• L’arte del pitch: raccontarsi in pochi minuti

    Chi si ricorda ‘Cogito ergo sum‘ di Cartesio? Oggi l’espressione più attuale è quella suggerita da Guy Kawasaki: ‘I pitch therefore I am‘. Parliamo sempre più frequentemente in pubblico in pitch più o meno brevi,  prepariamo presentazioni inerenti la nostra attività o i nostri progetti, momenti importanti della nostra vita professionale che richiedono sintesi, chiarezza ed efficacia. Non tutti siamo preparati a questo nuovo compito e, a volte, non riusciamo a raggiungere i goal sperati.

    Negli anni ho seguito molti pitch, relazioni e presentazioni aziendali e il 13 giugno 2018 ho tenuto un workshop alla SMW di Milano in cui ho cercato di trasmettere alcune riflessioni basate sulla mia esperienza diretta e su approfondimenti condotti su alcuni testi dedicati all’argomento.

    Sono totalmente d’accordo con Rahul Jain, Social Media Enthusiast HR Professional, che non esiste un format perfetto.

    There is no PERFECT pitch format. Understand your audience and adjust’

    Ma se non esiste una formula, quali regole seguire per essere efficaci? Studiare e sperimentare, imparando dagli errori propri e da quelli degli altri; questa a mio parere è una buona prassi.

    Qualche settimana fa ho partecipato ad un workshop Lego Seriuos Play e SCRUM organizzato da Fabrizio Faraco, Andrea Romoli e Michael Forni e mi sono messa in gioco. Abbiamo dovuto simulare un elevator pitch di solo cinque minuti. Nonostante la validità dell’idea, il nostro gruppo non ha vinto a causa di un’esposizione poco coinvolgente. Mi sono interrogata sulle motivazioni e, dopo aver riascoltato la registrazione delle due presentazioni e aver fatto un’analisi obiettiva della performance del nostro team,  mi sono resa conto che spesso, messi alle strette, dimentichiamo i fondamentali.

    Quali spunti utili ho tratto da quest’esperienza?

    1. dedichiamo più tempo al progetto che alla preparazione e alle prove del pitch, dimenticando l’importanza di entrare in empatia con il nostro pubblico e gli eventuali investitori.
    2. è necessario tanto esercizio per risultare fluenti. Questo non significa imparare a memoria il pitch, in quanto si risulterebbe poco spontanei. Tuttavia bisogna essere sicuri sull’incipit e sulla call to action, perché capiterà spesso di dover ridurre i tempi della presentazione a causa della mancanza di tempo, ritardi nell’organizzazione, speech precedenti che si sono prolungati.
    3. se decidiamo di coinvolgere più membri del team dobbiamo necessariamente coordinarci bene e provare in gruppo in modo da non avere stacchi bruschi, ma un gioco di squadra armonico.
    4. se desideriamo e possiamo proiettare delle slide è opportuno seguire il metodo 10/20/30 di Guy Kawasaki  ossia 10 slide per 20 minuti con testo corpo 30.

    Come leggiamo nel libro “The art of start 2.0” di Guy Kawasaki,  il pitch non ha solo finalità di ottenere finanziamenti, ma di creare consenso nei nostri confronti e verso il nostro prodotto e metterci in connessione per poi approfondire. Si parla di fiducia e le storie ispirano fiducia.

    They want faith faith in you, your product, your success, and in the story you tell. Faith, not facts, moves mountains. Meaningful stories inspire faith in you and your product

    Grazie alla diffusione soprattutto degli investor pitch negli hackathon, Pitch è diventata quasi una buzzword, ma le occasioni in cui ci troviamo a dover parlare in pubblico e presentare il nostro progetto sono le più svariate: dagli incontri con fornitori e clienti alle conferenze, agli eventi di networking, ecc. I guru americani consigliano di esercitarci con parenti e amici su 3 tipi di pitch di durata differente per presentare noi stessi:

    1. The Full elevator pitch
    2. The Handshake
    3. The Eyeblink.

    Discorsi di pochi minuti che dovrebbero essere sempre pronti e aggiornati, perché l’occasione di presentarci può nascere all’improvviso anche solo con una stretta di mano. Per avere degli elementi di riflessione e cercare di individuare delle buone pratiche partiamo dai cinque errori più frequenti.

    Errori frequenti

    Di seguito ho provato ad elencare gli errori che ho notato, assistendo a pitch e a presentazioni nell’ultimo anno:

    • slide con troppi dettagli e tecnicismi,
    • assenza di narrazione
    • poco entusiasmo
    • improvvisazione
    • debole call to action

    Ho quindi cercato di individuare delle metodologie utili su testi di autori italiani e stranieri dedicati a questo tema. Nel suo libro “Pitch anything” Oren Klaff precisa che, secondo i neuroscienziati, il cervello umano è costituito da 3 cervelli che lavorano insieme, ma separatemente: corteccia, limbico e rettiliano.

    Quando teniamo una presentazione la nostra neocorteccia pensa di rivolgersi alla neocorteccia dell’interlocutore, in realtà il messaggio arriva al rettiliano che è il cervello primordiale che ignora il messaggio a meno che non sia nuovo, accattivante o pericoloso.

    L’autore suggerisce un metodo per catturare l’attenzione e conquistare il rettiliano. Il metodo è identificato dall’acronimo STRONG, ossia:

    • Set the frame  – definisci una situazione e punto di partenza,
    • Tell the story – coinvolgi nel tuo racconto anche con immagini,
    • Reveal the intrigue  – stimola la curiosità,
    • Offer the prize – offri una ricompensa che sei tu e il tuo prodotto che risolve un problema
    • Nail the hookpoint – aggancia l’audience
    • Get the deal – convinci il tuo interlocutore

    In poche parole pensiamo al pitch come ad una storia breve che deve contenere elementi di tensione. Non è detto che debba essere sempre positiva.

     

    STORIA O RACCONTO?

    Spesso si pensa che un semplice aneddoto inserito nel discorso possa essere efficace, senza comprendere la differenza che esiste tra storia e racconto. Su questo tema possiamo ricorrere alla definizione fornita da Andrea Fontana nel suo libro ‘ Storytelling d’Impresa – la guida definitiva’.

    Storytelling significa comunicare attraverso racconti

    ‘storia e racconto non sono la stessa cosa’ – afferma l’autore. Possiamo dire che la storia (in inglese history), corrisponda ad una sequenza di dati ed eventi con una base cronologica mentre il racconto (in inglese story) è un ‘sistema di rappresentazione percettivo’.

    Elemento base del racconto sono le emozioni che ci mettono in connessione con i nostri pubblici. Le narrazioni seguono uno stesso schema, ossia un inizio con un stato di equilibrio, la rottura dell’equilibrio, le peripezie, la trasformazione e il ripristino dell’equilibrio finale.

    Questo schema può essere applicato anche ad un pitch? Secondo Nancy Duarte il pitch per essere ‘persuasive’ deve seguire uno schema in 3 atti (inizio, parte centrale e conclusione) con molti momenti che si dividono tra ‘ la situazione così com’è e come potrebbe essere’.

    Nella fase iniziale la Duarte suggerisce di presentare la situazione o il problema che si intende risolvere e far vedere gli sviluppi che potrebbe avere. Appare quindi evidente una frattura, un gap. Nella parte centrale è importante mantenere alta la tensione e in conclusione spiegare i benefici e fare una call to action coinvolgente.

    Segue la struttura in 3 atti anche il modello S.Co.R.E di Andrew Abela, utile per narrare le storie complesse nell’investor pitch. Maurizio La Cava nel suo libro ‘Investor Pitch’ ci spiega l’acronimo e come applicarlo anche con esempi pratici:

    Situation – Complication – Resolution   a cui Abela aggiunge anche un quarto: Examples, indispensabile per meglio chiarire i concetti chiave che si desiderano esprimere.

    Sempre di stories parla anche Carmine Gallo nel suo libro “Talk like TED” , ma le inserisce in una fase precisa del Message Map Template basato sulla regola del 3.  Si parte da una Headline che riassume come in un tweet di 140 caratteri il concetto chiave che si vuole far arrivare agli interlocutori, poi seguono 3 messaggi o key points e a ciascuno 3 bullet points che sono storie, statistiche o esempi. Solo 3 concetti, perché la mente umana può processare solo 3 informazioni nella memoria a breve termine

    Ma dove trovare l’ispirazione per i racconti? Un semplice evento può essere una storia d’ispirazione per il nostro pubblico? Per non trovarci impreparati possiamo creare una raccolta, considerando alcuni aspetti della nostra attività:

    • momenti importanti della tua vita o del team
    • mentori che ti hanno aiutato nel percorso e nel cambiamento
    • avversari che hai incontrato nel percorso
    • luoghi che hanno avuto significato
    Le quattro fasi del pich

    Per procedere in un’analisi approfondita ho suddiviso il processo in 4 fasi principali:

    • preparazione,
    • esposizione,
    • conclusione,
    • analisi.

    Per quanto concerne la preparazione consideriamo il tempo che abbiamo a disposizione per lasciare spazio alle domande finali ed approfondimenti. Dobbiamo creare uno storyboard, ossia una sceneggiatura con testi e tempi. Lo storyboard può essere un semplice schizzo su un foglio condiviso con il team oppure può essere più professionale realizzato in digitale con il tool, Storyboard That.

    Dobbiamo infine considerare i pubblici a cui ci rivolgiamo: clienti, potenziali investitori e potenziali soci o team. Il pitch deve adattarsi allo scopo che ci prefiggiamo e ai nostri interlocutori.

    Nella fase di esposizione i primi 10” sono fondamentali, in particolar modo negli investor pitch degli hackathon, in quanto molte presentazioni si susseguono con un calo d’attenzione significativa. Pare infatti che il livello d’attenzione si riduca dopo i primi 5 minuti. E se saremo il decimo gruppo a presentare il nostro progetto? Non possiamo che trovare soluzioni per farci ascoltare e ricordare.

    Durante gli ultimi Opening Days che si sono tenuti alla Scuola Holden la scorsa settimana ho assistito a diversi pitch e ho tratto alcuni spunti interessanti. Ecco qualche suggerimento per creare la scena e aprire il nostro discorso:

    • musica di fondo
    • lettura di un brano
    • oggetti evocativi
    • voce fuori scena
    • video

    Per la creazione delle slide possiamo trarre ispirazione dal sito Product Hunt, molto noto nel mondo delle startup dove sono consultabili molte presentazioni di piccole o grandi aziende quali ad esempio Airbnb, mentre una base di pitch deck template è reperibile da Google doc presentation . 

    Se desideriamo invece creare un video di presentazione suggerisco di provare due tools interessanti:

    • Adobe Spark Video che consente d’inserire testo e voice oltre a immagini. Disponibile per iOS
    • PowToon, un’app web con cui creare un avatar e aggiungere al video immagini, sfondi, transizioni, segni o testi secondo la propria idea creativa.

    Nella fase della conclusione diamo spazio a una call to action chiara e coinvolgente, utile a farci emergere e a farci ottenere un secondo incontro d’approfondimento. In questo caso, se si tratta di un investor pitch, potremo presentare il nostro Business Plan corredato di dati e report dettagliati, attività e vision imprenditoriale.

    L’ultima fase è quella dell’analisi, indispensabile per comprendere gli elementi positivi e negativi della presentazione. Ricordiamoci di essere molto obiettivi e severi per riuscire a migliorare e non ripetere gli stessi errori.

    Per altri suggerimenti potete consultare le slide presentate a SMW Milano e caricate su slideshare.  Contattatemi per maggiori dettagli e per creare insieme il vostro pitch efficace!

     

     

     

     

    Fonti

    “The art of start 2.0 – autore Guy Kawasaki – ed. Penguin – cap. 6 ‘The art of pitching’

    “Pitch anything- la presentazione perfetta” – autore Oren Klaff  – ed. Roi Edizioni- cap.1 ‘Il metodo’

    “Persuasive Presentations” – autore Nancy Duarte – ed. Harvard Business Review Press – section 3 ‘Story’

    “Talk like TED” – autore Carmine Gallo – ed. Pan Books – section 7 ‘Stick to the 18-Minute Rule’

    “Investor Pitch” – autore Maurizio La Cava – ed.  Dario Flaccovio

    “Storytelling d’Impresa – la guida definitiva” – autore Andrea Fontana – ed. Hoepli – cap. 3 ‘Racconti, storie, narrazioni

  • Twitter: 140 caratteri tra live tweeting e chatbot

    In un momento di criticità aziendale Twitter si dimostra ancora una volta un social media di grande interesse e molto seguito a livello mondiale. Sono una fan attiva dall’aprile 2009 quando un amico, Enrico, mi ha invitata sulla piattaforma che in Italia era diffusa soprattutto tra i giornalisti e alcuni personaggi dello spettacolo. Chi apriva un account era visto un po’ come un pioniere.  Il meccanismo alla base del social era considerato complesso. L’idea di dover contenere i propri pensieri o commenti in 140 caratteri erano vista come una limitazione, abituati come eravamo a chiedere l’amicizia e a poterci esprimere liberamente su Facebook. La passione per l’uccellino blu è cresciuta e il live tweeting è diventata una ‘pratica’ molto diffusa.

    Nei giorni scorsi l’annuncio di un piano di ristrutturazione che porterà a ridurre la forza lavoro del 9% e a chiudere la sede milanese mi ha fatto riflettere e cercare di approfondire i servizi che nel tempo si sono evoluti. Sono passati alcuni anni dalla mia intervista per Seo-Academy su Buzz-marketing Italia, intervista dove già esprimevo la mia passione per i 140 caratteri.

    twitterConoscete la storia di Twitter? Ho letto che l’idea nacque un giorno mentre Jack Dorsey era al parco seduto sull’altalena e mangiando cibo messicano. Pensò ad un servizio che permettesse di comunicare con un ristretto numero di persone attraverso degli SMS. Non so se sia una leggenda, ma potete leggerlo su Wikipedia.

    ‘Il primo nome del progetto fu twttr, nome ispirato all’allora già fortunato Flickr ed ai 5 caratteri di lunghezza dei numeri brevi per l’invio degli SMS negli USA. Gli sviluppatori scelsero inizialmente il numero “10958” come codice breve per l’invio dei messaggi, numero che fu presto rimpiazzato dal più semplice “40404”. Lo sviluppo del progetto iniziò ufficialmente il 21 marzo 2006 quando Dorsey alle 21.50 PM (PST) pubblicò il primo Tweet: «just setting up my twttr»‘. Il social media ha goduto di una grande fortuna grazie al real time e alla diffusione che ha avuto negli ultimi 2-3 anni.

    Sempre su Wikipedia apprendiamo che ‘la popolarità di Twitter ha visto una svolta con l’edizione del 2007 del South by Southwest festival: nei giorni dell’evento l’uso di Twitter è triplicato passando da 20.000 ad oltre 60.000 Tweet al giorno. […] Alla fine di settembre 2013 Twitter ha superato 230 milioni di utenti attivi mensili.’ La crescita è stata continua fino ad arrivare ai 317 milioni di utenti, come riportato dall’azienda nella relazione del Q3 2016 con un aumento del 3% rispetto allo scorso anno.

    Grazie al real-time, che è una caratteristica fondamentale, il social media si è dimostrato di grande utilità sociale, ad esempio, in caso di catastrofi naturali come il terremoto, prima della nascita del Safety Check di Facebook e durante i tragici eventi di Parigi, mettendo in contatto persone che offrivano il loro aiuto e le loro case a chi scappava dai luoghi coinvolti nelle esplosioni.

    In campo politico è stato molto utilizzato per coinvolgere e creare proseliti. Pensiamo a Barack Obama che ha 70,3K di followers sull’account presidenziale. Anche durante le ultime elezioni americane ha ricoperto un ruolo di rilievo, tanto che leggiamo sul blog ufficiale di Twitter:

    People in the U.S. sent 1 billion Tweets about the election since the primary debates began in August of last year.

    Qualcuno obietterà che l’università di Oxford University ed in particolare il professor Philip Howard ha evidenziato, in base ad una ricerca, che ‘33% of pro-Trump traffic was driven by bots and highly automated accounts, compared to 22% for Clinton.’, sottolineando che è stato fatto largo uso di chatbot. Potete approfondire a questo link. Essendo utilizzato da moltissimi politici e giornalisti, Twitter era in prima linea.

    twitter2

    Quali sono oggi i principali utilizzi di Twitter? Eccone alcuni:

    • live tweeting durante gli eventi, tanto che i social media team sono sempre più chiamati a conversare e commentare gli eventi live. Dalle trasmissioni televisive, alle partite di calcio, ai convegni che coinvolgono influencers a livello internazionale, Twitter ricopre sempre un ruolo di spicco. Ricordate l’ultimo festival di Sanremo con il record dei 2,7 milioni di tweet?  Vedremo di seguito i risultati di un importante convegno appena concluso a Milano.
    • propaganda politica di numerosi partiti che dialogano con i simpatizzanti grazie al cinguettio.
    • live broadcast con Periscope, dando la possibilità di assistere a eventi, a dietro le quinte di sfilate, produzioni, corsi live, momenti particolari di un brand.
    • assistenza a clienti tramite i bot. Utilizzo non recente che, tuttavia, sta assumendo sempre più peso. Proprio Twitter ha segnalato due servizi da seguire: EvernoteHelp e PizzaHut.

    Ovviamente sono andata a curiosare e ho cercato di approfondire.  In merito a Evernote, l’atwitter5pp per prendere appunti e archiviare note, ho appreso sul sito che Twitter ha commentato la collaborazione con Sprout ed Evernote:

    ‘These features are designed to help businesses create rich, responsive, full-service experiences  that directly advance the work of customer service teams and open up new possibilities for how people engage with Businesses on Twitter’.

    I messaggi di benvenuto automatici ‘What brings you to @evernotehelps today?’ e le risposte sulla chat consentono al team di customer service una notevole velocità ed efficienza, evitando ripetizioni infinite e poco proficue.

    Oltre ad abbreviare i tempi rendono più soddisfacente l’esperienza del cliente che si sente subito accolto ed aiutato.

    Per quanto concerne invece il servizio di PizzaHut, l’utilizzo di Twitter DM consente di prenotare la pizza da ogni luogo ed in ogni momento. Non si parla più di ordinare soltanto una pizza, ma di una ‘ordering experience’.

    Su Sproutsocial.com potete approfondire i contenuti che performano meglio su Twitter: foto e video nativi che aumentano l’engagement e catturano l’attenzione dei followers. Bisogna, tuttavia, considerare che il social engagement è in ‘a continual communication cycle’ con il customer care e consentono di aumentare la vostra brand reputation, come potete vedere nel grafico sotto riportato (fonte: Sprout-Social-Guide-Twitter-Social-Customer-Care).

     

    Oltre al customer care l’utilizzo di punta è il live tweeting di eventi e di convegni nazionali ed internazionali. Come vi anticipavo recentemente ho analizzato le statistiche fornite da The Fool srlBanca Mediolanum relative al convegno World Business Forum che si è svolto a Milano l’8-9 novembre scorsi e sono veramente interessanti (5.106 tweet con 35 mio di impression). Per vedere l’infografica completa potete andare al link.

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    Utilizzi innovativi si stanno facendo strada, basandosi sull’AI. Un caso è, ad esempio,  LnH AI, un “artificial intelligence based musical band”  che, leggiamo in un articolo di Wired.it,  ‘sfrutta l’Intelligenza Artificiale per creare brani — anche se sarebbe

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    meglio chiamarle basi — considerando le richieste dell’utente, che arrivano tramite tweet.’  Se approfondiamo sul sito possiamo trovare alcuni esempi dedicati all’heavy metal, ma pare che si stia evolvendo anche in altri generi musicali quali il jazz e il blues.

    Per realizzare la base musicale basta inviare un tweet a @Inh_ai con un formato prestabilito come quello indicato sul sito e che leggete sotto:

    @lnh_ai Dancing robots /compose /g heavy-metal /t 160 /r 0.2

    LnH AI compone la canzone con il titolo ‘Dancing robots’, nel genere heavy metal e con il tempo indicato di 160 BPM come richiesto. Come precisato nell’articolo di Wired.it già citato, ‘trova una “seed track” utilizzando la programmazione neuro linguistica e il titolo fornito. LnH sfrutta modelli di deep learning per ciascun genere: utilizza questi modelli e un piccolo campione della traccia base per comporre una canzone.’

    Nuove e più consolidate applicazioni rendono la piattaforma sempre molto attuale ed interessante, nonostante il momento di confusione e di cambiamenti organizzativi che sta attraversando in questi ultimi mesi. Facciamo tutti i tifo per Twitter!

  • Identità e personal branding

    Quanto è importante l’identità di un’azienda o di un professionista? Scoprire la propria identità è un processo a volte complesso, perché bisogna capire esattamente i propri obiettivi, individuare le specificità, i punti di forza e di debolezza, i principali concorrenti nazionali ed internazionali, definire una strategia precisa in base al target di riferimento e scegliere il proprio tone of voice. Il tutto prima d’iniziare la creazione di un sito e di account sui social media. Sembra un’impresa impossibile. Spesso si parte in modo non coordinato, si aprono molti account sui social media, perché si deve essere presenti, si sperimenta senza una strategia precisa e degli obiettivi definiti e misurabili.

    Da consulenti ci capita di seguire delle startup ed è avvincente partecipare a questo processo di definizione d’identità. Negli ultimi mesi del 2015 ho seguito una start up come StorytellingITA e, mentre stavo lavorando al piano strategico dell’azienda, mi sono fermata a riflettere.

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    Avevo bisogno di far luce sul mio brand personale. Da tempo sentivo l’esigenza di far chiarezza tra le mie varie identità social e professionali. Varie esperienze lavorative sono state fondamentali per la costruzione del mio essere ‘professionista’. La parola chiave ricorrente è sempre stata ‘marketing’ da internazionale a direct marketing a web a social media e attorno a questa Kw si è formata la mia anima. Dal marketing al commerciale come specialista di vendita e trainer e quattro anni fa è  nata la passione per la comunicazione narrativa e un percorso che mi ha condotto ad approfondire  i tools narrativi e le piattaforme di content marketing.

    Come migliorare il personal branding? Ho iniziato un percorso di crescita personale con l’obiettivo di definire meglio la mia strategia e chi mi sta seguendo in quest’evoluzione comprende appieno i dubbi e le difficoltà. Soffermiamoci sulla famosa frase di Tom Peters, guru del marketing americano, che spiega esattamente lo stato d’animo di quando si è in fase creativa.

    If you’re not confused, you’re not paying attention.

    Peters ha anche affermato nel lontano 1997 nel famoso articolo ‘The Brand called you‘:

    We are CEOs of our own companies: Me Inc. To be in business today, our most important job is to be head marketer for the brand called You.

    La fase introspettiva, a mio parere, è la più complessa, in quanto ti costringe a uscire dalla tua zona di comfort, a rompere gli schemi e guardarti da un’altra prospettiva. Comporta anche una certa sofferenza.

    Vediamo insieme gli steps, a mio parere, indispensabili per fare chiarezza:

    1. identificare esattamente la tua competenza e la tua offerta
    2. definire le tue attività e il mercato nel quale vuoi muoverti
    3. puntare sulla tua specificità, ossia su quello che ti rende unico
    4. capire quali benefici puoi dare ai tuoi clienti

    Per far questo puoi utilizzare il metodo Personal Branding Canvas ideato da Luigi Centenaro che trovo molto utile in qualsiasi momento della propria vita professionale.

    Nel momento in cui sei riuscito a rispondere a queste domande puoi procedere alla fase operativa. Nel mio caso personale i passi sono stati i seguenti:

    – uniformare l’immagine sui social media (foto e account);

    – ridefinire la strategia sui social media, ossia assegnare ad ogni social tematiche specifiche;

    – mettere ordine tra i contenuti, secondo la teoria dei tre scaffali: passato, presente e futuro (teoria appresa da Alice Avallone che mi sta seguendo nel percorso di strategia);

    – definire meglio il PED (piano editoriale digitale), prediligendo i contenuti originali e di qualità;

    – pianificare la creazione di un sito personale di tipo narrativo che raggruppi i contenuti sparsi sulle varie piattaforme e che spieghi l’identità;

    – puntare maggiormente sulla mia specificità. Come afferma Seth Godin, che ho avuto il piacere di ascoltare a novembre durante l’ultimo World Business Forum di Milano, la chiave del successo è quella di differenziarsi dagli altri con un elemento, una competenza, una caratteristica unica. Se volete approfondire vi consiglio il famosissimo libro ‘La mucca viola. Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone‘.  Le 5 P del marketing di P.Kotler non bastano più, afferma Godin e all’elenco degli elementi che stanno alla

     

    alla base del marketing come: prodotto, prezzo, promozione, posizionamento, pubblicità, packaging, passaparola, permesso ha aggiunto una nuova “P”. ‘Purple Cow’, ossia la mucca viola, la cui essenza è la straordinarietà.

    Lo straordinario è ciò che emerge dal consueto, ciò che si fa notare e fa parlare di sé.

    Anche nel personal branding dobbiamo andare alla ricerca della mucca viola per distinguerci in un mondo tutto marrone.