Le storie in XR si occupano oggi di realtà virtuale ed incontrano Andrea Giglio che ho conosciuto grazie a Pyramid Cafè e alla Meta Oculus Community Italy®. Ci siamo ritrovati più volte ad eventi in AltspaceVR sia divulgativi sia d’intrattenimento come, ad esempio, le serate cinema o l’incontro con Paolo Nespoli di qualche settimana fa. Recentemente Andrea ha tenuto due incontri dedicati a XR e disabilità all’interno di AltspaceVR e Second Life e mi ha permesso di approfondire un tema che è ancora poco conosciuto.
Spesso la realtà virtuale e il social VR vengono accusati di allontanare dalla realtà, di isolare i giovani con effetti negativi sulla loro personalità. Non si considerano invece le opportunità offerte dalle tecnologie di creare connessioni virtuose, di mettere in contatto persone da tutto il mondo, nonostante diversità e problemi fisici.
Ne ho avuto la prova circa due anni fa quando ho partecipato ad una mostra di una pittrice e poetessa con problemi motori, organizzata da Francesco Spadafina in AltspaceVR. Ho avvertito chiaramente la gioia dell’artista di potersi muovere liberamente nello spazio immersivo e dialogare con tutti noi come fossimo ad un vernissage in presenza.
Chi è Andrea Giglio
Andrea Giglio è un XR Consultant, socio di Connected Reality Italy, docente di tecnologie immersive, modellazione 3D e sviluppo esperienze XR ed è specializzato sui temi di inclusione.
La storia di Andrea
Come sapete, nelle mie interviste cerco di conoscere i professionisti dal punto di vista umano e non solo lavorativo. Desidero capire e condividere con voi le loro esperienze, le loro emozioni. Ho scoperto uomini e donne davvero sensibili ed unici.
Conosciamo insieme i primi passi di Andrea nell’XR e le sue passioni per la realtà estesa. L’ho intervistato per voi.
Quando hai approcciatola VR e qualisono statele tue primeesperienze?
Il mio primo approccio con la realtà virtuale è stato all’inizio del 2017 quando ho preso parte al progetto “Virtual Reality Innovation” finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale della Provincia di Bolzano. Il progetto prevedeva la realizzazione di quattro prototipi di esperienze virtuali per la formazione in quattro settori differenti, quali la gestione delle riunioni aziendali, la sicurezza nell’organizzazione degli eventi, i progetti di vinificazione e i servizi relativi alle information technologies. Qualche prototipo faceva uso di riprese a 360, mentre altri erano esperienze VR interattive vere e proprie.
Ho letto che hai frequentato a Sidney corsi di modellazione e animazione 3D con Andrew Silke. Quanto ha inciso quest’esperienza formativa sulla tua professione?
Esatto, all’età di 31 anni ho messo letteralmente la mia vita in una valigia, ed, essendo l’ultimo anno in cui potevo fare il visto Working Holiday Visa, mi sono trasferito a Sydney. Il viaggio in Australia è stata un’esperienza cruciale nel mio percorso. Una volta arrivato a Sydney ho iniziato a cercare quali erano le offerte formative che la città poteva offrire ad un giovane modellatore 3D e ho scoperto che Andrew Sike, già supervising animator di colossal hollywoodiani quali Avatar, Gravity, Happy Feet e “Harry Potter e i Doni della More, Parte 2a” (per soddisfare la curiosità dei Potterhead, Andrew è responsabile della sequenza animata dei tre fratelli) aveva trovato una nuova vocazione nell’insegnamento. All’epoca Andrew aveva aperto il sito, ancora esistente, “Create 3D Characters”, una vera miniera per i giovani apprendisti in questo settore. Oltre a quanto ho appreso da un punto di vista tecnico, anche il modo in cui faceva docenza è stata un’esperienza unica. In puro Australian style, immersi da tavoli da surf e giganteschi pupazzi di Totoro provenienti dallo studio Ghibli Andrew faceva le lezioni private a casa sua, oltre ad essere docente alla Sydney University. Ad intervalli regolari organizzava nel suo giardino barbecue a cui prendevano parte studenti universitari, studenti privati e aziende locali; in questo modo i giovani avevano modo di mostrare i loro showreel e le aziende di scegliere i ragazzi più meritevoli. Rispondendo alla tua domanda l’esperienza con Andrew Silke è stata fondamentale per me, perché mi ha offerto un approccio alla creazione di contenuti digitali davvero unico, internazionale e collaborativo. Ancora oggi Andrew offre docenze online e chiunque può prenotare lezioni con lui.
Si parla molto di Metaverso come luogo adatto a giovanissimi e gamers, quasi un po’ distopico. Tu come lo vedi e come pensi si svilupperà?
Io sono molto positivo nello sviluppo dei Metaversi, quello che mi porta ad esserlo è l’entusiasmo che vedo in molte ragazze e molti ragazzi che si ritrovano nelle piattaforme virtuali. Sicuramente c’è molta disinformazione in merito alle tecnologie immersive collaborative, e poca attenzione viene data, ad esempio, alla realtà aumentata che già potremmo usufruire tutti attraverso i nostri smartphone. Tale disinformazione porta molti italiani ad un approccio scettico e a vedere le nuove tecnologie come un punto di rottura con la nostra tradizione. Forti della nostra storia e della nostra tradizione artistica penso che queste tecnologie siano un mezzo eccellente per portare questi saperi millenari in una nuova dimensione, dopotutto noi siamo il popolo che ha scoperto la prospettiva e ha pianificato spazi tridimensionali secoli fa. Quanto al timore che i nostri ragazzi saranno assorbiti giorno e notte nei loro visori, per me è una paura infondata. Se c’è un ottimo modo per evitare che i ragazzi passino ore ed ore a giocare ai videogiochi, questo modo sta nell’insegnare loro a realizzare i videogiochi. La chiave per me sta nella formazione al giusto uso e consumo di queste tecnologie che caratterizzeranno la vita di tutte e tutti.
Sei molto presente su piattaforme come AltspaceVR,Second Life ed altre.Quale preferisci e perché?
Penso che tutto dipenda dall’utilizzo che se ne vuole fare. Ogni piattaforma risponde ad esigenze specifiche. Spatial è ottima per le riunioni di lavoro, così come lo diventerà sempre di più Oculus Workrooms. È molto interessante la possibilità di poter interagire e toccare altri avatar offerta da VR chat. Quella che preferisco per interagire con altre persone e fare eventi serali e conferenze è sicuramente AltSpace VR, anche per le splendide comunità italiane che la caratterizzano. Ogni evento è fonte di arricchimento personale ed un ottimo strumento per il team building e la condivisione di saperi e passioni.
Per quanto riguarda Second Life penso che il valore aggiunto di questa piattaforma è la sua storia di oltre vent’anni che può essere un faro nella realizzazione di nuovi mondi virtuali. Penso che tutti noi possiamo imparare molto dai successi e dai momenti bui che l’hanno caratterizzata, così come dalla qualità intellettuale ed estetica dei suoi contenuti, particolarmente in momento in cui siamo chiamati a realizzare nuove comunità digitali. Abbiamo oggi la possibilità di trasportare gli stessi contenuti all’interno di esperienze immersive. Per quanto avveniristiche potranno essere le tecnologie, la qualità delle esperienze sarà infatti direttamente proporzionale ai loro contenuti.
Hai tenuto recentemente due speech in AltspaceVR e in Second Life su ‘Tecnologie immersive e disabilità’. Da quando e perché ti sei specializzato su questo tema?
Nel 2018 sono stato docente nel primo corso di realizzazione di contenuti di realtà virtuale ed aumentata. Pochi mesi dopo dal corso un mio corsista, e attuale collega, ha avuto un incidente grave ed ha dovuto passare un lungo periodo di riabilitazione. Mentre era all’ospedale ha avuto modo di capire quanto le tecnologie immersive potessero aiutare persone con disabilità, persone anziane e persone che devono fare riabilitazione. La sua esperienza ci ha aperto gli occhi su quello che potesse essere uno degli utilizzi migliori delle tecnologie immersive.
Quali vantaggi potrebbe offrire la VR a persone con disabilità fisica?
Veramente tanti. Le tecnologie immersive sono effettivamente degli abilitatori di esperienze, permettendo a persone disabili possibilità che gli erano finora precluse, quali nuotare, fare una scalata, andare in skate o in bicicletta, fare visite o escursioni.
Questi mezzi innovativi consentono alle persone su sedia a rotelle di pianificare percorsi accessibili all’interno delle aree metropolitane, in stazioni, supermercati o centri commerciali. Ciò porta a una notevole riduzione dell’ansia legata all’esplorazione di luoghi sconosciuti quando si troveranno a visitarli nella realtà. Tali esperienze sono anche utili a preparare anche i loro accompagnatori. Quando nella progettazione e nella creazione di spazi virtuali viene data attenzione a tutte le misure legate all’inclusività questa attenzione resterà con noi anche quando ci troveremo a costruire gli spazi reali.
Per persone ipovedenti la realtà virtuale offre la possibilità di vedere le immagini più chiaramente, mentre la realtà aumentata può aiutarle a riconoscere volti ed evitare ostacoli. Cruciale in questo caso anche lo sviluppo di interfacce ricche di informazioni utili in tempo reale. Feedback sonori o tattili consentono di fare esperienze a persone prive di vista.
Per persone con problemi d’udito infografiche sovrapposte al video delle esperienze virtuali possono permettere loro di capire quanto stanno dicendo le persone che le circondano o riconoscere dei suoni. In questo ambito sono già stati sviluppati dei guanti in grado di interpretare e tradurre il linguaggio dei segni.
Per persone anziane o affette da Alzheimer la realtà virtuale agisce da abilitatrice di esperienze, perché funge da switch on del loro cervello, facendoli sentire riconnessi alla vita. Per persone anziane non affette da disabilità, ma impossibilitate a muoversi, offre la possibilità di essere connessi da remoto in tempo reale, ad esempio, nella stanza dove si sta sposando il proprio figlio o la propria figlia.
In un’ottica di life reviewing la VR offre la possibilità di rivisitare luoghi legati ad episodi poco piacevoli della vita, avendo vicino un parente mentre si fa l’esperienza virtuale. Ciò può essere importante per andare a risolvere tutto quello che si è lasciato incompiuto nell’esistenza e recuperare finalmente un senso di pace.
La realtà virtuale può permettere alle persone anziane anche di viaggiare virtualmente nei luoghi che hanno visitato in passato, in cui si sono sposati, in cui hanno fatto il servizio militare, andando a riattivare dei ricordi, cosa importantissima, ad esempio, per chi soffre di demenza senile.
Può inoltre essere un valido strumento per far fare esercizio fisico in maniera avvincente e collaborativa, andando ad aumentare i riflessi in condizioni sicure.
Persone con autismo o Asperger possono apprendere abilità sociali e le abilità della vita in un ambiente che non avvertono essere minaccioso. Esistono inoltre visori in grado di rilevare le risposte emotive degli utenti. Ciò può rivelarsi utile per monitorare paralisi facciali, depressione, disturbi bipolari e Parkinson.
Le persone disabili si trovano spesso a dover dipendere da altre persone. In un interessante ottica di ribaltamento delle parti Maestro Games ha sviluppato un’esperienza in cui gli utenti vestono i panni di un direttore d’orchestra e un’orchestra virtuale dipende dai loro movimenti. Esperienze di questo tipo sono molto importanti per rafforzare un senso di autostima, calma ed empowerment.
Che percorso consiglieresti ad un/unagiovane che desideri specializzarsiin XR con focus su disabilità?
Anche se le tecnologie immersive permettono di sperimentare cosa voglia dire vivere con certe limitazioni è importante far provare la realtà aumentata o la realtà virtuale direttamente alle persone disabili per capire effettivamente quali siano i loro desideri e le loro esigenze. Una delle caratteristiche della realtà virtuale è una forte personalizzazione; una volta che vengono individuate le necessità di una specifica utenza sarà possibile realizzare degli spazi virtuali ad hoc nei quali tali bisogni verranno soddisfatti.
Sono stati stilati da Meta così come da altre compagnie una serie di criteri per rendere le esperienze più inclusive. Ogni creatore di spazi virtuali dovrebbe conoscerli e tenerli a mente mentre realizza i metaversi. Ad esempio, bisognerebbe mantenere l’azione delle esperienze virtuali frontalmente, impostare i visori in modo tale che l’altezza degli avatar corrisponda a quella di una persona seduta e dare l’accesso ad un secondo utente tramite controller dove la persona non è in grado di farlo indipendentemente.
Altrettanto importante è non considerare le disabilità un tabù e rappresentarle anche nei mondi virtuali.
Un altro consiglio che mi sento di dare è quello di documentarsi bene sugli studi già effettuati sul tema della disabilità e delle tecnologie immersive. La virtual e l’augmented reality possono cambiare effettivamente la vita delle persone disabili. Vivere la nostra professione come una missione mirata all’inclusività rappresenta la perfetta fusione tra un sapere tecnico ed una responsabilità morale.
La Gen Z è la prima generazione che frequenta da sempre il metaverso. Hanno vissuto sin da subito una vita connessa online e offline senza alcuna divisione, più precisamente ‘onlife‘, secondo il termine coniato dal filosofo Luciano Floridi. I nati tra il 1996 e il 2012 rappresentano la fascia dei consumatori piùgiovani ed appetibile per molte aziende.
Qual è il loro atteggiamento verso la XR, il gaming e i mondi virtuali?
Recentemente ho seguito alcuni talk e letto ricerche proprio su questo tema e ho cercato di approfondire per comprendere meglio e poter consigliare i miei clienti sull’approccio da tenere nei confronti dei giovani. Ecco alcuni aspetti che mi hanno interessato e i concetti chiave emersi.
Ricerca Razorfish e VICE Media Group
Condotta da Razorfish e VICE Media Group su 1.000 gamers negli USA, ha cercato di indagare l’impatto che il Metaverso ha sull’identità, relazioni sociali e propensione d’acquisto dei Gen Z.
It’s not a foreign or futuristic concept for them – it’s their reality. Through virtual events, AR, gaming, and other immersive experiences, the metaverse is impacting the way Gen Z thinks, acts, socializes, and spends money every day.
Quali aspetti tenere presenti?
Il sondaggio ha evidenziato che la Gen Z trascorre molto tempo con gli amici nel Metaverso (12,2 ore a settimana a giocare ai videogiochi rispetto alle ca. 6 ore in cui si vedono e si frequentano di persona), perché è un’estensione della vita reale e non una fuga dalla realtà.
Acquistano oggetti come nella vita reale sia per i loro avatar sia per loro stessi. Ritengono che avere successo nel Metaverso sia importante come nella vita reale e vorrebbero guadagnare grazie al gaming o ad attività da svolgere nei mondi virtuali.
L’avatar non è qualcosa di separato, ma “MY AVATAR IS ME” – A TRUER EXPRESSION OF WHO I AM.” per il 56% degli intervistati.
“Our study shows that Gen Z is using the metaverse to cultivate connections and explore who they really are” afferma Julie Arbit, Global SVP, Insights at VICE Media Group.
1 giocatore su 3 della Generazione Z vorrebbe che i marchi fornissero negozi virtuali per la navigazione e l’acquisto di prodotti nel metaverso e che vendessero skin e abbigliamento per i propri avatar.
Rispetto alle generazioni precedenti appaiono meno sensibili nei confronti della privacy e questo aspetto è sicuramente da migliorare soprattutto con una buona educazione digitale e consapevolezza dei rischi.
Ecco uno schema utile da tenere presente per comprendere le evoluzioni future:
The Metaverse trend report di YPulse
La ricerca mette due generazioni a confronto: Millennials e Gen Z ed è stata condotta su 1.450 persone di età 13-39 anni in Nord America a gennaio 2022. Per gli utenti Pro è possibile anche indagare elementi nel dettaglio quali ad esempio quanti Gen Z e Millennial hanno acquistato/sono interessati ad acquistare NFT, criptovalute e digital land, come le loro relazioni sui social media si confrontano con le loro relazioni nei mondi virtuali e chi pensano sia in grado di creare un unico metaverso.
Negli ultimi due anni, a causa della pandemia e del distanziamento, la Generazione Z ha trascorso più tempo in questi mondi virtuali rispetto ai Millennial alla ricerca d’intrattenimento e socializzazione.
I titoli più giocati dalla Gen Z nel mondo virtuale sono stati: Minecraft, Fortnite, Roblox e Animal Crossing. Proprio nel periodo del Covid alcune piattaforme hanno ampliato il loro ambito da gaming a spazi per concerti, eventi personali e altro ancora, cercando di limitare il senso d’isolamento dei più giovani.
Che cosa pensano Gen Z e Millennials del Metaverso?
Circa il 50% degli intervistati appartenenti alla Gen Z vedono il Metaverso in modo positivo: ‘cool, fun and exciting’ e solo il 22% lo trova spaventoso e allarmante. Questa fiducia dipende anche dall’abitudine di utilizzo, in quanto questa generazione è solita trovarsi e giocare in mondi virtuali come Minecraft, Fortnite, Roblox, e Animal Crossing.
Quali attività svolgono all’interno del Metaverso?
Da notare che l’acquisto di beni virtuali e digitali e di valuta all’interno di un gioco è superiore nella Gen Z rispetto ai Millennials che hanno tuttavia un potere d’acquisto sicuramente superiore. I videogiochi come Fortnite, Roblox e Minecraft hanno la propria valuta di gioco (V-Bucks, Robux e Minecoin) che i giocatori usano per acquistare oggetti, inclusi skin e accessori esclusivi.
L’interesse/spesa nelle crypto e NFT è invece decisamente superiore nei Millennials.
Il comportamento della Gen Z è più forte al di fuori del gaming: è più probabile che abbiano creato avatar per se stessi sui social media e che seguano una persona virtuale sui social media.
Un dato interessante che emerge dalla ricerca è che la Gen Z, che già trascorre molto tempo a socializzare e a giocare nei mondi virtuali, non pensa a questi spazi in termini di “metaverso” o “realtà virtuale”, ma li considera parte della loro vita che dicevamo all’inizio si svolge onlife dove c’è una continua interazione tra realtà virtuale e interattiva e quella analogica e materiale.
Il tipo di contenuto che è entrato nella top 10 della Gen Z e non nei Millennials è il gaming/eSports. La ricerca sui giochi di YPulse ha rilevato che la maggior parte della Gen Z ama impegnarsi nel gioco, ma anche guardare altre persone giocare ai videogiochi.
Ricerca del Center for Generation Kinetics
L’onlife torna come specificità della Gen Z anche nella ricerca condotta dal Center for Generation Kinetics. I giovani fanno pochissima distinzione tra il mondo online e quello fisico ed assegnano valore alla competenza tecnologica quasi quanto alla libertà (rispettivamente 19% e 22%).
L’87% della Gen Z gioca ai videogiochi su smartphone, console di gioco e computer settimanalmente se non tutti i giorni, giochi che ha conosciuto già durante l’infanzia.
Secondo la ricerca questa generazione ricoprirà un ruolo fondamentale nel far avvicinare Millennials e Gen X al Metaverso. Può essere considerata il principale fattore abilitante per il successo e lo sviluppo di una struttura interdipendente del Metaverso in cui possono interagire molteplici spazi online e di XR. Le intuizioni di questi giovani sono vitali per le aziende che desiderano avere successo all’interno di questo spazio in espansione poiché la loro influenza modella quello stesso spazio mentre evolve.
Ricerca Piper Sandler
Pare che i giovani della Gen Z, nonostante siano assidui frequentatori di videogiochi, siano scettici sull’idea di un mondo online definito. Il 50% dei 7.100 adolescenti intervistati nel progetto di ricerca semestrale sulla Gen Z della società finanziaria Piper Sandler ha affermato di non essere sicuro, o di non avere alcuna intenzione, di acquistare un dispositivo per accedere al metaverso, come un visore per realtà virtuale. Solo il 9% ha dichiarato di essere interessato al punto di effettuare un acquisto e il 26% ha affermato di possedere già un dispositivo. Di quel 26%, solo il 5% è entra nel metaverso quotidianamente e l’82% poche volte al mese.
Il sondaggio ha intervistato adolescenti di 44 stati, con un’età media di 16,2 anni.
Ricerca Student Beans
La ricerca Student Beans ha rilevato che il 44% della Gen Z del Regno Unito non sa cosa sia il metaverso, mentre negli Stati Uniti il 66% lo conosce, anche se ha sentito il termine per la prima volta nel 2021 dopo il rebranding di Meta.
In generale l’atteggiamento dei giovani risulta abbastanza positivo: la maggioranza (47%) ha detto che “potrebbe essere divertente”, con il 36% che ha affermato che “sembra fantastico” e il 17% che ha mostrato una mancanza di interesse.
Considerazioni su GenZ e Metaverso
Dalle ricerche fin qui esaminate emergono alcuni elementi comuni:
da anni la Gen Z è abituata a frequentare le piattaforme gaming e non pensa al Metaverso come a qualcosa di nuovo o sconosciuto, piuttosto un contenitore al cui interno convoglieranno varie piattaforme e brand che già conoscono.
lo percepisce in modo positivo, ma ancora come una realtà in evoluzione e poco definita.
sensibile agli acquisti virtuali per se stessa o per gli avatar accoglie le proposte dei brand in modo leggero e divertente, curiosa soprattutto di vivere esperienze.
vede gli ambienti virtuali come piazze dove ritrovarsi con gli amici, fare nuove conoscenze, sperimentare, apprendere, giocare con il proprio gruppo, andare ad eventi e divertirsi.
I brand dovranno considerare con attenzione gli interessi della Gen Z e soprattutto tenere presenti le loro caratteristiche e comportamenti che sono state evidenziati nella ricerca condotta da McKinsey&Company (2018). Vediamo alcuni aspetti:
verità e dell’autenticità Fondamentali per questi giovani che cercano modi di espressione personali autentici
inclusività. La vita online e offline è considerata come singola. Le communities online rivestono grande importanza.
realismo. Utilizzano internet e i social media non solo per intrattenimento, ma anche per informarsi ed aggiornarsi.
identità e consumo. Cercano valore nei prodotti e nei servizi e personalizzazione. L’individualità diventa importante e desiderano trovare nel consumo l’espressione del sé tanto da essere disposti anche a pagare di più.
etica. Il purpose e la trasparenza sono valori fondanti che i giovani pretendono dai brand e dalle aziende.
Conclusioni
Quali conclusioni possiamo trarre? Il Metaverso è ancora in costruzione, anche se le sperimentazioni da parte dei brand sono sempre più frequenti ed innovative. La Gen Z è sensibile all’innovazione, ma non percepisce il Metaverso come una grande novità e soprattutto resta in attesa, continuando a frequentare le ‘piazze’ digitali che già conosce ed ama.
Il consiglio è quello di restare costantemente aggiornati sugli sviluppi per poter analizzare i comportamenti degli users ed in particolar modo dei giovani della Gen Z e consigliare ai nostri clienti gli approcci migliori con un po’ di sano buon senso ed ottimismo. 🙂
Come nasce il progetto narrativo “Women in the Metaverse”, dedicato all’empowerment femminile? Parto dall’inizio e vi narro il dietro le quinte e le motivazioni che mi hanno spinto a coinvolgere nove donne a raccontare la loro storia.
Era l’estate 2021 e avevo iniziato a condurre diverse interviste a persone e professionisti conosciuti nei mondi di social VR. Mi avevano affascinato le loro storie, la loro passione per la realtà estesa e i loro primi passi nella tecnologia.
È opinione diffusa che la XR sia popolata da gamer e da ragazzini, in particolar modo da persone di sesso maschile. In realtà ho conosciuto tante professioniste e fan di XR di tutte le età e di tutte le professioni. Ho scoperto un mondo di donne variegato ed appassionato che costruisce mondi immersivi, che lavora nel gaming, nella blockchain, nell’XR e in settori, anche molto tecnici, del Metaverso.
Da questi incontri e dalle prime interviste è nato il desiderio di approfondire, di dare voce a queste donne, di far emergere la loro professionalità per far capire alle ragazze che devono ancora scegliere le loro strade professionali e alle donne che magari hanno perso il lavoro a causa del covid o della crisi economica che esistono nuove opportunità.
In qualche modo ho voluto costruire ponti tra le generazioni, portare un contributo concreto all’empowerment femminile con un progetto fatto da donne per le donne.
Il progetto
Non vuole essere solo un ebook, ma un progetto articolato che mira a diffondere conoscenza ed esperienze alle lettrici e al pubblico femminile in generale.
Per prima cosa ho voluto fornire un panorama del Metaverso ad oggi con i cambiamenti in atto, le diverse definizioni date dagli esperti e le lotte tra i Big Player. Ho scelto alcune professioniste che ho conosciuto nei mondi di social VR o su LinkedIn e ho raccolto, in interviste mirate, le loro storie, i loro primi passi nella tecnologia, i loro dubbi, le loro emozioni e le scelte che hanno segnato le loro vite e le loro professioni.
Il ricavato dell’ebook torna alle donne attraverso un’associazione che promuove l’empowerment femminile e sostiene gli studi delle ragazze nel settore STEM.
La squadra
Le prime ad essere coinvolte sono state quattro professioniste che conosco e frequento da più di due anni in AltspaceVR: la formatrice Edu3D Francesca M.R. Bertolami, nota nei mondi virtuali come Eva Kraai, la docente Cristiana Pivetta, la travel blogger Bruna Athena Picchi e la community manager di Meta Oculus Community Italy® | ItaliaPetra Škachová.
Per dare una visione più completa alle lettrici ho consultato il mio network su LinkedIn e deciso di coinvolgere nel progetto “Women in the Metaverse” altre donne attive nel metaverso. Ho contattato nel mondo del gaming la player professionista Federica Campana, l’esperta di blockchain e NFT Sara Noggler (CEO di Polyhedra), l’esperta di XR Elisabetta Rotolo (CEO di MIAT), l’artista in VR Carli Susu e l’esperta di AR Katherina Ufnarovskaia (CEO di Augmented.City).
Il lavoro non era però finito. Dovevo organizzare la prefazione e la grafica della copertina.
Chi poteva scrivere una prefazione adatta a incoraggiare le donne a crescere nel settore della tecnologia? Un’altra donna che conosco e apprezzo da diversi anni, Linda Serra di Work Wide Women, da sempre impegnata nel promuovere l’empowerment femminile, diffondere la conoscenza del web e di materie tecniche presso le donne e, al contempo, difendere la diversity e l’inclusione.
Per la copertina sono stata molto indecisa se ingaggiare una mano femminile o se scelgliere un altro punto di vista. Ho voluto uno sguardo maschile sul mondo delle donne e ho contattato l’illustratore, Andrea Calisi, autore di immagini e copertine per Einaudi, Rizzoli, L’Espresso, Linus, Edizioni Corsare ed altri editori.
La progettazione
La squadra era completa e si poteva iniziare la seconda fase, la progettazione. Ho quindi pensato alla struttura narrativa da dare al progetto e mi sono ritrovata nel classico ‘narrative arc’ in 3 atti.
Come poter applicare l’arco narrativo al progetto “Women in the Metaverse”?
Eroine: le lettrici che possono lasciare la comfort zone ed iniziare un cambamento
Mentori: le intervistate che accompagnano e guidano la trasformazione appena iniziata
Difficoltà da superare: la crisi del lavoro femminile, la scarsa conoscenza di nuove professioni, di materie tecniche e del Metaverso
Climax: perdita del lavoro o esigenza di cambiarlo, momento di grande confusione nella scelta di un nuovo percorso di studio.
Oggetto magico: l’ebook che aiuta a conoscere ed ispira. Favorisce un cambiamento ed il superamento dell’incertezza.
Un filo rosso collega tutte le storie. Alla fine di ogni intervista trovate una frase d’ispirazione che incoraggia le lettrici a iniziare o a proseguire il percorso.
Premio/tesoro: la conoscenza, la crescita dell’autostima e la scoperta di strade spesso ancora sconosciute.
Dono: il ricavato della vendita dell’ebook che verrà restituito alle donne attraverso un’associazione che promuove l’empowerment femminile e suporta le ragazze nelle professioni STEM.
Perché narrazione e Metaverso?
Vi chiederete perché ho scelto di parlare di narrazione e Metaverso e non delle classiche materie STEM.
Il mio interesse per i mondi immersivi non è nato nel momento in cui è diventato un hype con l’annuncio di Marc Zucherberg che ha fatto rebranding di Facebook in META e da quando tutti ne parlano: dagli psicologi ai sociologi, dagli influencer ai social media manager, ecc.
La passione e lo studio dell’XR erano iniziati molti anni prima. Già dal 2015 avevo portato i cardboard nei miei corsi di storytelling e avevo parlato di immersive e VR storytelling. Da allora ho approfondito questi temi, cercando di diffondere cultura. Dall’inizio del lockdown ho frequentato assiduamente i mondi immersivi di social VR grazie anche al mio META Quest che è arrivato proprio a marzo 2020.
Ho conosciuto molti professionisti tramite la rete e nelle fiere di settore, ma ho notato che la presenza femminile in Italia è ancora oggi poco diffusa. Ho pensato, quindi, di avviare un progetto di empowerment femminile con lo scopo di far conoscere alcune professioni legate al Metaverso ed ispirare le altre donne.
Metaverso o multiverso?
Si parla di Metaverso, ma in realtà siamo immersi in tante piattaforme differenti e a sé stanti che hanno specificità, regole e grafiche diverse. Tanti universi dove si muovono e sperimentano i brand più innovativi. Alcuni hanno adottato piattaforme già esistenti e tipicamente di gaming come Roblox, Fortnite, Zepeto, Decentreland, ecc., altri ne hanno costruite di proprietarie. Possiamo quindi assistere a spettacoli, interagire con gli amici e vedere, scegliere ed acquistare prodotti nei mondi immersivi, ad esempio nell’abbigliamento sportivo con Nike e Adidas, nel turismo con Vienna Tourist Board e Alpitour World, nella ristorazione e food con Wendy’s e Budweisers, nella larga distribuzione con Carrefour o nella consulenza con Accenture e così via.
Le esperienze possono anche uscire dai mondi virtuali e arrivare nel reale come è successo a Milano all’inizio di aprile nel Metabar, un temporary bar in piazza Sempione creato da Heineken per lanciare l’Heineken Silver, presentata a marzo in Decentraland. Uno spazio virtuale con buttafuori e baristi avatar in grado di intrattenere, suonare e interagire con gli avventori.
Ma chi frequenta il Metaverso e quanti lo conoscono?
Pare che sia già molto popolato a livello mondiale, circa 350 milioni di persone e 43 mondi digitali attualmente esistenti (vedi articolo de Il Sole 24 Ore). Questi dati sono forniti dalla recentissima ricerca di Vincenzo Cosenza aka Vincos che ha prodotto una mappa dei mondi digitali, rivolti ai consumatori.
Cosenza ha dato vita ad un Osservatorio sul Metaverso ‘con l’idea di studiare l’evoluzione degli spazi tridimensionali immersivi, raccogliere le migliori pratiche di branded experience e fare cultura attorno a questi temi’, come leggiamo sul sito.
Com’è la situazione in Italia? Secondo la ricerca di Sensemakers risulta che solo il 25% degli italiani sa cos’è il Metaverso, mentre il 41% ne ha appena sentito parlare. Significativa è la posizione delle donne intervistate nella ricerca: del 38% che risulta non interessato al metaverso il 45% è donna.
Di qui l’esigenza di fare cultura e d’invitare le donne non solo a frequentare i mondi virtuali, ma a comprenderne le applicazioni e le opportunità di lavoro.
Con le nove protagoniste dell’ebook ho avviato questo progetto di divulgazione e ho trovato l’appoggio di tante amiche ed appassionate che lavoreranno al mio fianco.
Vuoi partecipare anche tu e sostenere il progetto? Puoi contribuire sia acquistando l’ebook sulle maggiori piattaforme tra cui: Youcanprint, Amazon, Mondadori, ecc. sia facendolo conoscere alle tue amiche.
Entra con noi nel Metaverso e lasciati ispirare!
Vieni a conoscere l’iniziativa a Meet Digital Culture Center a Milano il 19 maggio dalle ore 18:30 in poi. Ti aspetto!
Le storie in XR e social VR tornano in Italia ed incontrano Stefano Lazzari noto nel metaverso con l’avatar StexAuer. Ci siamo conosciuti in alcuni eventi in AltspaceVR, perché fa parte del gruppo Pyramid Cafè e di Meta Oculus Community Italy® | Italia. Affascinata dalla sua competenza su VR e mondi immersivi, ho scoperto di avere molte conoscenze in comune con lui. In fondo i mondi XR e social VR sono delle piazze virtuali dove il networking esce dalla rete e diventa reale.
Chi è Stex Auer
Stefano Lazzari aka Stex Auer è un Innovation evangelist, Media Content Manager e Social Media Strategist. Nel 2018 ha fondato Digitalguys.it, un network tra professionisti del digitale. A mio parere, risponde perfettamente all’archetipo dell’esploratore, perché fin dagli anni del boom di Second Life ha continuato a far ricerca e a tracciare nuove vie.
La storia di Stex
Scopriamo insieme i primi passi di Stex nell’XR e le sue passioni per i mondi immersivi. L’ho intervistato per voi.
Ciao Stefano, presentati ai nostri lettori con 3 parole chiave
Ah, partiamo difficile, Simo! ma è una sfida a pensare, e dunque l’accolgo ben volentieri e… fammici pensare… a few more minutes of waiting…ecco.
Traiblazer
Sono un trapper, un tracciatore di piste, ho vissuto da pioniere quando i modem pigolavano a 54 k, quando le pagine web erano grigie, i testi del minitel erano verde fosforo, quando la rete, tutto quello che stiamo vivendo era nei romanzi cyberpunk, e si faceva phreaking nelle cabine della SIP, ci si incontrava con Gomma e Caronia a COX18, si leggeva Decoder e Neural e si ascoltavano le Posse e i Talking Heads.
Chi è pioniere, pioniere resta, annusa il vento per sapere da che parte arriverà la pioggia, e legge le orme sul terreno per capire il futuro… con il GPS in tasca ovviamente. Spento. Tanto non serve.
Space cowboy
Dei miei trent’anni ho perso l’elasticità, ma perdio sulla tastiera vado veloce, molto veloce, e giù nel ciberspazio poco conta quanto l’entropia universale ha influito sul tuo corpo fisico. Il bello di essere un vecchio geek è che non c’è missione disperata che ti spaventi, non c’è ingaggio economico, o carriera che ti alletti o debba raggiungere o difendere. Un grande sogno e i soldi per realizzarlo. Io ci sto, vengo anche solo per divertirmi. Anzi, spesso solo per quello.
Zoomer
Sì, sono un Boomer, ma zip. Moses Znaimer è il nostro campione. everythingzoomer.com la nostra bandiera.
Una buona definizione di noi Zoomers italiani potrebbe essere quella di “Generazione de I Quindici” di cui io mi onoro di avere la prima edizione del 1964 e sulle cui solide fondamenta basa tutta la mia insaziabile sete di futuro. “il meglio deve ancora venire” ci diceva. Ed è il minimo che mi aspetto.
Ti definisci nel tuo profilo LinkedIn ‘Innovation evangelist’ che cosa significa per te l’innovazione?
Altra bella domanda. Mi sarebbe piaciuto lasciarmi trasportare dalla poesia e darti la risposta che più mi piace.
L’innovazione è “La lotta fra tradizionee invenzione,tra ordine e avventura“.
Queste belle, bellissime parole che mi commuovono alle lacrime non sono mie, sono di Guillaume Apollinaire, il poeta con cui ho condiviso la mia educazione sentimentale e la crescita del mio immaginario e delle visioni che solo la sensibilità al futuro ti sa dare.
Credo che la nostra sia stata la generazione che ha avuto la fortuna di vedere arrivare l’onda delle nuove tecnologie, e di averne costruito gli scenari che noi oggi viviamo… o subiamo, perché non siamo stati in grado di governarli. Questo sarà compito della generazione che ci segue e che avrà questa grande sfida da risolvere: fare andare il futuro dove è meglio, possibilmente con equità, inclusività e resilienza.
Per questo motivo e non per altro, per dare il testimone di questa corsa, dò la mia seconda definizione preferita:
“L’innovazione è la capacità di realizzarel’improbabile“
Queste sono le parole di Piero Bassetti, fondatore e guida della Fondazione Giannino Bassetti, che sintetizza molto bene il mio pensiero nella sua trasformazione da poetico a pratico, probabilmente più utile come strumento per manipolare il futuro. Diamoci una mossa!
Il tuo avatar ‘Stex Auer’ che definisci ‘gemello digitale’ è lo stesso fin dal 2006 quando sei entrato nel Metaverso? Perché hai scelto questo nickname?
Intanto sapere cos’è un gemello digitale, aiuta. Ci dice Wikipedia:
“Un gemello digitale è la rappresentazione virtuale di un’entità fisica, vivente o non vivente, di una persona o di un sistema anche complesso.”
Di me stesso ho spesso detto: “io sono tutti i miei dispositivi”, mettendo sullo stesso piano ogni forma nella quale si rappresenta la mia personalità, che sia un profilo social, un avatar, la mia persona.
Dunque sì, io sono me stesso in tutte le mie manifestazioni digitali o fisiche, Stex è Stefano, e lo è da sempre, e lo sarà: se ho tante espressioni corporee, ho un’ identità unica.
Anche il mio Nickname è in effetti il frutto di una fusione: Stex è un mio soprannome storico. Me lo diede la fidanzata di Alberto Marchisio negli anni ’90 una sera a casa sua, ragionando di musica (Alberto stava scrivendo per Castelvecchi “Trance & Drones” un libro sulla musica elettronica), mentre Auer era un “cognome di generazione” in Second Life, lo si poteva scegliere da abbinare al nome da una lunga lista. Cercavo Willer, Stex Willer, ma non c’era. Ho scelto Auer, suonava altrettanto bene. Da allora Stex e Stefano sono la stessa cosa. Stefano non mi chiama più nessuno, neppure mia moglie.
Ricordi le tue prime esperienze in XR e il tuo primo visore?
Certo che si! Sarebbe come non ricordarsi della prima bicicletta, del primo bacio. Mi ricordo, inquadrai la cover del libro di Steve Jobs, editato poco dopo la sua scomparsa, dove campeggiava il suo ritratto che si mise a parlare. Come un quadro a Hoghwarts. Fantastico. Il mio primo visore è stato un Oculus Rift, tutt’ora perfettamente funzionante a fianco del fratellino Quest. Che dire? Avevo gli occhiali appannati, metterlo fu un casino, e togliendomelo mi caddero a terra. Non un grande inizio. Ma poi è stato amore.
Eri appassionato di Second Life e all’epoca conoscevi già Magicflute Oh? Ci puoi raccontare qualche aneddoto curioso e/o divertente dei mondi virtuali che frequentavi?
Sì, ci siamo conosciuti in Second Life, negli anni del Boom della piattaforma. Cose mai viste. E ancora oggi rimane quella che più si avvicina al concetto di Metaverso… ma è un altro discorso. Dunque dicevo… certo non era l’unico mondo possibile, anche allora ci furono diversi esperimenti.
Uno riuscito era v-Side, un mondo oggi scomparso.
Sono entrato in vSide nel 2006, allora si chiamava ancora “The Lounge”. Bello graficamente, con molte possibilità di lavorare sul movimento e l’espressività dell’avatar: danzare, muoversi, esprimere emozioni con il corpo. Gli ambienti statici, ma pieni di luci e ombre, anche se le texture erano evidentemente fasulle e un po’ piatte, sembra di muoversi in ambienti profondi.
Un ambiente blindato, senza altra possibilità che giocare, ballare, fare shopping. In giro, nugoli di ragazzini dai nomi improbabilissimi e dal linguaggio fatto di “yo!” “lol” e poche altre parole acronimizzate, del tutto incomprensibili. Giocano a fare piramidi umane, balletti sincronizzati o cascano a terra dal ridere.
Me ne sono andato perchè non capivo letteralmente nulla di quello che si dicevano, Uno slang che mi ha condannato all’esclusione. Le poche volte che cercai di dialogare, mi sgamavano subito, usavo troppe parole…
Sei da vent’anni nel digitale e soprattutto nel content. Quali cambiamenti positivi e negativi hai notato e puoi evidenziare?
Cambiamenti, nel senso di evoluzione, tantissimi. Posso dirti tranquillamente che praticamente nulla di quello che erano le procedure e le tecnologie per lavorare nel digitale a fine anni ’90 e poi nel web del 2001 esiste oggi. La cosa che però mi preme sottolineare che nulla di quello che riguarda il mio lavoro esisteva prima. Letteralmente. Ce lo siamo praticamente inventato. Siamo stati in assoluto i primi a comunicare con il digitale. E questo mi fa pensare che molto probabilmente fra vent’anni, quando si farà questa domanda a chi oggi inizia il percorso delle VR/XR/AR si troverà a dire le mie stesse parole, e tutte le tecnologie che useranno, oggi semplicemente, non esistono.
Il digitale, per sua natura, è una cultura che non ha pratiche tradizionali, è continuamente in perpetual beta, l’instabilità è il suo stato naturale. Leggete Kevin Kelly, in “L’Inevitabile”, racconta bene questo stato. Non so se è bene o male.
Com’è nata l’idea di fondare nel 2016 il network Digitalguys.it? Quali esigenze può soddisfare?
Nasce dall’idea di mettere a fattore comune le conoscenze che avevano un gruppo di colleghi e amici per seguire sentieri fuori dai percorsi professionali convenzionali, esplorando percorsi nel digitale e nelle tecnologie poco battuti: in primo l’etica, e poi oggi, la virtualità. In futuro, vedremo!
Hai collaborato alla costituzione di Meet The Media Guru e ora sei all’interno di Meet – Digital Culture Center. Recentemente mi hai scritto: È ora che la tecnologia si rifletta nella cultura e non viceversa’. Ci spieghi il tuo pensiero e il tuo ruolo in Meet?
La mia storia professionale si è intrecciata con quella del Meet veramente in tempi non sospetti, all’alba di quegli anni ’90 in cui tutto è cominciato. Sin da subito la rivoluzione digitale si rivelò come un processo innovativo, nato tecnologico, ma che in effetti coinvolgeva tutti gli ambiti del nostro vivere. È così pervasivo, così facilitante, così leggero e così rapido, così adattabile a tutte le nostre attività che l’abbiamo fatto nostro con entusiasmo, senza troppo soffermarci sulle sue esternalità.
I cambiamenti avvengono in corso d’opera e non è facile riconoscere quando è il caso d’intervenire. È il dilemma di Collongridge:
“Quando il cambiamento è ancora facile non ne comprendiamo la necessità. Quando il bisogno di un cambiamento è evidente, è ormai difficile e costoso introdurlo.”
Ebbene è ora di iniziare a ragionare sul futuro della nostra società digitale a tempo, prima che sia troppo difficile e costoso farlo. Noi crediamo che per poter effettuare questo cambiamento, il driven sia la cultura che deve condurre, e non farsi più condurre dalla tecnologia.
Intelligenza Artificiale, Virtualità, Robotica, Blockchain, cosa ne vogliamo fare?
Parte del mio lavoro al MEET è proprio questo, ed è quello che ho sempre fatto: esplorare, guardare lontano. L’altro è comunicare quello che si è visto e metterlo in pratica.
Che percorso consiglieresti ad un giovaneche desideri approcciarsi all’XR?
“El niño que no estudia no es un buen revolucionario“, mi diceva Castro. Io da giovane studente negli anni ’70 ho cercato (malissimo) di attuare l’idea di studio come pratica rivoluzionaria, come esplorazione non convenzionale della realtà, come servizio alla comunità. Forse questa visione non è così obsoleta come sembra, e comunque merita a chi oggi inizia un percorso, una riflessione su come uscire dall’area di comfort dei propri interessi e di proseguire oltre.
In fondo, niente di diverso da quello che ha detto Jobs: “stay hungry, stay foolish”
In una serata in AltSpace VR ci hai parlato della tua idea di Metaverso dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto etico. Quali sviluppi possiamo aspettarci a breve?
A breve prevedo grandi spostamenti di denaro. Gli imperi si stanno muovendo sullo scacchiere del Metaverso, qualunque cosa sia nella testa dei grandi investitori. Credo che di etica tocchi a noi parlarne, ma con meno, molto meno soldi. Conto che ad ascoltarci ci siano ragazzi affamati e pazzi.
Le storie in XR hanno un respiro internazionale nel 2022. Chi frequenta i mondi di social VR e si occupa di XR conosce bene Carlos J. Ochoa Fernández che ho avuto il piacere d’intervistare per voi. Il nostro incontro è nato grazie alla VR/AR Association e in particolare all’Education Committee di cui Carlos è Co-Chair. Da formatrice ed appassionata di extended reality ho iniziato a seguire i suoi speech e a partecipare agli eventi da lui organizzati. Nel 2019 ho avuto anche l’occasione di ascoltarlo dal vivo a Piacenza all’evento ‘Scuola e virtuale’ dedicato all’education.
Per la prima volta l’intervista sarà in lingua inglese, ma ‘stay tuned’, perché ne seguiranno altre. Ampliamo i nostri orizzonti per conoscere e comprendere i cambiamenti in atto nella formazione e nella comunicazione.
Incontriamo Carlos J. Ochoa Fernández – Let’s meet Carlos J. Ochoa Fernández
Founder and CEO of ONE Digital Consulting, President VRAR Madrid Chapter, Co-Chair of VR/AR Education Committee, Immersive Learning Founding Member, ICICLE X-Reality for Learning and Performance Augmentation SIG, Member of Smart Cities Experts Group of AENOR (Spain).
Engineer from Madrid Polytechnic University, MBA from Babson College, Postgraduate in Innovation and Entrepreneurship by Maryland University, Master in Digital Marketing for International Business Development (ICEX) and ITC & Gis Certificate by Siemens Data-Technic Schule (Germany).
With over 30 years of International experience in the Innovation and New Advance Digital Technologies in ITC Industry and Digital Education. Leading successful organizations (SIEMENS, Sagentia, Altran, Founder and CEO of E_Learning Consulting, ONE Digital Consulting & SmartEducationLabs) with a balanced strategic mission and innovative business development vision.
Author of many publications, articles, and the White Paper “Best Practices in VR in Education” and “State of Art of XR in Education 2020” by VR/AR Association.
And now Simonetta and Carlos will talk about XR, VR education and many other topics.
Let’s start with ‘WHY’, as Simon Sinek’s Golden circle ‘docet’. Why did you approach XR?
Throughout my long professional career, I have been a very restless person, always attracted by emerging technologies and their application to the real world from different perspectives.
Especially in projects where the integration of complex solutions and technological convergence was required.
It was during my time at Siemens, when developing the Forest Plan project of the Community of Madrid, on environmental protection in forests and natural parks, we had the need to develop a simulation model of intervention and prevention of forest fires, evaluating its impact and subsequent reconstruction over the years.
To do this, we used different technologies, a GIS (geographical information system), integration of digital terrain models, cadaster data, land uses, and satellite images at different times of the year, in order to carry out evaluations and simulations, etc. At this time, together with engineers from different universities, we have already developed a very complex three-dimensional visualization and simulation system. Integrating vector, raster and alfa-numeric data in the same model.
At the Polytechnic University, I specialized in geodesy and photogrammetry and later, I expanded my studies in information technology and geographic information systems for two years, at the Siemens University in Germany. Which allowed me to have a very powerful knowledge and vision of three-dimensional environments, their integration with gis and subsequent modeling for simulations and impact studies.
I subsequently specialized in urban planning and cultural heritage, applying 3d reconstruction technologies, animations and virtual reality technologies in the development of various R&D projects in Europe.
This is the evolution and why I entered the world of Virtual Reality. What is synthesized and summarized in one of my favorite projects: The Virtual Reconstruction of the Islamic City of Cuenca, and its evolution over the years to the present.
When have you tried on your first headset? Do you remember your feelings? Do you have any funny memories to tell us?
Yes, of course, I remember those very first experiences. Recently a colleague from the VRAR association reminded me of it. It was around 1993, more or less, at a computer fair in Madrid. When I put on my first VR helmet, that giant device, full of cables, was super heavy and uncomfortable, to say something. The experience was like getting into a diver’s scuba diving suit.
I remember perfectly that I was in the middle of a deserted street, it seemed like the Wild West… I walked around for a while, and approached a mirror of that stage, and I began to move my arms and I could not see myself reflected. I automatically decided to take off the case and respond to the technical staff…this doesn’t work. If I don’t see myself, it’s not real… They were left with a face of absolute frustration… I left disappointed. I have to confess that I am very much an engineer, I like to touch, feel, and apply… I leave the metaphors for my intimate world.
In that time, my team and I at Siemens, worked with stereo graphics images from satellites with 3d glasses and silicon graphics workstations, overlaying vector maps in 3d for urban planning and environmental simulation…there were really exciting times.Have a look at this video.
You wrote the “White Paper” of “Best practices in VR Education” for the international VR/AR Association. You are a co-chair of VR/AR Education Committee and speaker in many conferences and workshops about innovation and immersive realities. What are the benefits of XR in education? Do you think that virtual education will have a great impact in 2022 in Spain and in Europe?
This is a question I ask myself year after year. And 5 years have passed since my presentation at the International Conference on Innovation in Education ICERI 2016, Are we ready for disruptive education with VRAR?
After all this time, many hours of investment, effort and evangelization around the world, I see that there is still a long way to go. It is an experience that is sometimes rewarding and sometimes frustrating.
Sometimes I have the feeling that we take two steps forward and one step back. And I keep wondering why. Why do we keep talking about the same things as 5 years ago, repeating the same slogans and set phrases… without too many promises kept?
But the lessons learned should make us reflect, listen more to the user’s needs, their priorities, in short, listen to reality, and not work and theorize about an imaginary or desired reality. This doesn’t work like that, and it’s very similar to what’s coming up with the Metaverse at the current time.
There are experiences, exemplary use cases… but acceptance and implementation take a long time, more than expected. Changes in the educational system require time, and a clear and well-defined value proposition. Beyond slogans about advantages and benefits, what is needed is evidence that supports the use of immersive technologies in the classroom and later, to see opportunities to replicate these successful models. But always from a global perspective, integrating technologies and not observing them in an isolated way. And it is here, for many reasons, that it is worth exploring and analyzing carefully.
How our ecosystem is configured, where we want to go, what are the real needs of the stakeholders, what is the implementation plan, the training plan, the budget and the sustainability plan that guarantees future investments based on results obtained. And this process, in public education, is very complicated to establish, beyond pilot programs, a lot of will, effort and investment.
During the last 20 years, I have had the opportunity to work with a large number of international educational institutions, publishers, governments, etc., assisting them in their digitization processes and the results are seen over time.
The basic pillars are well defined, and if we go down this path, the results, I am completely sure, will exceed expectations.
To support this conviction, I would like to highlight two of the most representative activities that we have carried out this year from ONE Digital Consulting: The VR/AR Train the Trainers program, with the participation of more than 1.000 teachers from all over the world, and the project “Music with the 5 senses” with the Reina Sofia Music School, to bring classical music and values closer to young people from 13 to 17 years old, to schools.
More than 1,000 students from different educational centers in Madrid have already experienced in first person, with a truly outstanding acceptance.
Education and training are the basis of everything, and especially when we want to implement new changes in the society.
The Covid-19 pandemic caused a disruption in education. We have experienced an important adoption of VR and AR in some schools and universities (Università degli Studi di Napoli ‘Parthenope’ and Politecnico of Turin). Someone started to teach in metaverse (Altspace VR, etc.) What are the most important changes we should make in educational strategy and in learning methods?
‘Education is a system; teaching is an action; learning is a process.’ Terry Heick.
Yes, it is true that Covid has had a direct impact on all aspects of our daily lives and, of course, on the educational system. Revealing the great weaknesses that it maintains, the problems of sustainability and technological adaptation, methodologies and responsible adoption of devices, connectivity and accessible content.
It has been a global experience, where the answer has been: save yourself.
In the face of great challenges, small solutions. This has helped certain institutions, or rather I would say, individual evangelizers, have been able to find solutions that would allow virtual access to classes, monitoring and tutoring. And with more or less success, some institutions/teachers have entered the world of collaborative virtual platforms, learning with their students to get the best possible performance and results. Discovering how to apply them, improve performance and maintain contact with students, in the best possible way. And all this, expanding the local ecosystem and having the opportunity to share experiences with teachers and students from all over the world. Something completely unimaginable just two years ago.
I would not dare to call these platforms Metaverse, since they were not born under that architecture or functionality, but they have served to learn to interact in a virtual environment, interact in a community and carry out activities that would have been impossible otherwise.
During these exciting times, some truly pioneering experiences have been developed worldwide, in which I have been lucky enough to actively participate and collaborate. As the first virtual congress of AWE in 2019; the first virtual congress of Educators in VR in Altspace, with thousands of participants from all over the world connected 24-hour online sessions throughout a week; or the experience of ILRN and its virtual platform in Virbela. An authentic global virtual campus, with classrooms, work centers, meeting rooms and experiences, open to Universities and Communities from all over the world.
Now, with the progressive return to the new normal, it is time to carefully analyze what we have learned, and how to apply a hybrid learning model and how to restructure teaching and learning methodologies in this new context.
At this point, many contradictions and discussions between presence and virtuality appear. And this is not the debate.
Generally speaking, Schools and Universities must train us as citizens and future entrepreneurs or employees of organizations in the real world. And this real world is rapidly changing towards collaborative, multidisciplinary, virtual and global organizations. Where their main activities are developed focused on projects, with teams built specifically focused on that project. They start and ends very fast, and rebuilt based on the specific needs of every kind of project. Therefore, presence does not make sense and in many cases, it is expensive and unfeasible, since these multidisciplinary teams are spread all over the world, in addition to not adding value to the client.
Obviously, educational institutions, their leaders and governors, have to be aware of this, or else, the educational system, the years lost and the degrees obtained will not serve to get a job in the digital society, reasons for frustration and drop out.
In this context, the current staff and their role must also be redefined. They must become change agents, intrapreneurs in their organization, and be trained in new methodologies and ways of working that are closer to today’s societies, more digitized and transformed, in order to take on its new challenges and not frustrate students on their way to find work after years of study, effort and sacrifice.
Thus, a redefinition of the educational system at a global level, a methodology review of teaching and learning methods is urgently required. Combining real life experiences, with ethics and essential foundations of philosophy and science.
And why do I say this? Many of the current challenges of the human being have already been raised by the classics, and if we read and listened to them more often, they would help us to solve future situations much better, which have been repeated throughout the history and evolution of man on earth.
Regulation, transparency, and ethics for meta-humans, a challenge for real humans.
What would you suggest to a young person who wants to approach immersive realities?
My personal recommendations would be the same that I make to the students who carry out their internships in our company ONE Digital Consulting center.
First, open your senses well and be willing to get excited and excited by living and experimenting unique experiences. If you’re not going to do something extraordinary, forget it. You better not to try.
Study, read and participate in reference forums and events, which allow you to complement your education and skills, and identify your future road to success. Looking for that space, where your commitment, contribution of value and knowledge, will make you feel that you are doing something truly unique and transcendent.
Do not get carried away by siren songs, bloggers and easy marketing mega trends, there are no shortcuts. Effort, work, study and the network will be your allies. These can be anywhere in the world and you can be one of them.
Study and let yourself be advised by experts, mentors who will help you develop this new career, which requires time and being constantly up to date.
Practice, enjoy and unleash the imagination where no one has gone before. There you will have your reward and it will be excellence.
Immersive realities, is the convergence of several advanced technologies, where you must find the best journey peers to complement your value proposition. You will find them on the net, groups of experts… there are innumerable channels of experts with incredible talent, you must be there.
During the summer of 2021 the metaverse became a buzzword and attracted many brands. What should we expect in the future?
We live in challenging and confusing times. A very harsh reality, where great inequalities appear between countries, cultures, regions… which makes us a much more fragile society than we initially thought. And this has its impact on the economy, personal development, customs, quality of life, and of course on education…etc. You have to be prepared to act and deal with unpredictable situations at all times. Be alert to signs, changes, migrations, pandemics, climate change, new forms of work, coexistence, leisure, communication, and personal relationships. This opens opportunities and in turn, closes doors.
The digital transformation agenda has been disrupted. There will no longer be a beginning and an end. It is a permanent state of adaptation to the social ecosystem that is in permanent transformation.
Although it is true that apparently many of these changes are not visualized, they are perceived as a tsunami, which arrives almost without warning and devastates everything.
The phenomenon of the Metaverse is a clear example of this. Something that everyone talks about, and very few know, understand, and are able to visualize it and materialize it in the future.
But there is no doubt that new business models are being developed, regardless of existing rules and regulations, where winning is the fundamental objective, at any cost. After great phrases, words, and marketing actions, strong trends appear that impose their fashions or part of them. In any case, this would be part of another very dense chapter, and for now, I do not want to go much further. But I am especially interested in some aspects, in particular those related to education.
And education is the basis of everything. Educate in, by, and for.
I recently had the opportunity to host the Metaverse at Education panel at the VRARA Metaverse Summit. “Are we ready for MetaEducation” was a complete success, with more than two hours of debate, 5 speakers, 60% women, and more than 200 online attendees. Here we talk about the current state of the ecosystem, the progress made in these two years, and the impact it was having on the world of education. We reviewed the benefits and barriers, as well as relevant critical aspects, on security, identity, bullying, harassment, equality, etc… a very interesting debate that opens the doors for us to work on these new horizons that are opening up before us and that I have allowed myself to go back into new immersive spaces and define the interrelationships between emotions, expressions and their temporary or ephemeral materialization in micro-universes.
Last but not least, I would love to share my very first experience around what I call “Metaphorical MicroUniverses”.
Last year I received a commission from the Escuela Superior de Música Reina Sofía to record a classical music concert with works by Mozart, Tchaikovsky, and Respighi. In order to make it reach schools, during the pandemic, through immersive virtual reality experiences.
To do this, we recreate 13 unique experiences, around each of the themes of the three musicians. Contextualizing them around an immersive story and narrative, with the story of a luthier, who explained the history of the construction of a violin, until reaching the interpreter who manages to get the best sound out of unique wood.
More than 2,500 hours of work, recorded with 3 360º cameras, many hours recording sessions, ambisonic sound, more than 20 different locations, 3D models and recreations, virtual environments, and their integration into an immersive space, which recreates these “Metaphorical MicroUniverses”, which have already toured several schools in Spain with truly extraordinary success.
An experience that can only be enjoyed from this space in virtual reality, and that is the context where we continue working on new immersive experiences… that will soon see the light.Have a look at this video in YouTube.
Le storie in social VR incontrano Claudio Pacchiega. Se frequentate i mondi immersivi da anni conoscete molto bene il suo avatarSalahzar Stenvaag. Già attivo in Second Life fin dal 2008 con attività di mentoring è noto al grande pubblico come facilitatore di Edu3D.
Ho avuto il piacere d’imbattermi in Salahzar due anni fa in AltspaceVR e, ritrovandolo spesso agli incontri di Pyramid Cafè, ho iniziato ad apprezzare la sua competenza tecnica e disponibilità. Mi ha incuriosito in particolare la sua capacità di mettere in connessione il mondo umanistico con quello tech.
Chi è Claudio Pacchiega
Claudio Pacchiega è un analista programmatore esperto in vari linguaggi di programmazione e in AI ed è diventato per hobby e per passione un divulgatore o facilitatore nei mondi virtuali, founder di Edu3D. Ha una lunga esperienza che sicuramente vi affascinerà, in quanto attraverso la sua storia personale viaggerete nel tempo oltre che nei mondi immersivi.
La storia di Claudio
Scopriamo insieme com’è nato l’amore di Claudio per la realtà virtuale e il social VR. L’ho intervistato per voi.
Quando ti sei approcciato per la primavolta alla realtà immersiva?Quali sono i tuoi ricordi più vivi?
La primissima volta che ho visto la realta’ immersiva credo che fosse da piccolo, quando divoravo tonnellate di libri (all’età di 8 -10 anni), in particolar modo quelli di scienza e di fantascienza. La mia fantasia è cresciuta in modo esponenziale portandomi a pensare a situazioni improbabili o futuribili e da lì fare il passo per cercare di crearne io stesso era breve…
Trascorrevo intere giornate nella mia immaginazione, inventandomi storie e figurandomi come i personaggi potessero interagire in contesti non convenzionali. Sin da quel periodo ricordo distintamente che avevo portato come progetto a scuola l’idea di fare una “Enciclopedia fatta da bambini per i bambini” con il contributo di ciascuno secondo le proprie possibilità. Ancora ho conservato qualche foglio dattiloscritto (ho imparato ad usare la macchina da scrivere quando avevo 11 anni) con una serie di concetti, anticipando credo di decenni la nascita di Wikipedia.
Nell’adolescenza sono anche stato un esperto giocatore di “Dungeons & Dragons”(un sistema di RolePlaying che si giocava con dadi su tabelloni con la ricostruzione di castelli, labirinti e segrete), diventando master (colui che progettava le avventure) per una nutrita compagnia di amici con i quali organizzavamo serate gioco in cui ci inventavamo degli ambienti totalmente virtuali e cercavamo anche di portarli oltre che nei cartelloni da gioco con i soldatini dipinti anche in castelli reali.
Ricordo ancora con entusiasmo le partite giocate dal vero nel Castello di Fenestrelle e poi anche al parco La Mandria di Venaria Reale dove usavamo le biciclette come “destrieri”.
Poi ho fatto varie esperienze di vita più o meno complesse fino a partecipare in maniera attiva ad organizzazioni pacifiste come, ad esempio, Servas.
In quest’associazione si organizzavano ogni anno delle assemblee mondiali che radunavano a volte anche migliaia di associati e le cui spese di organizzazione, volo, pernottamento costavano tantissimo. A quel punto ho visto che esisteva Second Life, eravamo nel 2007 e ho cominciato ad interessarmi a questo mondo per poterlo utilizzare per organizzare incontri mondiali efficaci e ridurre i costi. Ma vedendo che la mia associazione era poco propensa non solo a queste soluzioni avveniristiche, ma anche soltanto all’uso di Internet l’ho abbandonata gradualmente e mi sono tuffato in quest’esperienza virtuale da assoluto outsider individualista.
SecondLife offriva infatti la possibilità a chiunque di poter realizzare, costruire e progettare praticamente qualunque cosa concepibile e anche poter sperimentare rapporti sociali e personali con persone che vivevano in paesi lontanissimi con fusi orari improbabili. Era in pratica un universo sterminato in cui si potevano trovare cose nuove ed interessanti ad ogni login: dai paesaggi mozzafiato a persone interessanti e disponibili in ogni dove e a qualunque ora.
Vivevo pressochè almeno 7 ore al giorno in questo ambiente, di fatto avendo una vita parallela pronunciata e i miei sogni avvenivano per lo più in quanto avatar iperrealistici con avventure iperboliche. Per un certo periodo di tempo è stato qualcosa di molto più reale della mia vita ordinaria quotidiana, che peraltro non era disturbata da questa “schizofrenia”, ma spesso arricchita e le ottime esperienze positive nei mondi virtuali riuscivano ad aiutare anche la “prima” vita, dandomi fiducia in me stesso e la capacità di affrontare meglio le avversità.
Nei mondi virtuali ho assistito allo sbocciare di persone che nella vita reale pensavano di non essere adeguati o insignificanti e che invece in questo ambiente sono riusciti a diventare creatori, artisti, persone interessanti e a costruire progetti personali e collettivi di alto livello. La mia stessa parabola non differisce, da persona timida e incapace di parlare in pubblico ho sviluppato anche grazie alle esperienze virtuali capacità, faccia tosta e competenze che hanno avuto un impatto nella mia realtà personale. Sono anche entrato in contatto con personaggi famosi, studiosi di antropologia come Tom Boelstorff, ma anche, ad esempio, docenti universitari e strutture militari americane che usavano i mondi virtuali per simulare ambientazioni socioeconomiche critiche.
Tom Boestorff, ad esempio, aveva dedicato anni di vita ad esplorare i mondi virtuali, all’inizio SecondLife, ma poi anche altri universi di giochi virtuali collettivi come World Of Warcraft e molte altre piattaforme. La sua tesi principale era che i mondi virtuali non fossero alternative alla “realtà vera” ma autentiche estensioni della vita degli esseri umani (tesi peraltro che negli ultimi due anni è diventata molto realistica a seguito della pandemia).
Durante la fase di novità e scoperta, credo che questo periodo di “droga da mondi virtuali” sia comune a molti che decidono di vivere spesso in modo esclusivo in un universo virtuale autocontentuto ed autoreferenziale.
Ad un certo punto, a partire dal 2013 circa ho ridotto progressivamente l’uso della realtà immersiva fino al momento attuale in cui la uso in maniera estremamente controllata e solo quando ce ne sia effettivamente il bisogno. Ogni cosa va colta nel momento giusto, e soprattutto in modo non estremizzato, lasciandosi sempre aperta la mente per altre opportunità.
In modo particolare ho smesso di occuparmi di SecondLife, in quanto essendo un “prodotto” legato al consumismo ha avuto la grave pecca di riportare all’interno dei mondi virtuali la (brutta) situazione del mondo reale in cui tutto si compra, si vende a prezzi anche non irrisori con la conservazione di quell’ideologia del Capitalismo e della Proprietà Intellettuale che generava disuguaglianze, privilegi, persone VIP, Ricche e Famose, che strideva con il mio ideale che si era strutturato via via verso un’ottica di Condivisione della Conoscenza a titolo gratuito, dell’eguaglianza fra le persone e delle possibilità economiche. Ideali che meglio si potevano concretizzare in altri mondi virtuali e con premesse “Educative” dove con educative si intende l’acquisizione di nuove conoscenze la condivisione di queste con gli altri (vedi oltre).
Chi è Claudio PacchiegaakaSalahzar Stenvaag? Perché hai scelto questo avatar?
Sono un analista programmatore (tradotto lavoro con i computer) in vari linguaggi di programmazione fra cui spicca Java, Scala, Python. Mi sono sempre interessato all’informatica e alle possibilità di amplificazione delle capacità umane offerte dai computer e da Internet. Ho però anche studiato la parte umanistica dando esami di Filosofia, Geografia Umana e mi sono interessato a problemi di antropologia, psicologia e linguistica.
Ultimamente sto lavorando molto nel campo dell’Intelligenza Artificiale, dell’analisi del testo attraverso Reti Neurali Profonde. L’attività nei mondi virtuali l’ho visto progressivamente come hobby e passione da abbinare al mio lavoro nei momenti di svago, sufficientemente distante dall’attività giornaliera, che mi consente di aiutare gli altri e di costruire insieme progetti comunità e risultati di forte qualità. Inoltre ciò mi ha dato il lessico per poter parlare con ragazzi e persone di altre generazioni, rendendomi meno rigido e di aperte vedute.
Il fatto di essere diventato un divulgatore o facilitatore nei mondi virtuali e specialmente usando la voce, anche questo è quasi casuale. Il tutto è legato al fatto che una volta mentre mi stavo appassionando, spiegando a voce un concetto in un’area pubblica, alcuni amici mi hanno sentito e mi hanno convinto che fosse un vero peccato non sfruttare quel dono, facendo degli incontri e dei corsi a voce (in quel momento le lezioni si svolgevano per lo più via chat ed in modo scritto). Notavano infatti come la mia voce, il tono e il modo che avevo di raccontare le cose fosse profondamente coinvolgente ed empatico e meritava di essere messo a frutto senza timidezze. E offrire alle persone dei percorsi di autoformazione e dotarsi di obiettivi nei mondi virtuali era qualcosa di utile e necessario.. Come dicevo nella risposta precedente, dopo pochi mesi di libero vagare nel mondo virtuale le persone che utilizzavano i mondi virtuali solo per puro divertimento, potevano facilmente disamorarsi e annoiarsi, e che fosse consigliabile che ognuno si proponesse uno scopo e/o un progetto creativo da realizzare. Anche banale come ad esempio creare una opera d’arte personale. Utilizzare i mondi virtuali da mero utente toglieva almeno il 70% della bellezza di questi ambienti relegandoli a semplice passatempo (nulla di male in questo, ma esistono infiniti altri passatempi più interessanti). Introdurre invece un elemento progettuale anche su obiettivi semplici e non accademici consente invece di costruire una rete sociale che rimane incisa nella storia.
Al momento dell’ingresso nei mondi virtuali ero però reduce da anni di riunioni, incontri con Skype che duravano ore, problemi e confronti con i rappresentanti della comunità Servas in Italia, il cui obiettivo era spesso quello di creare zizzania, litigare e di non arrivare a risultati condivisi, per questo avevo maturato una sorta di diffidenza verso le comunità italiane piene di pettegolezzi e di inutili ‘drama‘. Per questo motivo quando sono entrato in SeconfLife e ho dovuto scegliermi un nome ho scelto il nome fra quelli proposti che rendesse meno probabile affiancarmi ad un italiano. Salahzar era un nick che usavo già da qualche anno pubblicando blog di fotografie e poesie sugli ambienti dell’epoca. Il nome originario avrebbe dovuto essere Salazar e doveva essere il nome del 4° re magio, personaggio fittizio che però rappresentava un personaggio outsider, fuori dagli schemi, la h l’avevo aggiunta perchè di Salazar ne esistevano già troppi, mentre Stenvaag era un cognome fra quelli nella rosa delle scelte che tutto sembrava fuorchè italiano. Presto, vagando per SecondLife, ho assunto le sembianze di una specie di pirata con bandana, capelli spettinati, vestito medievale e mantello, che pensavo mi rappresentasse adeguatamente. Di fatto questo avatar non l’ho più cambiato anche dopo anni in SL, e mi sono un po’ rifiutato di dedicare tantissimo tempo a curare il mio aspetto, cosa che rischiava da sola di occupare intere giornate oltre a costare decisamente diversi Euro.
Pertanto anche ora il mio aspetto è diventato abbastanza casuale, anche se nel mondo di Vircadia, partendo da una foto, qualche allievo mi ha costruito un avatar relativamente somigliante al mondo reale (in meglio ovviamente come sempre accade in questi casi).
Da informatico che cosa hai trovato di utilesia per i tuoicolleghi più tecnici sia per newbies?
Le due parti che possono generare interesse in un tecnico sono:
la parte di resa grafica degli oggetti tridimensionali, dei colori delle ambientazioni
la parte di scripting, la capacità cioè di fare in modo che i modelli 3d inseriti nei mondi virtuali siano in grado di reagire a stimoli interattivi (al tocco, all’avvicinarsi di avatar o a logiche particolari) o comunque di generare situazioni dinamiche e di movimento, cosa che effettivamente e specialmente se esperite da un visore VR consentono di vivere veramente un mondo virtuale, distinguendolo da un semplice paesaggio di natura morta.
Questa capacità di far vivere muovere, parlare e rispondere a quanto accade attorno a loro agli oggetti aggiunge quel carattere di realtà, di sorpresa e di meraviglia che consente di sfruttare al meglio questi mondi sia dal punto di vista artistico che educativo e anche per quanto riguarda la creazione di incontri e dibattiti. Per quanto riguarda la costruzione 3d SecondLife è iniziata, partendo da una costruzione degli oggetti detta “a prim” che consentiva di agire a chiunque non avesse nessuna competenza grafica. Il metodo costruttivo si chiamava “prim torture” per la capacità di ottenere forme complesse partendo da forme banali. Ricordo ancora in SecondLife delle gare di costruzione in cui si dovevano costruire in tempo reale e in pochi minuti strutture complesse come un cane, una casa o altro, eventi che prendevano il nome di primtionary.
Parlando di esperienze vivide infatti ricordo ancora l’emozione quando ho visto per la prima volta in un video in inglese come da un cilindro, una ragazza faceva vedere in pochi minuti come si potesse costruire una casa e dei ponti sull’acqua oppure come costruire un tavolino partendo da un prim. Vedere questo genere di tutorial ha condizionato come vedrete la mia esperienza virtuale successiva. E la prima idea di costruire video tutorial.
Purtroppo questo modo di costruire esiste solo in SL e non può essere utilizzato in altri mondi virtuali, per cui ben presto non appena è stato possibile ci siamo concentrati sulla possibilità costruttiva offerta da Blender un programma pass partout gratuito opensource che fin dalle origini ha consentito di produrre materiale per SecondLife (all’inizio soltanto come sculpted prim) e in seguito in maniera coerente e standard con altre architetture come quelle in uso attualmente (AltSpaceVR, VRChat, Sansar, Vircadia etc).
Per quanto riguarda lo scripting invece, ad esempio, una delle cose che interessava sempre le persone erano gli script interattivi al tocco. Risultavano utilissimi per attività di gestione delle riunioni e degli incontri: gli script tenevano conto degli interventi in una riunione, delle presenze, tavole che si allargavano automaticamente per far accomodare avatar che arrivavano oppure ancora i famosi script per cui ero diventato noto in SL fin da subito per costruire delle lavagne in cui rappresentare testualmente appunti e annotazioni che consentivano ad esempio di utilizzare lingue diverse dall’inglese. Oppure uno script che consentiva di realizzare Wiki 3D con nodi 3d rappresentati da nodi per una rappresentazione di mappe concettuali cooperative.
Mi hai raccontato delle tue esperienze in Second Life soprattutto nella realtà Vulcano come mentor. Com’è nata l’idea e come si è sviluppata?
Qui è un po’ più complesso. Andiamo con ordine per non mischiare le varie cose e scusate la dissertazione storica virtuale che copre il periodo 2007-2011 circa (ve l’ho detto che mi piace anche la Storia?):
1. Mentori in SL. In SecondLife nel 2008 c’era una community gestita dalla Linden Lab (Società che aveva creato SL), che formava persone che volontariamente davano assistenza ai newbie che erano appena entrati nel “gioco”. Questo ruolo denominato “Mentor” era un “lavoro” praticamente a tempo pieno in cui cercavamo di risolvere tutti i problemi delle persone che cercavano di utilizzare la piattaforma e avevano problemi. Per entrare occorreva fare un corso relativamente impegnativo con lezioni in DaD diremmo oggi, valutazione, prove sul campo etc.
Niente di semplice insomma, occorreva essere fortemente motivati, ma era considerato un ruolo prestigioso che dava apparentemene alcuni privilegi, primo fra tutti essere in contatto diretto con gli dei che avevano progettato il mondo. Per esempio in quanto Mentore io ho partecipato in prima persona alla traduzione del viewer in lingua italiana. Ad un certo punto la Linden ha sospeso il programma di mentoring per cui si è ingenerato molto caos e diversi ex-mentori si sono costituiti in associazioni locali e private (ad esempio i mentori italiani) su base volontaria oppure appoggiati a land finanziate da “imprenditori” virtuali che cercavano di condizionare i newbie a frequentare le loro isole. Una delle attività dei mentori era anche di organizzare dei corsi per usare la piattaforma.
2. ALI Accademia delle Land Italiane. Nel 2008 io insieme ad altre persone formatori attivi in SL avevamo costituito una prima alternativa locale per aiutare gli italiani attraverso dei corsi. Esistevano associazioni simili in lingua inglese sviluppate da volontari in altri angoli di SL, ma erano spesso un po’ rigide e con protocolli interni abbastanza complessi. ALI nasceva da una idea di comunità leggera, che sarà poi il cavallo di battaglia delle mie iniziative future. Il nome derivava dalla presenza di un catalogo delle land Italiane, organizzato e gestito da OpenSource Obscure, che cercava di censire le land Italiane. ALI cercava di dare a queste land la possibilità di avere dei volontari mentor che aiutassero gli italiani nei loro problemi di uso della piattaforma.Questa prima associazione organizzava corsi di building, di scripting su base settimanale.
3. Vulcano. Vulcano ha avuto una storia complessa ed intrigante. Nata per caso a seguito del fatto che Grillo in quel periodo era entrato in SL e aveva scritto un articolo a proposito di una mitica isola chiamata Vulcano. Dato che esisteva un’isola con quel nome molte persone si sono incontrate in quella sim e hanno dato luogo a questo interessante esperimento di autogestione di una risorsa virtuale. Purtroppo quest’esperienza non è finita nel modo migliore, ma ha lanciato una modalità di gestire il metaverso che prima era sconosciuta, legata alla cooperazione, alla libera iniziativa e capacità di autoregolamentazione individuale.
Ha condotto, ad esempio, alla costruzione di una sorta di “senato” organizzativo che redigeva un manifesto di mutua coesistenza civile, regolamentando le costruzioni e gestendo le “spese” che alla fine erano denaro sonante da consegnare mensilmente alla Linden per l’affitto del luogo virtuale (all’epoca si parlava di 300-500 euro al mese).
Pur essendoci una gerarchia sociale non banale in Vulcano non esisteva la figura del Mentore, ma piuttosto una serie di Helper che aiutavano e controllavano che tutto si svolgesse correttamente. Io in particolare non ho mai svolto la funziona di Helper in Vulcano, ma avevo partecipato ad alcune sessioni di questo “senato” che poi erano incontri liberi e aperti a tutti. Ognuno poteva partecipare in Vulcano, presentando un progetto di carattere non privato (era vietato, ad esempio, costruire case e abitazioni) e poteva disporre di un patrimonio gratuito di 50 prim o di 150 prim se presentava un progetto.
“””Detta in assoluta sintesi, il senso di chi si avvicina a Vulcano è quello di essere libero di realizzare i propri progetti completamente originali potendo creare cooperativamente delle installazioni e soprattutto sperimentare queste “creazioni” in una comunità di pari. Ognuno può utilizzare fino a 50 prim senza particolari formalità, può fare un progetto con circa 150 prim inserendo un manifesto di presentazione del progetto. E comunque collaborare alla vita della Comunity in modo tollerante ed integrato. Non ci sono capi e le decisioni vengono prese in modo comunitario attraverso riunioni periodiche e il sito internet openvulvano.wikispaces.com.”””
4. PyramidCafè. Era uno dei tanti progetti in Vulcano, creato da Francesco Spadafina (MagicFlute) e da altri. Intendeva aggregare i vari costruttori anarchici di Vulcano, cercando di dare loro la possibilità di avere una vita sociale rappresentata inizialmente dal Cafè dove i vari lavoranti potevano incontrarsi per discutere e confrontarsi in modo libero ed eventualmente progettare nuovi lavori insieme.
Ricordiamo che Vulcano si basava su progetti ed esperienze spesso individuali o comunque scarsamente comunicanti. Pyramid aggregava persone con l’idea di creare eventi a carattere sia informativo, che anche educativo. Ero stato contattato da Magic per portare l’esperienza che avevo iniziato in ALI, all’interno di Vulcano. Ero poi diventato e lo sono tuttora un owner di PyramidCafè. L’idea era che Pyramid fosse un gruppo di persone il cui intento era quello di condividere la conoscenza attraverso eventi ed occasioni di incontro. Nel tempo Pyramid aveva gestito e organizzato eventi sui più disparati temi come, ad esempio, valute sintetiche e virtuali, Internet delle Cose, interviste ad antropologi Italiani come Mario Gerosa (giornalista che si è occupato spesso di temi legati ai mondi virtuali) ecc.
Ti ho conosciuto per la tua attività su EDU3d. Perché è nata questa comunità di praticae con quale finalità?
A partire dal 2011 ho cominciato a collaborare con INDIRE (ente del Ministero dell’istruzione Italiana), che aveva deciso di investire nella creazione di un universo virtuale molto simile a SL, ma utilizzando tecnologie opensource, la piattaforma OpenSim.
L’universo virtuale (nel gergo chiamato GRID) costruito era destinato esclusivamente ad insegnanti e alle loro classi e si chiama (esiste tuttora) Edmondo. In questa grid venivano erogati dei corsi di alfabetizzazione ai mondi virtuali e per alcuni di questi ero stato contattato per organizzare e gestire corsi di building e di scripting. La mia attività in quella piattaforma si è svolta fino agli anni 2017- 2018. Successivamente INDIRE ha preferito gestire in modo autonomo le formazioni agli insegnanti e soprattutto pare che si sia indirizzata ad altri filoni di realtà virtuale per bambini (Minecraft) con una collaborazione con Microsoft.
Sempre in quel periodo sono entrato direttamente in contatto con la grid italiana di OpenSim, inizialmente Cyberlandia, successivamente l’attività si era trasferita in Craft, come efficacemente spiegato da Licu (Raffaele Macis) in un’intervista. Insieme ad alcuni amici toscani e simpatizzanti in SL fondammo un gruppo di lavoro denominato OSITA (OpenSim ITA) in cui ci proponevamo di aiutare le persone ad utilizzare OpenSim, e soprattutto cercavamo di confezionare OpenSim in un modo tale da poter essere utilizzato come Kit didattico nelle scuole. OSITA è presto confluita in PYRAMIDOSITA, cogestendo quest’iniziativa con Pyramid.
Nel frattempo, essendo venuti in contatto con molti insegnanti e volontari, avevamo deciso che l’esperienza di Edmondo poteva essere resa meno rigida e meno legata alle scadenze e ai finanziamenti ministeriali e offerta in termini di puro volontariato all’interno della grid CRAFT, con la collaborazione diretta con Raffaele Macis con un programma liberamente scelto sulla base delle necessità didattiche delle persone interessate. Fu così che insieme con Giliola Giurgola fondammo Edu3D che via via è diventato una fucina sempre crescente soprattutto di corsi su Blender, di scripting e in generale di “sopravvivenza nei mondi virtuali“, ma anche disquisizioni di matematica, poesia, corsi sul pensiero laterale, progettazione e costruzione di Escape Room.
Devo ringraziare parecchi volontari fra i quali, ad esempio, Eva Kraai e Michelangelo Tricarico con cui abbiamo organizzato parecchi corsi e continuiamo a farlo con un calendario spesso fitto di eventi. I corsi non si sono limitati a OpenSim, ma negli ultimi anni abbiamo fatto parecchio sui nuovi mondi in realtà virtuale (Mozilla HUBS, AltSpaceVR, VRChat, Vircadia).
I partecipanti hanno apprezzato il carattere pragmatico e “laboratoriale” tipico dei nostri corsi, nei quali cerchiamo di dare gli strumenti metodologici sperando di costruire una buona comunità di pratica, vale a dire una community in cui non ci sono insegnanti, ma facilitatori ed amici che stimolano vicendevolmente i partecipanti nelle attività da fare e si cerca di affrontare argomenti anche ignoti in modo cooperativo. In questo senso si usa pesantemente anche una metodologia di classe capovolta che prevede che il programma stesso venga approfondito dagli stessi partecipanti che quindi sono posti in un’ottica di partecipazione attiva in cui loro stessi ricercano le informazioni e partecipano coadiuvando il facilitatore del corso, scambiandosi trucchi e suggerimenti ed utilizzando anche Facebook, Google classroom o altri sistemi comunicativi.
Edu3d non si propone in modo istituzionalizzato, ma come incontro fra amici che vogliono approfondire un argomento tecnico, scambiandosi e rendendo pubblici le ricette, gli strumenti e il meccanismo d’uso degli stessi attraverso tutorial, video, schede riassuntive, consigli e stimolandosi l’un l’altro vedendo cosa viene fatto dai vari partecipanti.
Voi di EDU3d vi ponete non tanto come docenti, quanto più come facilitatori che accompagnano e supportano gratuitamente in esperienze in varie piattaforme. Quali percorsi ti senti di suggerire per iniziare i primi passi nel social VR e costruire mondi?
Esattamente, a me non piace per nulla essere considerato un professore onnisciente, ma al massimo come una persona che aiuta e stimola. Il percorso principale devono svolgerlo i partecipanti, seguendo i loro ritmi e le loro necessità. Ognuno ha un’agenda differente e non esiste un modo di spiegare che vada bene a tutti. La cosa principale è che chi voglia fare qualcosa nei mondi virtuali, ma ritenga di essere ignorante o di non avere gli strumenti, inizi cercando di capire bene dove vuole arrivare e come gestire il proprio tempo, facendosi aiutare, ma anche aiutando gli altri. Non fa parte del nostro DNA, in quanto in Edu3d non disideriamo incontrare persone che vogliano solo sfruttare i nostri corsi senza dare niente in cambio alla collettività collaborando e mettendo a disposizione di tutti competenze e conoscenze che non sono ovvie. Non ci interessano persone che si limitino ad ostentare quanto sanno fare senza spiegare in modo chiaro come lo hanno fatto o che lo fanno per un fine esplicito di lucro.
Se mi chiedi un percorso da cui possono partire persone interessate a queste tematiche direi che dipende un po’ come dicevo dai loro obiettivi e dagli strumenti tecnologici che intendono utilizzare. Noi offriamo dei percorsi e cerchiamo di individuare i punti di contatto fra tutti. Chi vuole contattarci ci trova facilmente su Facebook nei gruppi Edu3d, Edu3d Blender, Edu3d VR.
Quasi tutti i nostri percorsi passano attraverso Blender, perchè rappresenta un po’ l’ABC per tutte le costruzioni virtuali. Quindi è fondamentale imparare ad usare Blender, magari non ad un livello complesso, ma sufficiente per fare cose elementari come, ad esempio, delle monete o dei semplici pupazzi animati. Avevo fatto un paio di anni fa un corso cosiddetto LowPoli che consentiva di fare oggetti in modo molto stilizzato e in pochissimo tempo. Poi se volete dedicarvi ad AltSpaceVR, oppure a VRChat oppure se volete programmare i visori di realtà virtuale o anche i Google Cardboard dovete avere competenze di Unity.
Se volete invece la soluzione è più “facile” e consolidata e sperimentata da anni in varie scuole italiane potete imparare ad usare OpenSim ed entrate nella Grid Craft, dove trovate una community di persone che vi possono aiutare. Non solo Edu3d, ma anche altre realtà di volontari e anche ad esempio MdM, il museo del Metaverso. Sempre una soluzione semplice ed immediata è offerta da Mozilla Hubs oppure da FrameVR.
Per chi vuole invece una soluzione ricca ed articolata che contempla sia i visori che un accesso dal PC, il corso di Vircadia che stiamo tenendo direi che è fortemente indicato. Vi consentirà di creare e scriptare costruzioni 3d, manichini, avatar etc.. di alta qualità in modo relativamente facile. Ma dovete anche avere un pc abbastanza serio, no quindi a pc vecchissimi o privi di scheda grafica.
In realtà è difficile dire a priori quale sia il percorso più adatto, perché occorre verificare caso per caso. Noi in Edu3d abbiamo affrontato non dico tutti quelli possibili, ma buona parte. Abbiamo anche esplorato soluzioni con minecraft o con minetest, utili, ad esempio, a scuola con i bambini.
A questo proposito ho notato che da parte di molti vi è un pregiudizio estetico verso le piattaforme con avatar grossolani come peraltro è ad esempio Altspacevr. C’è da dire però che diversi percorsi non hanno minimamente bisogno di avere una grafica iperrealistica e anzi il fatto di ridurre le pretese a modelli LowPoli spesso li rende molto più facili da realizzare e da gestire e quindi fattibili.
Alcune università stanno sperimentando nuovi corsi in VR ed in mondi immersivi di social VR. Dal momento che sei uno sperimentatore da anni quali sono le piattaforme più indicate al settore edutainment e formazione a tuo parere?
La principale premessa che vorrei fare è che il mondo VR, al momento attuale perlomeno della sua evoluzione, non è adatto nè raccomandabile per eseguire dei corsi full-immersion di lunga durata. Non credo, ad esempio, che sia una buona idea organizzare un intero corso universitario (8h al giorno per 5 gg alla settimana) interamente su piattaforma VR.
Il peso degli attuali visori infatti produce alla lunga, ma in alcuni casi bastano anche solo 5 minuti, dei disagi abbastanza gravi a molte persone. Un’iniziativa in VR deve essere ristretta in un tempo molto limitato non più di due ore continuative, meglio meno. Si dovrebbero utilizzare questo tipo di esperienze in casi abbastanza particolari quando si vuole dare un’impressione realistica molto forte, ma non bisogna abusarne.
Anche l’immersività via PC senza visore non dovrebbe essere intesa come esclusiva. L’accesso a mondi via pc come OpenSim, Vircadia, SecondLife etc, consente di usarli per un tempo maggiore, per esempio anche 3-4 ore, o perfino tutto il giorno, ma in generale non raccomanderei un uso esclusivo per giorni o settimane. Gli incontri di questo tipo devono essere intervallati da altri sistemi, se possibile in presenza diretta, altrimenti utilizzando altri strumenti di condivisione schermo o di teleconferenza come Zoom o altri.
Fra le piattaforme più semplici da usare in VR ritengo che le migliori siano quelle multipurpose come AltSpace, Mozilla HUBS, Vircadia, VRChat. Darei sempre la priorità a progetti OpenSource anzichè i progetti proprietari, perchè proprio nel mondo di Realtà Virtuale e simili, si è già visto diverse volte che imprese private che avevano fatto ottimi prodotti sono scomparsi dalla sera alla mattina oppure hanno cominciato a chiedere una fee per l’uso dei prodotti che è difficilmente compatibile con un uso educativo nelle scuole e università dove i finanziamenti sono spesso insufficienti o totalmente assenti.
Si parla molto di metaverso in questi ultimi mesi, ma c’è molta confusione. Ci dai una tua definizione? Dove muovere i primi passi?
Esiste confusione perchè, come spesso accade, questo è diventato all’improvviso un Hype e cioè una parola usata soltanto per scopi commerciali. Si chiama con un nome nuovo (peraltro in realtà esistente da più di 15 anni) qualcosa di fumoso su cui si vuole in primo luogo recuperare i soldi investiti negli ultimi 7 anni. Il metaverso esiste almeno in maniera compiuta dal 2003 (SecondLife nasce in quel momento) ed è definito come un luogo virtuale gestito direttamente dagli utenti senza una finalità inserita artificiosamente dall’esterno.
Ora vedo che con il termine Metaverso si sta cominciando ad indicare un mondo virtuale basato su concetti esplicitamente finanziari, ad esempio sulla moneta tipo bitcoin o blockchain. In questo universo si stanno cominciando a gestire transazioni finanziarie legate ad opere d’ “arte” come la nave messa in vendita su Sandbox venduta per 650000 $.
Nave in vendita in Sandbox
Opera che per noi “veterani” dei mondi virtuali appare di qualità abbastanza scadente. In questi stessi mondi virtuali stanno cercando di reintrodurre il concetto di ambiente esclusivo “per pochi eletti”, e, ad esempio, il mondo Facebook Horizon (ora forse Meta Horizon), è attualmente disponibile solo in US e Canada, ed è stato disponibile solo ad invito negli ultimi 2 anni e mai accessibile dall’Italia (Ma dalla Tanzania si ad esempio).
Si stanno proponendo anche dei “pass” per poter entrare in alcune parti VIP di questi mondi, ad esempio nel già citato mondo Sandbox diverse aree sono accessibili solo comprando un “pass” che costa ben 1500 $. Ora se hai fatto caso a quanto ho detto prima a proposito del mondo capitalistico che SecondLife aveva cercato di istituire capirete perchè mi pare che questa nuova tendenza sia sempre più assurda. Purtroppo nel momento in cui dovesse fallire c’è il rischio che l’intero universo dei mondi virtuali potrebbe tornare nel dimenticatoio per altri 10 anni come era successo con l’hype equivalente che era nato attorno a SecondLife nel 2007 e 2008.
Se volete sapere cosa sia veramente il metaverso io mi accontento della definizione che ne dà Wikipedia in inglese con una mia piccola aggiunta. Notate cosa dice a proposito dell’Hype:
Il metaverso è la prossima generazione di Internet, che supporta ambienti virtuali persistenti 3D online, utilizzando i PC convenzionali, oppure i visori realtà virtuale e aumentata.[[ mia aggiunta: Nel metaverso è possibile interagire direttamente con l’ambiente E con gli altri utenti. ]]
Aspetti del Metaverso sono già stati implementati in piattaforme di mondi virtuali come Second Life. Alcune prossime generazioni del metaverso coinvolgono l’integrazione tra spazi virtuali e fisici ed economie virtuali.
Il termine “metaverso” ha le sue origini nel romanzo di fantascienza Snow Crash del 1992 come portmanteau di “meta” e “universo”. Da allora ha guadagnato notorietà come una parola d’ordine per la promozione, e come un modo per generare hype per scopi di pubbliche relazioni, facendo affermazioni vaghe per progetti futuri.
Le storie in social VR incontrano Afredo Peluso, aka ‘alfryalfa’. Chi si cela dietro al suo avatar? Scoprirete a poco a poco il suo personaggio come ho fatto io in questi ultimi due anni, frequentando gli incontri di Pyramid Cafè e le serate cinema nel mondo da lui creato. Ho avuto l’occasione di conoscere molte persone che lavorano ed interagiscono nei mondi immersivi che non sono tecnici, nerd e gamer.
Curiosi ed appassionati che affiancano al loro lavoro di tutti i giorni il desiderio di ampliare le loro competenze, di esplorare nuovi mondi, anzi di costruirli a loro immagine e somiglianza. Un universo in cammino verso il lifelong learning e il metaverso.
Chi è Alfredo Peluso
Alfredo Peluso si definisce un ‘patito di tecnologia’. In realtà nasce come geometra e lavora alle Poste Italiane, ma, accanto al suo lavoro ufficiale, si dedica con competenza alla costruzione di mondi in social VR che realizza con grande passione e fantasia.
La storia di Alfredo
Scopriamo insieme com’è nato l’amore di Alfredo per la realtà virtuale e il social VR. L’ho intervistato per voi.
Alfredo alla sua scrivania
Quando sei entrato nella social VR? Raccontaci i primi momenti e lemotivazioni che ti hanno convinto
Il mio primo approccio in VR risale al 2016. Avvenne per caso in una concessionaria “Mini” dove mi fu regalato un cardboard (contenitore di cartone con due lenti dove s’inseriva lo smartphone per poterlo utilizzare). La prima app Android che installai era una simulazione di montagne russe a 360°, dopodichè passai a dei visori in plastica rigida sempre per smartphone, sperimentando altre mini app fino ad acquistare nel 2019 l’Oculus Go e infine l’attuale Quest 2 che hanno alzato di molto l’asticella.
I primi visori
Il motivo che mi ha convinto ad entrare nel mondo del VR fin dal principio è stata quella sensazione di benessere e di distacco provvisorio dal mondo reale che ogni tanto serve per non pensare alle cose brutte che succedono al di fuori.
Perché hai scelto il nickname ‘alfryalfa’?
Mi fu dato il nickname “alfryalfa” da amici molto prima del VR, poichè sin da piccolo ero una specie d’inventore e modificavo qualsiasi cosa sia a livello elettronico che meccanico e quindi unirono il mio nome “accorciato” alla parola “alfa”. A parer loro ero e sono tutt’ora l’alfa delle modifiche, quando in realtà sono un normalissimo e umilissimo Alfredo 🙂
Qual èla tua attività principalee come pensi chele esperienzein VR possano essere utili?
Utilizzo la VR principalmente per app social , soprattutto con “AltspaceVR” che, oltre avermi fatto conoscere tante belle persone inclusa te, Francesco Spadafina, Petra Skachova, Enrico Ciliberti e molti altri (non è una sviolinata), mi ha ispirato a creare per la prima volta dei mondi in 3D con l’intento di avere dei punti fissi di ritrovo .
Uno fra tutti il Cinema che nel periodo di lockdown credo sia stato molto utile per far sentire la gente meno sola.
Al cinema in AltspaceVR
Faccio anche altri utilizzi come, ad esempio, visitare dei luoghi virtualmente prima di intraprendere dei viaggi (con Wander) e fare un pò di allenamento con app e giochi sportivi (Beat Saber, Ping pong, Fit xr, The climb, Boxe, ecc.).
L’utilità che spero prevalga oltre a quella social è nel campo lavorativo. Mi aspetto che nel prossimo step tecnologico si possa lavorare anche con dei robot comandati a distanza in modo che la pazienza del robot rimane invariata versoqualsiasi tipo di umano gli capiti di fronte (questo è più che altro un mio desiderio dato che lavoro in ufficio postale ahah).
Come riuscire a coinvolgere i giovani ad entrare in social VR ed ad adottare la VR non solo in ottica gaming? Pensiamo ai concerti, alla creazione di mondi per il business, ecc.
Per coinvolgere più giovani (e non solo) al mondo VR tenderei a pubblicizzarlo di più sia in Tv che su Internet in generale, ma soprattutto tramite dei locali dedicati sparsi in tutte le regioni. Credo che con l’esperienza in prima persona i visori si diffonderebbero dappertutto in un attimo.
La creazione di eventi in diretta tipo concerti, partite, cinema dove una persona non può andarci fisicamente secondo me attirerebbe di molto la loro attenzione.
Ormai sei diventato un esperto nella creazone di mondi in Altspace VR. E’ la piattaforma che preferisci e hai avuto esperienze anche in altre come Mozilla Hubs, ecc?
Prima di Altspace VR ho utilizzato Rec Room e VRChat (a mio parere più per adolescenti) e Horizon Venus (app di eventi un pò statica e limitata). Al momento, in attesa di vedere Horizon Worlds la mia favorita rimane Altspace sia per la varietà di mondi da visitare e sia per la gente (più matura) che ne fa utilizzo.
Quale dei tuoi mondi creati di recente preferisci e perché?
Il mondo che preferisco di più tra quelli che ho fatto è il “mega campfire with traslator” iniziato due mesi fa nel giorno in cui è venuto a mancare un mio caro zio, una specie di paradiso dedicato a lui dove, dopo ore ed ore di lavoro, son riuscito a mettere la sua immagine trasparente tra le stelle.
Grazie a quest’illusione chiamata Vr per lo meno posso andarlo a trovare quasi ogni sera. A parte questo lato (un pò personale) ha una funzione sperimentale molto utile per abbattere le barriere linguistiche, cioè un traduttore con didascalie in tempo reale che in pochissimo tempo ha attratto quasi 4000 persone e ne conta quasi 300 che lo hanno salvato tra i preferiti. Spero tanto che questa funzione si diffonda in tutti i mondi e in tutte le app social così che saremo tutti dello stesso mondo.
Alfredo con alcuni della community Meta Oculus Community Italy
Quali sviluppi potrà avereil metaverso a tuoparere?Se ne parla molto, ma in realtà si dice tutto e il contrario di tutto.
Secondo me il metaverso può avere dei risvolti positivi solo se viene ben strutturato e regolato per creare soprattutto posti di lavoro e rendere gli stessi più divertenti da svolgere e quindi più rimunerativi. Son fiducioso solo per questo aspetto e un pò meno per gli altri, perché la VR è un di più che non sostituisce e non dovrà mai sostituire la realtà.
Le storie in XR incontrano un esperto di tecnologia, Stefano Antonioni. Ci siamo conosciutialcuni anni fa su Facebooke da allora è nato uno scambio costruttivo di esperienze e di informazioni. Lo scorso giugno ho risposto ad un post che aveva pubblicato su FB con l’invito ai suoi contatti ad organizzare una call per conoscersi meglio. In effetti sui social nascono amicizie, collaborazioni e scambi di competenze spesso solo a distanza, senza approfondire mai.
Una lunga chiacchierata ci ha permesso di far incontrare i nostri mondi: più narrativo e marketing il mio ed altamente tecnico il suo. Ho apprezzato la sua competenza e la sua costante passione per la tecnologia. La curiosità verso la VR ci ha unito.
Chi è Stefano Antonioni
Stefano Antonioni è responsabile senior delle tecnologie presso Engenie Group. Nasce come programatore e si occupa di informatica sin dal lontano 1979. Ha assistito a tutto il processo di innovazione che ha caratterizzato il mondo dei PC, acquisendo esperienza sia nell’uso dei vari sistemi operativi sia nell’assemblaggio di PC ed esperienza sistemistica su molte piattaforme hardware / software.
La storia di Stefano
Scopriamo insieme com’è nata la passione di Stefano per la realtà virtuale. L’ho intervistato per voi.
Foto profilo di Stefano
Ciao Stefano, quando hai indossato il tuo primo visore?
Credo sia stato verso la prima metà degli anni ’90 del secolo scorso. Non ricordo quale visore fosse. Ma ricordo molto bene che era una cosa pesantissima e che era collegato ad una Workstation Silicon Graphics: una Crimson Reality Engine. Aggiungo anche un dettaglio interessante: indossai anche un prototipo di Data Glove, ossia di un guanto che permetteva di interagire con l’uso delle mani con l’interfaccia grafica che appariva nel visore.
Ricordi le tue sensazioni? Hai sofferto di sick motion? Con i modelli più vecchi era molto comune.
Ricordo di aver fatto una “passeggiata” in Piazza S. Pietro, Città del Vaticano. In una seconda occasione, invece, mi trovavo all’interno di un’aereo da guerra, credo un Lockheed Starfighter. Soprattutto questa seconda esperienza l’ho fatta grazie ad un amico e collega che installò una postazione di quelle che ho indicato prima. Stavo lavorando, in quel periodo, per un’azienda che si occupava di fare sperimentazione e ricerca per l’Esercito Italiano. Le mie sensazioni? Ero emozionato all’inverosimile. Anche se la grafica, rispetto a quella odierna, era a quadrettoni, l’immersività era già di grande impatto. Quelle due esperienze durarono circa mezz’ora ciascuna. Non ebbi nessun problema di sick motion, curiosamente. Dopo quell’esperienza, ben 18 anni di buco, fino a quando non ho acquistato il primo kit di Sviluppo di Oculus, il DK1, che ho ancora in armadio. In quel caso, con l’esperienza che veniva data come demo, “Tuscany”, ebbene dopo neanche cinque minuti, ci mancò poco che svenissi per colpa del sick motion.
Perché ti sei avvicinato all’XR? Nasci come programmatore ed eri incuriosito?
Mi sono avvicinato a questa tecnologia per una semplice ragione. Sono nato appassionato di tecnologia. E sono una persona molto curiosa. Mio padre ha incoraggiato e spinto questa mia curiosità, regalandomi all’età di 10 anni il mio primo microcomputer. Nello specifico, già dal primo impatto vidi nella VR uno strumento evoluto che avrebbe permesso modi diversi ed innovativi per interagire coi propri computer. Come programmatore, purtroppo vidi subito quanto era complesso riuscire a sviluppare software per tale tecnologia. Questo per almeno due ragioni: l’hardware su cui girava la VR era costosissimo. Mi ricordo che spesi quasi 15 milioni di vecchie lire per poter comprare una Silicon Graphics usata.
E poi, il linguaggio di programmazione ed i motori 3D, oltre ad essere difficili da studiare, non erano gratuiti. Neanche disponibili a prezzo ridotto per chi voleva usarli solo a scopo accademico. Purtroppo quelle esperienze, almeno per il momento, si dimostrarono essere una bolla, che sparì molto rapidamente. Anche se addirittura, col diffondersi di Internet nelle nostre case, fu inventato il linguaggio VRML, per visualizzare scene immersive all’interno di un browser web. Ma nel 2012, quando appresi dell’esistenza del primo kit di sviluppo Oculus, subito lo ordinai. In quel periodo avevo già molta esperienza sul fronte dell’hardware, come progettista di postazioni dedicate al 3D. Usare quell’esperienza fatta per ottimizzare i PC per il VR è stato un gioco da ragazzi.
Stefano mentre indossa gli occhialini nVidia
Che percorso consiglieresti ad un giovane che desideri muovere i primi passi nelle tecnologie XR?
Oggi le carte in tavola rispetto al passato, per fortuna, sono profondamente cambiate. C’è un’abbondanza di strumenti e tutti di facile reperibilità. Oserei dire a portata di Click. È importante che un giovane decida in che ambito vuole studiare ed apprendere le tecniche di XR, ed infine isolare il tipo di lavoro che vuole fare. Secondo il mio modesto parere è fondamentale specializzarsi, e resistere alla tentazione di voler essere una sorta di tuttologi.
Si tratta di un ambito ludico? professionale (industria, simulazione, salute)? Certo può dipendere molto dalla sua cultura, dagli studi fatti.
Individuato il settore, cosa vuole fare nel mondo della VR? Progettare scene, caratteri e ambientazioni VR? È essenziale che apprenda l’uso di uno strumento di modellazione e rendering 3D. Oggi ci sono molti prodotti industriali disponibili a prezzi stracciati, se non gratuiti, se si è studenti universitari. Ma anche il mondo opensource ha molto da offrire: tanto per fare un nome, c’è Blender, utilizzato molto per progettare scene ed ambientazioni VR.
Progettare applicazioni in ambito VR? È fondamentale che apprenda un linguaggio di programmazione che si interfacci coi motori 3D che si usano per sviluppare applicazioni VR. C++ e C# la fanno da padrone. In alcuni casi viene usato anche Python. Deve apprendere l’uso di almeno uno dei motori 3D che il mercato mette a disposizione:
Unreal Engine (prossima è l’uscita della versione 5 di questo motore);
CryEngine (utilizzato in ambito ludico);
Unity 3D (utilizzato molto anche per piattaforme diverse da Windows);
Unigine (specializzato per applicazioni di simulazione e addestramento in ambito professionale).
Oppure è un appassionato di suono, musica e simili? Ebbene, se ne parla poco, ma è fondamentale un esperto di effetti sonori e musiche adatte per le ambientazioni XR. Non conosco i software da usare in questo ambito, ma conosco professionisti che hanno applicato alla XR quanto conoscono in ambito audio.
Concludo con una considerazione: esistono tantissimi visori, ciascuno di questi con le sue specificità. Ebbene consiglio di non legarsi da subito ad un visore specifico. Bensì di saper usare, tra quelli indicati sopra, gli strumenti più general purpose possibile. Un modo potrebbe essere studiando il neonato standard OpenXR. E al limite, poi, se necessario, scendere nelle specificità di un singolo prodotto / tecnologia XR.
Hai deciso di aprire un laboratorio dove sono disponibili tecnologie XR. Perché e qualetipo preferisci?
Ho deciso di aprire un laboratorio per queste ragioni:
la curiosità e la passione
poter mettere a disposizione delle persone un punto di incontro dove poter provare le tecnologie XR
farle toccare con mano, ed eventualmente guidarle nella scelta, in funzione delle loro esigenze ludiche o professionali che siano.
VR Demo Lab
Quale tipo di visore preferisco? Premetto che gli stand-alone hanno fatto grandi passi in avanti. Ma continuo a preferire quelli che sono collegati al PC o alla Console. Nonostante le GPU integrate nei visori stand-alone abbiano fatto grandi passi in avanti, sia dal punto di vista del dettaglio grafico che degli effetti speciali di visualizzazione, le GPU dedicate per PC, soprattutto le nVidia, sono anni luce avanti.
Anche se il giorno in cui un visore stand-alone sarà alla pari se non addirittura superiore ad un PC non è molto lontano (vedi per esempio il ricorso al foveated rendering), per ora l’accoppiata PC e Visore XR sono ancora vincenti. Penso che quel giorno sarà vicino in funzione di quanto AMD e nVidia (entrambi in possesso di SoC basati su Tecnologia ARM, quella usata da tutti i visori stand-alone) saranno veloci nel trasferire il loro know-how delle GPU sulle loro soluzioni ARM.
Aggiungo inoltre una considerazione: non c’è un limite di carattere tecnico che impedisce a nVidia e AMD di trasferire la tecnologia delle proprie GPU sui SoC ARM che detengono; dipende da questioni di mercato. Fino a quando la XR avrà una grossa fetta di installato per ragioni ludiche, c’è poco da fare, sarà il PC a farla da padrone. Ma se l’ago della bilancia dovesse spostarsi su altro, vedi il metaverso di cui si sta tanto parlando, allora questo sarà più fruibile coi visori stand-alone. Allora sì che la musica potrebbe cambiare.
Come pensi evolveranno le tecnologie XR? Sempre visori standalone o prenderanno finalmente piede gli occhiali di mixed reality davvero utili e non solo per fruire dei social o poco più?
Ho già un po’ anticipato sopra la mia risposta. Ma provo a riassumerla in termini diversi. L’evoluzione dipenderà da quanto lo stand-alone prevarrà o meno sul visore XR accoppiato al PC (o console nel caso di PSVR di Sony). Inoltre più che legata all’evoluzione tecnologica, dipenderà molto dal marketing se si diffonderà questo tipo di tecnologia. Sono anni che vedo circolare visori mixed reality, anche con capacità tecniche notevoli, ma senza alcun successo. E cerco di riassumere in due punti questa scarsa presenza:
troppo banale, scontata e sensazionalistica la comunicazione di marketing;
assenza di un ampio parco di applicazioni che catturino interesse e pubblico.
Se non si supereranno questi due scogli, gli occhiali mixed reality saranno relegati a ruolo di simpatico gadget. Eppure credimi ho visto soluzioni di Mixed Reality notevoli, realizzate anche qui in Italia, di assoluto rilievo. Ma nonostante tutto, non ne senti parlare da nessuna parte, se non in qualche rivista di settore, o in qualche studio che però è fruibile solo agli addetti ai lavori. Chiudo la questione evoluzione del settore dicendo che molto dipenderà anche dai sensori accessori che saranno a disposizione del visore XR. Ancora troppo frammentato e verticalizzato è il mercato di guanti, scarpette e simili che dovrebbero accentuare l’esperienza virtuale. Vincente sarà il visore che non solo avrà tante app, ma anche il maggior numero di sensori accessori integrati o integrabili.
Da quest’estate non si fa che parlare di Metaverso, ma pochi sanno davvero di che cosa si tratta. Siamo davvero pronti o sarà una moda temporanea? Per ora ancora pochi lo utilizzano fuori dal gaming e ne comprendono le potenzialità.
Second Life, citato spesso come uno dei primi metaversi di cui si abbia memoria, sinceramente non so che fine abbia fatto. All’epoca ero poco propenso a seguire le indagini di mercato. Sarà una moda temporanea? Personalmente lo spero. Le persone devono vivere la loro vita negli ambienti reali. Non traslarla altrove. Ma detto questo, temo che non lo sarà. Fin troppe aziende stanno reagendo con coinvolgimento alla notizia di Facebook (ora Meta).
E credo che Facebook (la storia lo dimostra) avrà la potenza di fuoco, al livello di marketing, necessaria per fare breccia di sicuro sui suoi utenti. Sarà il suo marketing a decidere se sarà una moda passeggera o meno, e non la sua tecnologia. Ne ho viste di valide, sulla carta vincenti naufragare per scarsa capacità di comunicazione e marketing. Se anche un’azienda come Facebook dovesse fallire in questo intento, vorrà dire che il metaverso sarà solo uno spazio per addetti ai lavori. Vedi quello che ha realizzato la Varjo e nVidia al livello di Cloud XR. Le loro proposte è da prima che Zuckerberg parlasse che esistono.
Frequenti i mondi di social VR e che cosa ne pensi? Magari hai avuto già esperienze di Second Life.
No. Non frequento i mondi Social VR. Second Life non mi è piaciuto. Nonostante non fosse immersivo. Stesso dicasi dei mondi social VR. Non perché abbia qualcosa contro questi. Ma per darti un’idea io non faccio per niente uso di giochi multiplayer. È semplicemente anomalo quanto curioso che sia iscritto ai Social Network. È già tanto, soprattutto in questo periodo di pandemia, che accetti l’interazione con persone vere attraverso una webcam ed un software di gestione di web-meeting. Diciamo che percepisco coi social in VR e i giochi multiplayer un livello di invasività che non tollero. Tutto qui.
Le storie in social VR si occupano oggi di didattica con la tutor Eva Kraai. Ho avuto modo di conoscere Eva nella community di Pyramid Cafè e mi ha subito incuriosito il suo avatar ricco di fascino e mistero, ma non avevo mai approfondito. Era molto attiva all’interno di Edu3d e teneva dei corsi tecnici su varie piattaforme per appassionati di mondi virtuali. Spesso pensiamo erroneamente che il mondo tecnico della XR e del social VR sia popolato da persone di sesso maschile, ma in realtà è variegato e la presenza femminile è numerosa e molto competente. Proprio per superare questi preconcetti ho scelto di dedicare nel mio progetto alcune interviste all’universo femminile.
Chi è Eva Kraai
Francesca M.R. Bertolami aka Eva Kraai è una tutor in Edu3d. Da tutti noi è conosciuta con il suo nickname che ha adottato la prima volta che è entrata in Second Life.
La storia di Eva
Scopriamo insieme com’è nata la passione di Eva per i mondi immersivi. L’ho intervistata per voi.
All’Expo’ di Craft 2021
Quando e perché hai iniziato a frequentare i mondi di social VR? Perché hai scelto il tuo nickname e non il nome reale?
In realtà ho iniziato a frequentare mondi virtuali per pura curiosità quando ho sentito parlare di Second Life (all’epoca era un fenomeno di cui si discuteva moltissimo sui media e sembrava che avrebbe rivoluzionato il modo di interagire con gli altri e introdotto gli avatar tridimensionali nelle nostre vite).
Per motivi tecnici però, avendo come provider Fastweb, non sono riuscita a entrarci finché il mio indirizzo IP non è stato reso univoco, e nel frattempo Second Life aveva già iniziato a deludere molti utenti.
Il mio nickname è il nome che ho scelto proprio in Second Life, cui mi sono affezionata e che in seguito ho utilizzato anche negli altri mondi virtuali.
All’inizio SL mi sembrava un luogo molto interessante, dove poter vivere una vita di fantasia, conoscere persone di tutto il mondo e riuscire a costruire qualunque cosa con gli strumenti interni.
In un primo periodo giocavo soprattutto alla Bloodline, un gioco di ruolo con vampiri e lycan, in cui si poteva anche combattere, ma poi sono entrata in contatto con Vulcano, una sim dove era possibile costruire liberamente e dove ho conosciuto persone molto interessanti.
Quello che trovavo irritante era il fatto di dovere acquistare qualunque cosa e pagare persino per importare oggetti costruiti da me, quando ho iniziato a lavorare con Blender. Questo è stato il motivo principale che mi ha spinto a entrare in OpenSim, che utilizza la stessa tecnonologia sviluppata dalla Linden Lab, ma in opensource.
E lì, in una delle grid, Craft World, ho fatto amicizie virtuali che poi sono diventate reali.
Attraverso i contatti con alcune di queste persone, soprattutto Claudio Pacchiega aka Salahzar Stenvaag e FrancescoSpadafina aka Magicflute Oh, sono approdata recentemente ai mondi VR.
Qual è la tua attività fuori dai mondi immersivi?
Nella vita reale sono stata per tanti anni una dirigente del Consiglio regionale della Lombardia e del Difensore regionale, quindi potevo frequentare i mondi virtuali solo nel tempo libero. Ora, essendo in pensione, posso dedicare molto più tempo a questa che è diventata una vera passione.
Il mio limite è forse la mia formazione umanistica, che mi rende difficile a volte affrontare questioni molto tecniche (non parliamo poi dello scripting).
Quali sono state le tue impressioni indossando un visore?
Con il visore mi sono sentita totalmente immersa nei mondi virtuali che ho visitato; è un’esperienza molto differente rispetto alla visualizzazione su schermo, molto emozionante. Ho potuto visitare anche costruzioni che avevo realizzato io e mi sono resa conto di alcuni difetti che altrimenti non avrei notato. Peccato che in Opensim questo non sia possibile…
Eva con Oculus virtuale
Sei tutor in Edu3d da alcuni anni. Che cosa ti ha spintoa diffonderecultura ecompetenze?
Il 2015 per me è stato un anno molto brutto, per motivi familiari.
Durante l’estate, per cercare di risollevarmi un po’ avevo scoperto la Summer School di Edu3d… c’erano corsi molto semplici, come creare un albero con le texture o come scontornare le immagini, ma lo trovavo molto gradevole e rilassante.
Così ho iniziato a frequentare Edu3d, ho conosciuto Giliola Giurgola, con cui nel corso degli anni siamo diventate amiche anche nella vita reale e ho pensato di poter condividere anch’io con gli altri allievi quel poco che sapevo fare allora.
Dapprima solo qualcosa su come importare oggetti dal Web, come modificare gli avatar o scattare foto in Opensim, ma dal 2017 ho scoperto Blender, e da allora è nata una vera passione.
Blender infatti permette di creare qualunque cosa si voglia importare nei mondi virtuali e, lavorando in low poli, con “pesi” delle mesh molto ridotti. Perciò ho provato, prima sotto la guida di Salahzar, poi autonomamente, a trasmettere questa passione nei corsi base o intermedi. Non ho la pretesa di essere una builder eccezionale, ma quello che riesco a fare mi piace condividerlo con gli altri – e anche imparare dagli altri, ovviamente – nello spirito di collaborazione di Edu3d.
Quali mondi frequenti abitualmente?
Rimango molto affezionata a Craft World, il mondo Opensim in cui sono arrivata nel 2010, quando ancora c’era pochissimo da fare o da vedere; però ultimamente sono entrata con il PC o con l’Oculus in AltspaceVR, soprattutto per il Magicflute Show, in cui abbiamo replicato un seminario sulla didattica già tenuto in Craft World e dove ho fatto parte dello staff per le riprese video.
Seminario al MacigFlute Show
Un esperimento interessante è stato quello di mettere in comunicazione tre universi virtuali, Second Life, Craft e Altspace Vr attraverso StreamYard, grazie alla regia di Rubin Mayo, molto esperto di streaming.
In VrChat ho invece ricostruito una Escape Room che avevo realizzato a Craft per un progetto collettivo di un giovane di talento, Michelangelo Tricarico.
Escape room in VrChat
Ho provato anche Mozilla Hubs, ma non mi ha entusiasmata.
Attualmente con Salahzar stiamo esplorando Vircadia, un ambiente non proprietario nato dopo la chiusura di Hi Fidelity, che utilizza la stessa tecnologia.
In Vircadia
Secondo te il social VR è adatto alle ragazze o è ancora, come il gaming, un mondo prevalentemente maschile? Hai stretto amicizie virtuali?
Credo che le ragazze non abbiano problemi a frequentare il social VR, alcune sono addirittura coordinatrici di community, ad esempio Beleth in VrChat. Oltre al gaming, che è spesso molto competitivo, nei mondi virtuali si possono fare tante altre esperienze, conoscere persone lontane e stringere amicizie reali, che ci portano a volerci incontrare anche di persona.
Oltre a Giliola e Salahzar, ho conosciuto tantissime persone interessanti e che considero veri amici.
Proprio in questo periodo stiamo lavorando al 2Lei, una serie di eventi sul contrasto alla violenza contro le donne che si svolge in parallelo in Second Life e in Craft, con il coordinamento di Rosanna Galvani del Museo del Metaverso, un ambiente che promuove l’arte in tutte le sue forme, e ho approfondito la conoscenza con tutte le persone dello staff, scoprendo dei talenti eccezionali ma anche molta umanità e spirito di collaborazione.
2Lei eventi
Il metaverso, di cui oggi si parla tanto, è spesso considerato in senso negativo come un luogo di fuga dalla realtà, di alienazione. Quali aspetti positivi ti senti di evidenziare? Come pensi evolverà nel prossimo futuro?
E’ una bella domanda… credo che per ora il metaverso, nonostante i proclami di Zuckerberg, resti un ambiente un po’ di nicchia, circoscritto agli appassionati.
Non lo vedo però come una fuga dalla realtà, piuttosto come un’integrazione della vita reale.
Sono sicura che in futuro, quando la tecnologia avrà costi ridotti e sarà meno complicata, sempre più persone si lasceranno affascinare dal metaverso, e potranno navigare sia per divertirsi e giocare, ma anche utilizzarlo come strumento di cultura e conoscenza.
Le storie in social VR si occupano oggi di un tema di particolare interesse: la creazione dei mondi immersivi. Oltre agli spazi proposti dalle piattaforme, è possibile infatti creare ambienti immersivi molto diversi: dal percorso per mostre o convegni alla sala per open house dove mostrare i prodotti in 3D, dall’aula virtuale all’hotel con piscina e gonfiabile a forma di fenicottero, dalla spiaggia dove trovarsi con gli amici alla sala cinema con bar e chiosco pop-corn.
Ho conosciuto Fabrizio Di Lelio (aka samo976) due anni fa quando ho iniziato a frequentare con assiduità AltspaceVR e le serate di Pyramid Cafè.
Fabrizio aveva organizzato dei corsi per neofiti sulla creazione di mondi immersivi. Ci si ritrovava alla sera e si sperimentava all’interno del ‘Giardino segreto’, aperto per le esercitazioni. Nuovi mondi prendevano vita di fronte ai nostri occhi.
Chi è Fabrizio Di Lelio
Fabrizio Di Lelio è un ‘video technician, cameraman and Video/Graphic operator’ come leggiamo sul suo profilo LinkedIn.
La storia di Fabrizio
Scopriamo insieme com’è nata la passione di Fabrizio per i mondi immersivi. L’ho intervistato per voi.
Fabrizio ciao, raccontacichi è samo976. Perché questo nickname?
Era il ’97 quando ho iniziato a scoprire Internet e i videogiochi, mi serviva un nickname e Samo era la firma di un artista che amo, Jean-Michel Basquiat.
Ti sei trasferito a Londra ormai da diversi anni. Ci dici il motivo e quali opportunità hai trovato?
Sono 12 anni che vivo a Londra. Erano ancora tempi non sospetti quando ho lasciato l’Italia, purtroppo le cose non andavano bene per me. Arrivavo a stento a fine mese. Ma non l’ho fatto unicamente per una ragione economica. La mia scelta è stata per lo più dovuta alla mia carriera, che ha preso una svolta decisiva quando sono arrivato qui. Io mi occupo principalmente di video nel settore degli show ed ho avuto la possibilità di lavorare con artisti di fama internazionale, a livelli che purtroppo in Italia non avrei mai potuto raggiungere.
Da quando e perché ti sei avvicinatoalla realtà virtuale e al social VR?
Come ho già detto sono un Gamer. Ho comprato il mio primo visore 5 anni fa. Si trattava della prima versione commerciale dall’oculus. Ero appassionato, ma in realtà lo sono ancora, di questo gioco di simulazione spaziale. Giocavo in 2d, ma ero incuriosito di vedere che effetto facesse il gioco in VR. Non posso negare di aver sofferto di motion sickness all’inizio, ma il gioco era così bello a 360° che me la sono fatta passare.
Prima di parlare dell’esperienza con il Meet dovrei fare un preambolo. Io ho incominciato a costruire mondi virtuali molto per gioco, questo 2 anni fa proprio sotto la pandemia. Sono completamente autodidatta, con delle basi di grafica 3d e 2d. Altspace, la piattaforma dove ho cominciato a scoprire i social VR, è stato il mio trampolino di lancio per il Building. Ho dovuto imparare ad usare Unity che è un engine per la produzione di videogame. Con Unity si possono creare giochi senza dover conoscere i codici , sicuramente questo è stato molto utile. In Altspace mi é stato possibile conoscere nuove persone, fare nuove amicizie.
Da qui i contatti con il Meet. Il progetto del Meet è stato per me un po’ una sfida, perché la piattaforma su cui è stato sviluppato per me era completamente nuova. Ho dovuto studiare molto e approcciarmi ad un software 3D nuovo, Blender. Sono molto contento dei risultati e come mia prima esperienza posso dire di essere molto soddisfatto, abbiamo portato in esposizione le opere di 11 artisti digitali. La scelta della piattaforma di Mozilla, Hubs, è dovuta al fatto che questo particolare social è molto facilmente accessibile da qualsiasi utente, anche senza il bisogno di scaricare un software o creare un account. Ti basta fare un click su un link per entrare.
Presentazione della mostra Synthetic Corpo-Reality
Alice Inside – 2019 by Claudia Hart
Quali esperienze di VR e social VR puoi narrarci per far comprenderele opportunitàofferte dallatecnologia?
Come ti dicevo io sono un Gamer per cui le prime esperienze VR sono appunto relative al gioco. È difficile spiegare il VR. Credo che siano cose che vanno provate per capirle appieno. A me piace pensare che sia un’estensione della realtà, e non qualcosa a sé stesso. Io gioco prettamente online, quindi mi capita di conoscere molte persone. Durante questa pandemia è stato un po’ come manna dal cielo. Specialmente con Altspace dove abbiamo potuto incontrarci. Abbiamo organizzato Talk show, proiezioni di film su grandi schermi, Karaoke, o ci siamo incontrati solo per una chiacchiera. È stato sicuramente meglio di stare chiusi in casa da soli. A chi non lo avesse mai provato consiglio di fare questa esperienza.
Hai fatto esperienze anchein realtà aumentata?
No a livello lavorativo, solamente come fruitore.
Ci siamo incontrati spesso in Altspace VR dove hai anche tenuto corsi gratuiti per i neofiti. Quali sono i vantaggi offerti da Altspace rispetto ad altri social VR?
Altspace è un social VR di microsoft. Quindi un mondo virtuale dove ognuno può partecipare sotto le sembianze di un Avatar, ovvero un perseguito grafico che puòavvicinarsi alle proprie sembianze o essere completamente diverso da ciò che si è. Ci si può accedere con un visore di realtà virtuale, ma anche con un semplice PC Ti permette, non solo di visitare mondi o partecipare ad eventi, ma anche di creare i tuoi mondi o essere l’host del tuo evento personale. Consiglio Altspace per chi vuole organizzare eventi del tipo talkshow, per via della tecnologia Front Row, che permette la creazione, automatica, di stanze multiple, una volta superato il numero massimo di utenti nella prima.
Quali altri social VR frequenti e quale ritienisia più adattoalle aziende?
Io personalmente ho provato diversi social VR, alcuni tramite quest e altri tramite pc. A mio avviso ho trovato Hubs quello più prático, proprio per via del fatto che non è necessario né scaricare un software, né tanto meno dover creare un account. Per quanto riguarda le aziende non posso sapere quale potrebbe essere la soluzione migliore in quanto può variare a secondo delle esigenze. Hubs stesso potrebbe essere una soluzione utilizzando un server prioritario. Inoltre ci sono differenti compagnie che offrono servizi di eventi vr per aziende che hanno dei bisogni particolari.
Che cosa consiglieresti ad un giovane che desideri intraprenderelo studioe l’attività nella VR?
Per i giovani interessati ad avvicinarsi al XR dico di buttarsi perché è un settore nuovo che si sta facendo strada. Non solo negli eventi o nel gaming, ma anche nel cinema. E gli consiglio di non porre freni alle loro fantasie perché nel virtuale tutto è possibile.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Io ho già ripreso a lavorare con i concerti, ma non mi spiacerebbe continuare il discorso di gallerie virtuali. Credo che è un nuovo modo di farsi pubblicità e di ridurre le distanze. Se un artista, aprisse una mostra che possa avere utenza da ogni parte del mondo e a qualsiasi ora del giorno, non può essere che una vittoria, artistica ed economica.