volte che cercai di dialogare, mi sgamavano subito, usavo troppe parole…
Sei da vent’anni nel digitale e soprattutto nel content. Quali cambiamenti positivi e negativi hai notato e puoi evidenziare?
Cambiamenti, nel senso di evoluzione, tantissimi. Posso dirti tranquillamente che praticamente nulla di quello che erano le procedure e le tecnologie per lavorare nel digitale a fine anni ’90 e poi nel web del 2001 esiste oggi. La cosa che però mi preme sottolineare che nulla di quello che riguarda il mio lavoro esisteva prima. Letteralmente. Ce lo siamo praticamente inventato. Siamo stati in assoluto i primi a comunicare con il digitale. E questo mi fa pensare che molto probabilmente fra vent’anni, quando si farà questa domanda a chi oggi inizia il percorso delle VR/XR/AR si troverà a dire le mie stesse parole, e tutte le tecnologie che useranno, oggi semplicemente, non esistono.
Il digitale, per sua natura, è una cultura che non ha pratiche tradizionali, è continuamente in perpetual beta, l’instabilità è il suo stato naturale. Leggete Kevin Kelly, in “L’Inevitabile”, racconta bene questo stato. Non so se è bene o male.
Com’è nata l’idea di fondare nel 2016 il network Digitalguys.it? Quali esigenze può soddisfare?
Nasce dall’idea di mettere a fattore comune le conoscenze che avevano un gruppo di colleghi e amici per seguire sentieri fuori dai percorsi professionali convenzionali, esplorando percorsi nel digitale e nelle tecnologie poco battuti: in primo l’etica, e poi oggi, la virtualità. In futuro, vedremo!
Hai collaborato alla costituzione di Meet The Media Guru e ora sei all’interno di Meet – Digital Culture Center. Recentemente mi hai scritto: È ora che la tecnologia si rifletta nella cultura e non viceversa’. Ci spieghi il tuo pensiero e il tuo ruolo in Meet?
La mia storia professionale si è intrecciata con quella del Meet veramente in tempi non sospetti, all’alba di quegli anni ’90 in cui tutto è cominciato. Sin da subito la rivoluzione digitale si rivelò come un processo innovativo, nato tecnologico, ma che in effetti coinvolgeva tutti gli ambiti del nostro vivere. È così pervasivo, così facilitante, così leggero e così rapido, così adattabile a tutte le nostre attività che l’abbiamo fatto nostro con entusiasmo, senza troppo soffermarci sulle sue esternalità.
I cambiamenti avvengono in corso d’opera e non è facile riconoscere quando è il caso d’intervenire. È il dilemma di Collongridge:
“Quando il cambiamento è ancora facile non ne comprendiamo la necessità. Quando il bisogno di un cambiamento è evidente, è ormai difficile e costoso introdurlo.”
Ebbene è ora di iniziare a ragionare sul futuro della nostra società digitale a tempo, prima che sia troppo difficile e costoso farlo. Noi crediamo che per poter effettuare questo cambiamento, il driven sia la cultura che deve condurre, e non farsi più condurre dalla tecnologia.
Intelligenza Artificiale, Virtualità, Robotica, Blockchain, cosa ne vogliamo fare?
Parte del mio lavoro al MEET è proprio questo, ed è quello che ho sempre fatto: esplorare, guardare lontano. L’altro è comunicare quello che si è visto e metterlo in pratica.
Che percorso consiglieresti ad un giovane che desideri approcciarsi all’XR?
“El niño que no estudia no es un buen revolucionario“, mi diceva Castro. Io da giovane studente negli anni ’70 ho cercato (malissimo) di attuare l’idea di studio come pratica rivoluzionaria, come esplorazione non convenzionale della realtà, come servizio alla comunità. Forse questa visione non è così obsoleta come sembra, e comunque merita a chi oggi inizia un percorso, una riflessione su come uscire dall’area di comfort dei propri interessi e di proseguire oltre.
In fondo, niente di diverso da quello che ha detto Jobs: “stay hungry, stay foolish”
In una serata in AltSpace VR ci hai parlato della tua idea di Metaverso dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto etico. Quali sviluppi possiamo aspettarci a breve?
A breve prevedo grandi spostamenti di denaro. Gli imperi si stanno muovendo sullo scacchiere del Metaverso, qualunque cosa sia nella testa dei grandi investitori. Credo che di etica tocchi a noi parlarne, ma con meno, molto meno soldi. Conto che ad ascoltarci ci siano ragazzi affamati e pazzi.