• L’arte prende vita in AR: il museo MAUA a Torino


    La mia passione per la realtà virtuale e aumentata applicata alla cultura visuale e storytelling urbano è cresciuta negli anni. Ricordate sicuramente quando nel 2015 il New York Times magazine introdusse una nuova forma di comunicazione narrativa in VR, testata dal NYT stesso e regalò ai lettori i cardboard per poterne fruire. Nello stesso periodo avevo partecipato al convegno, ‘Urban Augmented Reality fra Arte, Gaming, Storytelling‘, organizzato dal professor Lughi dell’Università di Torino al Castello del Valentino, evento durante il quale vennero presentate alcune esperienze italiane e internazionali in realtà aumentata, racconti che avevano coinvolto il pubblico in un’esperienza indimenticabile. Potete approfondire su Pulse al link.

    A settembre 2018, mentre stavo preparando il Google Day dedicato alla realtà mediata (VR e AR) con Work Wide Women, ho ricevuto su LinkedIn un messaggio e una richiesta di contatto. Era Joris Jaccarino, regista, curatore e manager culturale di Bepart che aveva letto informazioni sul workshop e desiderava presentarmi MAUA, il museo di Arte Urbana Aumentata, realizzato a Milano nel 2017. Il nostro incontro è avvenuto alla GAM di Torino e in quell’occasione ho scoperto un progetto di grande fascino che unisce arte e realtà aumentata, in particolare street art resa viva dall’AR. Le opere escono dai muri e prendono vita davanti a noi. Una magia.

    MAUA – è una galleria a cielo aperto, fuori dal centro di Milano, che consta di oltre 50 opere di street art animate con altrettanti contenuti virtuali fruibili attraverso la realtà aumentata.

    Joris era a Torino ad organizzare il secondo MAUA italiano che stava nascendo proprio in quei giorni. I numeri del museo di Torino sono davvero interessanti. La città è stata mappata in 4 aree:

    • Lungo la Dora “Alla ricerca dell’ACQUA: le fondamenta della città
    • Verso Sud “Alla ricerca del FUOCO: le stanze della fabbrica
    • Verso le montagne “Alla ricerca dell’ARIA: le pareti delle montagne
    • Verso Nord “Alla ricerca della TERRA: i muri interiori

    Sono state fotografate 300 opere, svolte 82 ore di workshop e coinvolti 123 ragazzi/e sul territorio, 57 digital artist e 39 street artist con la creazione di 46 murales in realtà aumentata.

    Dopo mesi di intenso lavoro il MAUA TORINO verrà inaugurato il prossimo 6 e 7 aprile al Parco Aurelio Peccei di Piazza Ghirlandaio.
    È stato realizzato grazie a una rete di partenariato composta da Bepart, come capofila, insieme ad altre sei realtà: BASE Milano, Avanzi – Sostenibilità per Azioni, Terre di Mezzo, PUSH., Camera – Centro Italiano per la fotografia, Iur –Innovazione sostenibile e l’associazione SAT – Street Art Torino.

    46 opere di street art animate in realtà aumentata diventano l’occasione per esplorare zone meno conosciute della città. Si parte scegliendo il proprio percorso. Poi, arrivati sul posto, l’esperienza prosegue in forma digitale: ogni opera, inquadrata con lo smartphone, ne genera una nuova e si trasforma in un lavoro di digital art, appositamente creato per il museo grazie a tecnologie di realtà aumentata.

    Vi chiederete che cosa mi abbia affascinato di questo progetto. Oltre alla tecnologia che amo, sicuramente lo scopo sociale di inclusione e di formazione. Un’opera partecipata e co-creata con il coinvolgimento di street artist, ragazzi, programmatori e i cittadini che possono fruire delle opere, partecipando ai tour organizzati o pianificando il proprio percorso. Un’opera educativa che mira a formare i più giovani alle nuove tecnologie e che promuove la riqualificazione delle aree meno conosciute delle città.

    Queste finalità sono state ampiamente illustrate da Giovanni Franchina, fondatore ed amministratore di Bepart, al convegno Narrability, che avevamo organizzato come Osservatorio di Storytelling lo scorso dicembre a Base Milano.

    In occasione della prossima inaugurazione del museo di Torino ho voluto fare una chiacchierata con Joris Jaccarino ed ecco l’intervista che desidero condividere con voi. Buona lettura!

    Ciao Joris ci racconti com’è nata l’idea di coinvolgere i giovani nel progetto MAUA?

    Mi è sempre piaciuta l’idea di creare arte in maniera partecipata. Per me il processo di creazione artistica deve essere democratico, condiviso, inclusivo. Ho cominciato durante gli anni dell’università, organizzai un laboratorio di cortometraggi per i ragazzi del mio quartiere, il Giambellino. Ogni fase era discussa e realizzata in gruppo, dalla sceneggiatura, alle riprese ed infine al montaggio. E’ un’esperienza che si è declinata in varie forme, dal laboratorio di Sociologia Visiva che ho tenuto alla Statale di Milano fino a MAUA.

    A valle delle due esperienze a Milano e a Torino, quali sono le maggiori difficoltà incontrate dai ragazzi durante lo svolgimento del progetto?

    Al di là delle problematiche strettamente tecniche, direi che la parte più difficile è quella di creare un’opera su una già esistente. L’artista digitale si trova a dover interpretare l’opera di un altro artista, con tutte le incertezze del caso. Proprio per questo motivo, a Torino abbiamo voluto fortemente coinvolgere più street artist possibili, facendoli interagire con i digital artist durante il workshop. Il confronto tra di loro ha dato vita a interessanti scambi di idee e narrazioni inaspettate. E’ stata un’esperienza arricchente per tutti.

    Una domanda tecnica: quali piattaforme utilizzate?

    Bepart è un cocktail di tecnologie che abbiamo assemblato, con lo scopo di fornire la migliore esperienza possibile della AR per l’utente. L’app permette di fruire contenuti in AR semplicemente inquadrando l’opera con la fotocamera del device. Si possono vedere questi contenuti anche non in presenza, ovvero inquadrando una foto come quelle del catalogo o delle cartoline. Inoltre è dotata di una mappa delle opere, cliccando sul pin si vede un’anteprima del contenuto digitale, i credit e una breve descrizione.  

    Quali caratteristiche devono avere i murales per entrare nel MAUA? Esiste una regola o solo la narrazione e la creatività guidano la scelta?

    Uno dei concetti alla base del progetto MAUA è quello della curatela partecipata. Per questo coinvolgiamo associazioni di quartiere attraverso cui dare vita a laboratori con gli studenti. Sono questi ultimi a mappare le opere di street art e a scegliere quelle che trovano più interessanti, basandosi non solo sul loro valore artistico intrinseco, ma anche sul valore esperienziale ed affettivo.

    Come funzionano i workshop attraverso cui prende forma MAUA?

    I workshop prendono l’avvio da una open call nazionale, un vero e proprio invito a prendere parte al progetto. Sono rivolti ai giovani dai 13 ai 35 anni. Vogliamo che MAUA non abbia valore solo come prodotto finale, ovvero il museo aumentato, ma anche come processo tramite cui i giovani possono acquisire competenze professionali specifiche e spendibili sul mercato del lavoro.


    Quali sono i momenti che ricordi con maggior intensità?

    Amo i momenti di esplorazione della città per cercare e mappare le opere. È come tornare bambini e giocare alla caccia al tesoro, scoprendo la città con occhi diversi. Magari sei in un posto abbandonato, ricoperto di cemento, senza nessuna attrattiva, giri l’angolo e ti trovi davanti a un bellissimo murales, colorato, vivo. C’è tutta la magia dell’infanzia e della scoperta.

    Quali sono i vostri progetti futuri e la prossima città di MAUA?

    Stiamo creando un progetto turistico per valorizzare e raccontare l’Oltrepo mantovano attraverso l’archeologia. Realizzeremo delle installazioni in AR lungo percorsi slow, ecosostenibili per favorire un turismo più consapevole.

    Per quanto riguarda MAUA, ci piacerebbe esportare il progetto ad altre città fuori dall’Italia, magari in America Latina. Buenos Aires, Rio? Vedremo.

  • Interpretare e raccontare l’arte

    Comprendiamo davvero il significato dell’arte e delle installazioni? Spesso ci soffermiamo appena e facciamo scorrere lo sguardo senza vedere realmente. La fruizione dell’arte si intreccia con la narrazione.

    In queste ore è in pieno svolgimento Artissima a Torino, la fiera d’arte contemporanea che vede coinvolte più di 200 gallerie a livello internazionale e artisti emergenti. Moltissimi visitatori percorreranno gli spazi espositivi, ma quanti davvero riusciranno a comprendere appieno il senso dell’arte?

    Un momento di approfondimento mi è stato offerto il 18 ottobre scorso quando ho avuto l’occasione di partecipare ad una open lecture dell’artista Paolo Inverni all’interno del corso di Interactive Storytelling del professor Giulio Lughi dell’Università di Torino.

    Di seguito qualche frase che ho ritrovato nei miei appunti su cui vorrei riflettere con voi.

    Il confine artista e autore non esiste più, costruisce mondi.

    La gestione dell’informazione è nelle mani dell’autore. L’autore sa ciò che lo spettatore non sa in partenza e decide quali informazioni offrire. Deve gestire l’informazione, dandola riorganizzata.

    Se l’autore genera mondi, la narratività è uno spaccato di mondi e il suo ruolo è quindi legato all’etica e alla morale. Seleziona le informazioni, decidendo i tempi e l’ordine oltre a quanto e come. Quante informazioni al mq è giusto offrire al lettore/fruitore, si chiede il relatore? Testo fitto o meno denso?

    L’artista ha portato l’esempio di un quotidiano degli anni ’50 a confronto con uno attuale per far comprendere quanto la percezione del lettore cambi a seconda dei tempi e della tecnologia. Quello che sembrava normale negli anni ’50 attualmente risulta troppo denso per una lettura efficace e senza gerarchia. Oggi si pubblicano testi meno fitti e densi. Dobbiamo tenere presenti due fattori fondamentali degli anni passati:

    • gli alti costi di stampa
    • la lettura era destinata ad un pubblico di nicchia.

    Nei quotidiani si è sentita influenza dell’hypertext, per cui si prediligono non testi interi, ma titolo, inserto e rimando a pagina interna. Neanche l’editoriale è più intero sulla prima pagina, ma leggiamo solo blocchi informativi che fanno riferimento alla pagina interna.

    Anche la convergenza tra immagini e informazioni testuali era differente, perché le tecniche di stampa erano diverse: le riproduzioni erano sempre in B/N e non sulla stessa pagina e spesso cambiava la carta (patinata per un’efficacia visiva maggiore). Oggi la convergenza è completa e un esempio perfetto è offerto dalle infografiche che sono spesso parte integrante, anzi sostituiscono in alcuni casi l’articolo. Una modalità narrativa che ha una grande efficacia ed impatto sul lettore.

    Da autore a progettista –> deve conoscere i limiti dei media e dei linguaggi per sapere come verrà applicato e realizzato. Deve controllare il risultato finale.

    Nell’arte contemporanea si possono applicare figure retoriche nello spazio e secondariamente nel tempo. Esiste un controllo totale dello spazio (luce, accessi, distanza dello spettatore, etc) utile per le installazioni.

    Il relatore si sofferma sulla Site-specific art dove l’opera d’arte non risolve il suo significato all’interno di una cornice, ma nello spazio.

    Se leggiamo su Wikipedia scopriamo che

    Site is a current location, which comprises a unique combination of physical elements: depth, length, weight, height, shape, walls, temperature.

    Ci porta anche l’esempio di una sua installazione, Fremito e ci fornisce gli elementi narrativi per comprenderla. Storytelling spaziale –> sviluppo narrativo nello spazio.

    Obiettivo dell’opera: mettere in discussione la staticità. Un lampadario, normalmente statico se non in presenza di fenomeni naturali quali un terremoto è stato dotato di un motorino interno che provoca una vibrazione delle gocce. L’artista ha studiato le vie di accesso: a 30 metri il visitatore vede un movimento quasi impercettibile e può pensare di avere la vista stanca, ma non appena si avvicina si rende conto che le gocce vibrano davvero. In sottofondo sente una musica di elicotteri che suscita una certa ambivalenza da una parte sicurezza (vegli su di me) dall’altra (pericolo e ansia).

    Sentimenti ed emozioni vengono vissuti in modo differente dagli spettatori.

    Nell’arte contemporanea il timing di fruizione non è imposto.

    A differenza del cinema ognuno può prendersi i propri tempi per la fruizione. Tornare e rivedere l’installazione e viverla in modo soggettivo.